

Wilhelm von Humboldt in una stampa dell’epoca (Public domain) e Alexander von Humboldt in un ritratto di Julius Schrader (1889), © The Metropolitan Museum of Art, New York / CC0 1.0 Universal, via Wikimedia Commons
Dei fratelli Humboldt in molti manuali scolastici non rimane che il nome o poche sparute tracce; qualche spia della loro importanza nella storia della cultura europea ce la potrebbero, invece, offrire il programma Erasmus di una qualsiasi università o una cartina della capitale tedesca: nel 1949 gli ufficiali della DDR intitolarono, infatti, la prima università di Berlino a entrambi i fratelli Humboldt, dopo che era stata fondata, nel 1809, dal maggiore di essi, Wilhelm.
Storico, linguista e filosofo della politica il primo, esploratore, naturalista e geografo l’altro, i fratelli Humboldt sono accomunati non solo dal cognome e dalle prime vicende familiari ma, soprattutto, da un comune approccio multidisciplinare che li portò a frequentare campi del sapere molto distanti dalle rispettive discipline d’elezione e a formulare teorie che, per il loro alto tasso di preveggenza, risultano tutt’ora di grande attualità.
Il fatto che entrambi si nutrissero di lettere e di numeri, di versi e di formule, e che ritenessero questo metodo ancipite indispensabile per la formazione dello studioso – qualunque fosse l’oggetto di studio – non solo spiega bene perché gli sia stato intitolato un ateneo ma dimostra quanto faziosa e sterile sia quella distinzione tra umanisti e scienziati che ancora oggi alberga in tanti luoghi della formazione.
La giovinezza di Wilhelm e Alexander von Humboldt
Figli di un ufficiale prussiano che, per i suoi meriti, aveva avuto la possibilità di entrare a corte e di una donna di origini ugonotte e di severi costumi, Wilhelm (Potsdam, 22 giugno 1767 – Tegel, 8 aprile 1835) e Alexander (Berlino, 14 settembre 1769 – Berlino, 6 maggio 1859) von Humboldt trascorsero la loro infanzia nel castello di Tegel, un sobborgo di Berlino, dove i genitori accoglievano letterati e intellettuali nel loro salotto; fu qui che conobbero, tra gli altri, Goethe.
L’infanzia dei due fratelli fu turbata, nel 1179, dalla morte del padre, molto affettuoso coi figli e aperto al confronto culturale: iniziarono a percepire la loro dimora come un luogo tetro e noioso e di fronte all’austerità e alla freddezza della madre, che pur garantendogli la migliore istruzione, era incapace di dimostrare un affetto sincero, manifestarono reazioni diverse. Mentre il maggiore dimostrò presto un metodico interesse per gli studi classici, oltre che un preoccupato senso di protezione, Alexander, che già aveva dato prova di un temperamento talvolta estroverso e talaltra malinconico, sviluppò per il fratello un attaccamento che lasciava facilmente il posto alla voglia di competere, e mostrò un’intelligenza del tutto fuori dal comune, che lo portava a curiosare all’aperto e a scoprire luoghi sconosciuti, animato dal desiderio di associare elementi e nozioni molto distanti tra loro.
Nonostante quest’adolescenza, le enormi ricchezze della famiglia garantirono ai due giovani un’istruzione eccellente che li mise dapprima in contatto con le idee illuministiche, per dargli poi la possibilità di confrontarsi con la nuova generazione di intellettuali che incarnava la temperie romantica.
Indirizzati agli studi giuridici e amministrativi dalla madre, si rivolsero presto a ciò che li interessava di più: Wilhelm conobbe Jacobi che aveva valorizzato la religiosità contro il razionalismo, e attraverso di lui scoprì Kant; Alexander, dopo aver raggiunto il fratello a Gottinga e approfondì da solo le scienze.
Entrambi, conobbero personalmente, due dei massimi poeti del tempo, Schiller e Goethe: con loro si confrontarono su molte questioni, di poesia e di scienza. Soprattutto, da Goethe appresero quella tendenza interdisciplinare e l’idea che scienza, arte e poesia debbano riavvicinarsi e influenzarsi reciprocamente.
Ancora molto giovani viaggiarono per l’Europa: Alexander conobbe l’Olanda e l’Inghilterra, Londra in particolare; entrambi, poi, furono a Parigi spettatori dei primissimi eventi della Rivoluzione Francese.
Wilhelm von Humboldt tra storia e linguaggio
Viaggiatore nei Paesi Baschi, dove studiò la lingua locale descrivendola con criteri estremamente moderni, Wilhelm von Humboldt fu anche ministro dell’Istruzione e diplomatico del regno di Prussia.
Fautore del liberalismo, egli riflette sul concetto di individualità e crede che ogni uomo sia l’espressione di un insieme di forze spirituali che devono potersi sviluppare liberamente; ogni uomo ha quindi lo scopo di realizzare compiutamente le proprie energie, così da costituire una forma compiuta. Questa nozione di individualità si lega a quella di umanità: ogni individuo, infatti, è una declinazione particolare di essa e l’umanità stessa non si darebbe senza i singoli individui. L’individualità e l’umanità devono quindi trovare un’armonizzazione e proprio l’antropologia ha il compito, attraverso lo studio di variabili naturali come il sesso, la nazionalità e il temperamento, di definire l’umanità, un ideale al quale tutti gli individui tendono per non raggiungendolo mai. Si tratta di una vera e propria forza spirituale – Humboldt lo chiama anche spirito dell’umanità – che orienta e soggiace a tutte le manifestazioni umane presenti nella realtà.
