Tutti i poeti italiani, riconosciuti, aspiranti e sedicenti sono costretti ad autopromuoversi. Lo fanno sui social, gestendo un loro sito o blog, pubblicando su siti o blog letterari, partecipando a concorsi letterari, cercando di essere inseriti in antologie o in riviste, pubblicando libri, molto spesso a pagamento.
Molti sentono di aver raggiunto un traguardo pubblicando un libro, però con il tempo si accorgono che non è un punto di arrivo, ma solo un punto di partenza e così pubblicano altri libri. Il massimo per molti è avere una propria pagina su Wikipedia da vivi. Che poi gli italiani non sanno dire i nomi di cinque poeti viventi nostrani, figuriamoci se sanno riconoscere un vero poeta da un bluff!
Allo stesso modo ci sono aspiranti poeti che non sanno o fingono di non sapere (illudendosi e autoingannandosi) quali sono veramente i siti letterari, le riviste letterarie, i premi, le case editrici importanti. A forza di cercare e di tentare anche l’aspirante poeta più scarso qualche spazio per avere un minimo di visibilità lo trova, a costo di pagare; così leggendo tanti curriculum poetici e tante note biografiche chi non è realmente cultore della materia non sa più distinguere chi ci marcia su e chi vale, fermo restando che oggi valutare la poesia è sempre più soggettivo e opinabile.
Certamente bisogna spendere:
- per buona parte dei concorsi è prevista una quota d’iscrizione,
- per pubblicare su riviste letterarie bisogna anche abbonarsi,
- per far parte di antologie molto spesso bisogna comprarne qualche copia,
- per incontrare poeti bisogna viaggiare,
- per pubblicare libri bisogna nella stragrande maggioranza dei casi sborsare soldi,
- per vedere recensito il proprio libro bisogna spendere per inviarlo via posta. C’è tutto un piccolo business sugli esordienti! Insomma la poesia è una passione che costa e molto raramente diventa un lavoro (alcuni poeti affermano che il loro è un lavoro non retribuito).
Ci vorrebbe per almeno 2 o 3 anni uno sciopero dei poeti. Forse a qualcuno mancherebbero. Forse capiremmo che anche la poesia ha una sua funzione sociale.
Forse in questo modo verrebbero rivendicati e tutelati I loro diritti. Ma ce la farebbero i poeti a starsene in silenzio o forse è impossibile sopprimere per loro quel qualcosa che urge dentro e devono tirar fuori, rendere esplicito? I poeti comunque oggi non possono attendere la loro dipartita, lasciando vita natural durante i loro scritti con discrezione nel cassetto: è meglio affermarsi nel presente e poi è meglio godersi un goccio di notorietà da vivi che sperare in un’improbabile gloria postuma.
Non autopromuoversi significherebbe non esistere, non esserci, non apparire (perché poi per essere bisogna apparire) in un’epoca in cui il personal branding è diventato quasi imprescindibile. E poi se tutti cercano di apparire, perché tirarsi indietro e rinunciare? Perfino la rinuncia totale, il sacrificio totale, ovvero il suicidio può essere inteso dai maligni come un gesto pubblicitario quando al massimo è un atto di dedizione assoluta alla propria opera e all’essere poeta. Come si sa, da morti si è molto più considerati e non a caso D’Annunzio per farsi strada da giovane diffuse la notizia della sua scomparsa. I poeti dovrebbero essere apprezzati, stimati, valorizzati, ricompensati, riconosciuti da vivi. Come scrive Vivian Lamarque in "A vacanza conclusa":
"PS.: Siamo poeti/ vogliateci bene da vivi di più/ da morti di meno/ che tanto non lo sapremo".
A ogni modo non autopromuoversi significa rinunciare e la rinuncia, lo starsene in disparte e lo scomparire non sono di questo mondo. Autopromuoversi è un imperativo per gli autori: non farlo significa sprecare opportunità, vuol dire lasciar passare gli altri. E poi se i poeti non si autopromuovono, chi li promuove? La risposta è secca: assolutamente nessuno, dato che non ci sono letterati grati, generosi e riconoscenti verso la stragrande maggioranza dei poeti, riconosciuti e non. In definitiva possiamo affermare che non esiste oggi il mecenatismo poetico e attualmente un poeta deve avere capacità di autopromozione, anche se il tempo dedicato a questa attività toglie concentrazione, labor limae, qualità.
Insomma neanche nel mondo delle patrie lettere non si fa niente per niente. Ecco allora che addirittura vengono tenuti corsi a pagamento che insegnano le tecniche strategiche per promuovere la propria scrittura. Perché il proprio talento venga riconosciuto bisogna sgomitare, essere presenzialisti, a volte prezzemolini ed essere multitasking, cioè muoversi su più fronti. In Ecce Bombo Nanni Moretti diceva:
"Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente…"
e poi decideva di non venire: oggi nella poesia contemporanea italiana per affermarsi bisogna andare ai poetry slam, alle presentazioni dei libri, alle fiere dei libri, ai convegni, ai premi, etc etc.
Bisogna metterci la faccia un poco per clientelismo e ricattabilità, ma soprattutto per acquisire credibilità e stima; certo così facendo si creano amicizie (talvolta interessate), si stringono alleanze, si fanno e si ricevono favori, qualche volta nascono avventure e amori.
Ma c’è anche un modo più discreto e virtuale di far parte della comunità poetica, ovvero essere partecipi solo online con tutti i rischi e le limitazioni del caso. A onor del vero i vecchi caffè letterari sono morti, ai reading poetici ci va poca gente, mentre tutti ormai sono nel web ed è qui appunto che avviene la maggior parte dell’autopromozione. Viene da chiedersi perché poi tanti aspirano all’epiteto di poeta: di soldi neanche a parlarne, solo una certa visibilità nella nicchia di una comunità ristretta; insomma molti sacrifici e molti sforzi per una riconoscibilità che non cambia la vita, che non ti fa svoltare, come dicono a Roma. Ho la vaga impressione a tal proposito che molti vogliano diventare poeti noti per soddisfare un sogno che avevano da giovani, ma la maturità prevede anche raziocinio, realismo e rassegnazione.
Alberto Arbasino sosteneva che ogni autore passa con la maturità da giovane promessa a solito stronzo e che solo a pochi l’età concede il prestigio di essere considerati venerati maestri. Insomma ci vuole una mistura di componenti per affermarsi: talento, coraggio, spregiudicatezza, pubbliche relazioni, una certa disponibilità economica, cultura, opportunismo ma soprattutto fiducia in sé stessi e perseveranza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’autopromozione dei poeti: perché è necessaria?
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