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Recensioni di libri

Verso l’estate del 17 di Gerardo Unia

Nerosubianco, 2003 – Uno storico cuneese, alla ricerca di notizie sulla morte del nonno nell’offensiva della Bainsizza, scopre la storia del gen. Cattalochino caduto all’assalto con i suoi soldati del 274° Fanteria.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 01-10-2019
Verso l'estate del 17

Verso l’estate del 17

  • Autore: Gerardo Unia
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2003

Nell’opinione pubblica, uno dei luoghi comuni più diffusi sulla Grande Guerra di un secolo fa è che i primi nemici dei nostri soldati erano i generali italiani. Quel conflitto divorava letteralmente gli uomini e i fanti grigioverdi erano in grandissima parte semplici contadini, manodopera comune, facilmente sostituibile, perciò altrettanto spendibile. Erano sacrificabili negli attacchi allo scoperto contro trincee avversarie ben protette, prassi costante dal maggio 1915 al novembre 1918, sul fronte nord occidentale della penisola.
Erano tenuti a debita distanza dal corpo ufficiali, categoria che manteneva il distacco dalla truppa. Per questo spicca il ruolo generoso di comando, esercitato direttamente sul campo di battaglia, in quei luoghi luridi, insidiosi, disumani, da un ternano dal cognome poco noto e piuttosto inusuale, il cinquantaquattrenne Alceo Cattalochino. È un generale decorato con la medaglia d’oro al valor militare, per essere caduto alla testa dei suoi, altro comportamento che lo differenzia dai colleghi, oltre all’attaccamento ai suoi fantaccini, che si vedeva comunque costretto a spingere contro il nemico.

Il ricercatore cuneese di storia militare Gerardo Unia presenta la figura di questo comandante sensibile, nel suo libro Verso l’estate del 17 (Nerosubianco edizioni, Cuneo, 2003, Collana il porto, 224 pagine 18 euro) che oltre alle vicende dell’undicesima battaglia dell’Isonzo, nell’agosto 1917, propone la riproduzione di una serie di scatti e documenti di particolare interesse. Rappresenta uno straordinario documento per gli appassionati di quella guerra, preceduto da una breve nota, totalmente priva di retorica.

Questo libro è dedicato ad Alceo Cattalochino e a Lorenzo Unia, comandante e caporale del 274° Reggimento Fanteria e a tutti gli uomini della Brigata Belluno. E a Italo Stegher, capitano del 208° Reggimento Fanteria della Brigata Taro. Insieme, confusero il loro destino nell’estate del 1917, nella Battaglia della Bainsizza.

Lorenzo è il nonno dell’autore, che “mancò ai vivi il 26 agosto del 1917” come si leggeva nei certificati militari, colpito da un proiettile in fronte che rese lui eroe, vedova ventiquattrenne la moglie e orfano di guerra il papà di Gerardo, a soli quattro anni.
Cercando a lungo tracce degli eventi accaduti in quelle valli slovene del medio Isonzo, Unia ha incontrato un altro protagonista, il comandante, colpito forse nello stesso assalto costato la vita al nonno Lorenzo. Medaglia d’oro al valor militare sul campo, Cattalochino ha una tomba tutta sua nel sacrario militare di Oslavia, che custodisce le salme di 57.200 soldati italiani “dell’ingiustamente infangata” IIa armata e di 539 austro-ungheresi che li fronteggiarono.
Fanno riflettere, nella pagina successiva, anche i versi commoventi di uno sconosciuto, incisi in una targa nella Galleria del Castelletto, sulle Dolomiti cadorine:

Tutti avevano la faccia del Cristo nella livida aureola dell’elmetto.
Tutti portavano l’insegna del supplizio nella croce della baionetta.
E nelle tasche il pane dell’ultima cena. E nella gola il pianto dell’ultimo addio.

Il 24 agosto 1917 Cattalochino e nonno Lorenzo erano schierati nella valle di Sirovka Njiva, a quota 400. Gli austriaci sembravano indecisi, più volte avevano sparato inutilmente, lanciandosi in assalti scoordinati, facilmente respinti dai nostri, che alle 8.30 si erano a loro volta infilati nei varchi dei reticolati, trovando pochi avversari e una fiacca resistenza nelle trincee opposte. Il Veliki Vhr era caduto in mano italiana e in giornata era toccato anche al Na Gradu, rilievi fino ad allora imprendibili. L’ordine superiore che raggiunse il generale e il 274° era di spingersi verso l’abitato di Mesnjak, ma il nemico aveva preso a difendersi con determinazione e i soldati all’attacco erano divorati dalla sete. Il comandante sapeva che nelle conchette dei Lom avrebbero trovato acqua abbondante. Ma su quelle posizioni non arriveranno mai.
Lorenzo Unia svolse per intero i suoi compiti di caporale. Il generale Alceo fece anche più del dovere che gli altri generali sentivano di compiere. Era stato trasferito al comando di una brigata e tuttavia aveva chiesto di restare almeno per l’offensiva, per non lasciare soli i suoi, nell’attesa dell’assalto. Si era affezionato a quegli uomini, all’inizio disordinati e poco disciplinati e che forse aveva disperato di trasformare in buoni combattenti.
C’è un terzo protagonista della dedica, il capitano Italo Stegher, altra medaglia d’oro. Era al comando di una compagnia circondata di sorpresa nella stessa zona. Rifiutò di arrendersi e venne pugnalato alla gola. Il nemico indossava a tradimento divise italiane e parlando la nostra lingua era riuscito a mescolarsi ai fanti del 208°, uccidendo alcuni ufficiali, tra i quali Stegher.
Alcuni dei nemici travestiti vennero scoperti e catturati. Il colonnello Casini comandò di eliminarli, senza formalità.

Verso l'estate del '17

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Verso l’estate del 17

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