Il 5 settembre scorso si è spenta a Zurigo la poetessa svizzera Mariella Mehr. Forse il suo è un nome sconosciuto ai più, che tuttavia dischiude una storia tragicamente straordinaria.
La scrittura ha rappresentato per Mehr un mondo altro, un’alternativa all’incubo della vita reale, una specie di Eden in terra, un luogo in cui poteva essere libera. Nella parola si compiva la sua rinascita, il riscatto di una creatura che sin dalla sua venuta al mondo aveva dovuto lottare per rivendicare il proprio diritto a esserci, a esistere.
La sua è la poesia di una sopravvissuta.
Mariella Mehr: la vita
Mariella Mehr nacque a Zurigo il 27 dicembre 1947 e per lei quella data coincise, come scrisse acutamente nella sua autobiografia Steinzeit, con “l’inizio di un’immane lotta per sopravvivere nonostante tutto”.
La colpa di Mariella era semplicemente quella di essere nata.
Lei era di etnia jenisch, figlia di una famiglia rom, in un paese che considerava il nomadismo come una “malattia degenerativa geneticamente trasmissibile”. Mariella Mehr veniva alla luce in un mondo che non era disposto ad accoglierla.
Proprio nella Svizzera democratica, negli anni dal 1926 al 1972, fu messo in atto un programma eugenetico noto come Kinder der Landstrasse. Lo scopo finale del progetto, promosso dall’agenzia federale Pro Juventute, era di eliminare la cultura jenish per favorire il miglioramento della specie umana. Un proposito nazista che tuttavia sopravvisse a lungo, perpetuando la propria barbara opera persino quando il nazismo veniva sconfitto e infine condannato dal resto dell’umanità.
Il programma svizzero, che si avvaleva dei fondi stanziati dalla Confederazione Elvetica, si nascondeva sotto le mentite spoglie di una specie di missione umanitaria: il compito di Kinder der Landstrasse era ufficialmente quello di proteggere i bambini di etnia jenisch salvandoli dalla strada e dal vagabondaggio. A capo delll’organizzazione Pro Juventute vi era il dottor Alfred Siegfried, colui che si proponeva di “sradicare il nomadismo dalla società svizzera”.
Mariella Mehr, appena nata, fu strappata dalle braccia della madre in nome di questa bestiale operazione di pulizia razziale. Oltre a lei furono sottratti oltre 2000 bambini alle famiglie rom stanziate in Svizzera in quegli anni.
Fu l’inizio per Mariella di ciò che avrebbe definito come un “tempo di pietra”. Ai bambini del progetto Kinder der Landstrasse fu impedito ogni contatto con le famiglie d’origine, furono ribattezzati con altri nomi e costretti a subire una totale rieducazione linguistica. Dovevano dimenticare ogni cosa della loro famiglia d’origine, rinnegare le loro radici, rinascere sotto una nuova identità.
Il metodo per educarli a questa rinascita era lo sradicamento, l’isolamento, la separazione. Soltanto all’età di tredici anni Mariella Mehr iniziò ad avere consapevolezza di quanto le sta accadendo. Veniva rimbalzata da una famiglia affidataria all’altra, da un ospedale psichiatrico all’altro. In quegli anni fu vittima di stupri, abusi sessuali, elettroshock. Aveva un carattere ribelle che non consentiva ad essere domato e quindi lo forzarono con la violenza, tuttavia senza piegarlo.
A sedici anni a Mariella fu chiesto di firmare un foglio in cui dichiarava che si sarebbe impegnata a trovare un lavoro e condurre una vita autonoma. Lei andò a Lucerna e trovò impiego presso un bar per omosessuali. Lavorava in nero come cameriere: il suo aspetto androgino le consentiva di essere scambiata per un maschio. Lavorò al bar per circa un anno, finché nel bar non fece capolino un uomo che immediatamente la riconobbe, capì che era una donna. L’uomo era un ingegnere francese di origine ebrea, lui e Mariella iniziarono a frequentarsi quando lei terminava il turno al bar.