Anche la storia, per Humboldt, va considerata come il percorso che questa forza spirituale, che egli chiama idea (e che per l’uomo coincide con lo spirito dell’umanità), compie per manifestarsi nella realtà. Questa forza la vediamo all’opera nelle azioni degli individui, nelle nazioni, nel corso degli eventi stessi, in tutti gli elementi, cioè, che lo storico è chiamato a studiare e che considera determinanti.
Ciò che però rende ancora oggi celebre Wilhelm von Humboldt è la sua teoria del linguaggio, che troviamo nel suo capolavoro, La diversità delle lingue (1836). Influenzato da Kant, egli ritiene che il linguaggio sia l’attività stessa della forza spirituale umana, una struttura trascendentale, una radice comune insita nella mente umana e condivisa da tutti i linguaggi che storicamente si danno e che sono un frutto dell’azione congiunta dell’intelletto, della fantasia e del sentimento.
Il linguaggio è, dunque, un’attività originaria, Humboldt lo intende come un organismo dotato di una sua vitalità, da studiare come un fenomeno mutevole e, soprattutto, come uno strumento che non solo permette di esprimere il pensiero ma forma anche, modella il pensiero e, perciò, influisce anche sulle strutture cognitive, sul modo in cui i parlanti di uno specifico popolo percepiscono e colgono la realtà; ad ogni lingua corrisponde, quindi, una particolare visione del mondo. È un’anticipazione della celebre ipotesi Sapir-Whorf che sarà sviluppata nel Novecento.
Alexander von Humboldt e la nuova idea di natura
La frequenza dell’Accademia mineraria di Freiberg permise al giovane Alexander di diventare direttore di miniera, compiacendo la madre, che avversava i suoi interessi naturalistici, con un lavoro rispettabile, ma soprattutto di dare libero sfogo ai suoi interessi: studiò soprattutto mineralogia, chimica, si appassionò del galvanismo e di botanica; lesse Schelling, affascinato dall’idea che tutte le scienze potessero essere ricondotte a una superiore unità.
Fu però la mirabile impresa di un lunghissimo viaggio nel sud America a dargli una fama immensa in tutta Europa: partito nel 1799, esplorò il Venezuela, la Colombia e il Perù, navigò lungo il fiume Orinoco alla ricerca di piante e animali sconosciuti, visitò l’Ecuador dove scalò il monte Chimborazo, ritenuto allora la vetta più alta del mondo, raccolse dati, studiò e catalogò circa 60.000 di cui oltre un decimo erano sconosciute.
Desideroso di vedere gli Stati Uniti, risalì a nord, attraversò il Messico, osservò i suoi mari descrivendo quella che ancora oggi è nota come corrente di Humboldt, toccò Cuba per poi finire il suo viaggio nelle ex colonie, dove rimase disgustato dalla schiavitù e conobbe Thomas Jefferson, che divenne un suo grande estimatore.
Tornato in Europa nel 1804, presentò le sue ricerche a Napoleone, pubblicò la sua opera più celebre, i Quadri della natura (1807), e risiedette a Parigi fino al 1827, anche se poco dopo venne nominato ciambellano alla corte di Prussia. Nella capitale francese, che molto amava, lavorò per anni al suo poderoso Voyage auc règions èquinoxiales du Nouveau Continent, il primo trattato di geografia moderna che, con un approccio del tutto inedito, legava la descrizione dei luoghi ai fenomeni fisici e alla botanica, ai tratti antropologici e ai fattori economici.
Costretto a rientrare a Berlino perché a poco a poco aveva dilapidato la colossale eredità materna, all’età di sessant’anni si imbarcò in una nuova spedizione che aveva come destinazione l’Asia centrale. Riuscì a rendere felice lo zar individuando dei giacimenti di diamanti sugli Urali, per poi raggiungere il Mar Caspio: anche qui osservò e descrisse piante e animali, misurò il magnetismo, che mise in rapporto con la latitudine, rilevò altitudini e temperature dell’acqua e dell’aria. Si trovava per l’ennesima volta di fronte alla prova provata che
“tutte le forze della natura sono intrecciate e interconnesse”.
Si era trovato di fronte a un ecosistema, un concetto che la scienza deve in gran parte ad Alexander von Humboldt, almeno come antesignano. Ciò, grazie alle sue tante innovazioni: le isoterme, le linee che nelle carte geografiche collegano i luoghi della terra e del mare che hanno la stessa temperatura, che diminuiva all’aumentare dell’altezza. Insieme ad altri elementi e a dati anche molto disparati che riesce a correlare, Alexander scopre che il clima di quel luogo così particolare dipende in gran parte dalle correnti oceaniche e dalle catene montuose. L’ambiente e il clima, a loro volta, influenzano gli esseri viventi, le piante, la loro distribuzione (fitogeografia) e la loro morfologia che, a prescindere dalle specie coinvolte, in luoghi con caratteristiche simili assume tendenze simili. Ancora una volta la natura che osserva gli appare come un unico organismo dove i singoli elementi si influenzano reciprocamente, è un approccio sistemico o, se vogliamo, ecologista, forse la sua intuizione più visionaria, di certo quella più scomoda che l’ha condannato a lungo al dimenticatoio.
Gli ultimi decenni della sua lunga vita li dedicò a soddisfare il suo inesauribile desiderio di sapere: già anziano ricominciò a frequentare l’università, mentre curava la pubblicazione dei vari volumi di Kosmos (1845-1862), la sua ultima, monumentale fatica dove tentò di descrivere con uno stile accessibile la struttura fisica dell’intero universo allora conosciuto. La sua opera influenzò profondamente Charles Darwin e Ernst Haeckel, Edgar Allan Poe e Jules Verne.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi erano Wilhelm e Alexander von Humboldt, gli eclettici fratelli del Romanticismo tedesco
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