Qualche tempo dopo Mariella rimase incinta. Aveva ormai diciotto anni e credeva di essere autonoma, ormai libera dalle grinfie della Pro Juventute; ma si sbagliava.
Non appena l’organizzazione venne a conoscenza del fatto fece partire un’indagine. Dissero che lei era fuggita con uno zingaro e intendeva mettere al mondo un figlio zingaro. Fu arrestata e condannata a trentasei mesi di carcere. Il bambino le fu tolto e affidato a una famiglia svizzera, Mariella subì la sterilizzazione forzata.
Solo nel 1972 Mariella Mehr trovò il coraggio di ribellarsi e dare voce al proprio dolore tramite una battaglia di denuncia pubblica della pulizia razziale.
Con il sostegno di un amico giornalista fece uscire una serie di inchieste in cui denunciava il trauma che l’organizzazione le aveva inflitto. Alla sua testimonianza si unirono altre quattro donne di jenisch. Scoppiò lo scandalo e la Pro Juventute fu costretta a chiudere il progetto Kinder der Landstrasse.
La poesia di Mariella Mehr nacque da lì, dalla ferita aperta, dalla vergogna provata, dal dolore taciuto come un grido in fondo alla gola. La scrittura nacque come un fiore dalle sue mille battaglie. Non era un modo per liberarsi dal dolore, ma un’esigenza di testimonianza.
Le sue non sono le parole di una vittima, sono le parole di rivalsa di una sopravvissuta:
il cielo d’acciaio ci incatenò il cuore.
Abbiamo pianto invano le nostre madri
davanti ai patiboli.
Mariella iniziò a lavorare dapprima come giornalista, saggiando la forza delle parole, sino a divenire scrittrice. La sua era una scrittura audace, espressionista, che sfumava spesso nel lirismo di una poesia piena di luce. Una poesia che illuminava per scacciare le tenebre.
Mariella Mehr: le opere
L’opera letteraria di Mariella Mehr è strettamente legata alla sua biografia. Il suo primo romanzo Steinzeit fu pubblicato nel 1981, in italia il libro fu tradotto da Guaraldi editore con il titolo Silviasilviosilvana nel 1995.Era la storia di una “perdita di identità” narrata dal punto di vista di un donna maltrattata, seviziata, segregata.
Quel primo romanzo autobiografico iniziava con una specie di grido di liberazione:
Fai crescere la rabbia, piccola, ti scalderà, ti permetter di sopravvivere a questo inferno di ghiaccio.
Steinzeit. Silvio, Silvia, Silvana
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Tra le sue opere tradotte in italiano troviamo i romanzi della cosiddetta Trilogia della violenza: Il marchio (Tufani, 2001), Labambina (Effigie, 2006) e Accusata (Effigie, 2008).
Nei suoi libri Mariella Mehr narrava la propria vita con un’espressionismo crudo che fa emergere la violenza in un’escalation di soprusi. La sua è una scrittura militante, di denuncia. Scrivendo Mariella finalmente si riappropriava delle parole che, per oltre trentuno anni, le erano state sottratte solo per farle espiare la colpa di essere nata.
Labambina
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Ai libri autobiografici fece seguito la fortuna delle sue raccolte poetiche: Notizie dall’esilio (Effigie, 2006), San Colombano e attesa (Effigie, 2010).
Tra le sue ultime opere pubblicate in italiano ricordiamo Ognuno incatenato alla sua ora, 1983-2014 edito nella prestigiosa collana di poesie “La bianca” di Einaudi nel 2014.
Ognuno incatenato alla sua ora
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Nel corso della sua carriera le furono attribuiti numerosi riconoscimenti per la sua opera letteraria e il suo impegno politico: nel 1998 un dottorato honoris causa dall’Università di Basilea, nel 2012 il prestigioso Premio ProLitteris per l’insieme della sua opera e nel 2016 il Premio letterario Grigione.
Nel 2018 Mariella Mehr fu insignita del Premio Anna Göldi per i diritti umani.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Mariella Mehr, la poetessa svizzera cui fu rubata l’infanzia
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