

C’è un momento in cui il giornalismo smette di essere cronaca e diventa testimonianza. È quello che accade con l’ultimo libro di Chris Hedges, veterano del New York Times e Premio Pulitzer, che torna in libreria con un grido d’allarme impossibile da ignorare. Un genocidio annunciato. Storie di sopravvivenza e resistenza nella Palestina occupata (Fazi Editore, 2025, trad. di Nazzareno Mataldi) è questo è molto di più.
Hedges è un cronista senza paura delle verità scomode e non è nuovo ai teatri di guerra.
Ha raccontato i Balcani, il Medio Oriente, l’America Centrale con l’occhio clinico di chi ha visto troppo per sorprendersi ancora. Eppure, quello che trova tornando in Cisgiordania dopo vent’anni lo colpisce come un pugno nello stomaco: la situazione non è migliorata, è peggiorata. Checkpoint, muri, insediamenti hanno trasformato il territorio in quella che lui stesso definisce
una prigione a cielo aperto.
Chris Hedges: a Gaza è in corso un “genocidio”
Ma è su Gaza che si concentra il cuore pulsante di questo libro. E qui Hedges non usa giri di parole:
quello che sta accadendo è un genocidio.


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Lo dice forte, chiaro, senza timore delle polemiche che questa parola inevitabilmente scatena. Il vero valore di Un genocidio annunciato sta nelle testimonianze e nelle storie che raccoglie che non possono essere dimenticate. Nessuno può farlo lettore, osservatore o giornalista.
Le storie sono tante. Quella di Amr Abdallah ad esempio: diciassette anni appena, ucciso mentre tentava di soccorrere i cugini feriti. Una scheggia di granata gli attraversa l’addome e la famiglia racconta ad Hedges:
“Lo hanno ucciso come si abbatte un cane randagio”.
Hedges si rifiuta di rifugiarsi solo nelle statistiche, pur impressionanti. Una guerra fatta di numeri certo: oltre 83.000 tonnellate di esplosivi, più di tutte le bombe sganciate su Dresda, Amburgo e Londra durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma fa di più. Preferisce raccontare i volti, le voci, le storie spezzate di un popolo costretto a scappare da una "zona sicura" all’altra, solo per scoprire che sicure non sono affatto.
Da Al-Qarara a Khan Yunis, da Rafah ad Al-Mawasi il calvario è infinito sotto gli occhi asettici di droni che non dormono mai.
Le radici del conflitto e i temi scottanti del presente
Quella di Hedges è una lezione di storia che brucia. Il cronista sa che per capire il presente bisogna scavare nel passato. Così ricostruisce le radici del conflitto attraverso figure come il dottor Abdel Aziz al-Rantisi, cofondatore di Hamas, la cui famiglia fu espulsa nel 1948.
Mi lasciò una ferita nel cuore che non potrà mai guarire. Hanno piantato l’odio nei nostri cuori
sono le parole di Rantisi, che l’autore riporta con la precisione chirurgica del cronista.
Il libro non evita i temi più scottanti. Il ruolo degli Stati Uniti - 140 miliardi di dollari in aiuti militari ed economici - el sionismo come ideologia. Hedges dimostra tutto il suo coraggio giornalistico, citando persino Alina Margolis-Edelman, sopravvissuta al ghetto di Varsavia:
Essere un ebreo significa stare sempre con gli oppressi e mai con gli oppressori.
Uno dei passaggi più toccanti riguarda le proteste studentesche negli atenei americani dimostrando quanto le università tradiscono se stesse. Hedges dipinge un quadro desolante della Columbia University - "Università Potëmkin": dove amministratori e donatori mettono il bavaglio a chi osa alzare la voce. Ma gli studenti resistono. Molti di loro ebrei e sono pronti a rischiare il proprio futuro pur di dire no al genocidio.
“Sono loro”, scrive Hedges con una punta di orgoglio, “la coscienza della nazione”.
La lettera aperta ai bambini di Gaza
L’apice arriva con la chiusura, che spezza davvero il cuore. Il libro si chiude infatti con una lettera aperta ai bambini di Gaza che toglie letteralmente il fiato. L’autore si rivolge direttamente a loro, ammettendo con dolorosa onestà l’impotenza del mondo adulto:
Il mondo non è stato capace di proteggervi
scrive ammettendo la sconfitta non solo dell’uomo e dell’umanità, ma del cronista che con la sua arma fatta di parole non ha saputo deviare le pallottole che hanno distrutto il futuro e la speranza.
Il suo è un finale che rimane impresso nella memoria. Più di ogni statistica. Un finale che non nasconde nulla, fra bambini uccisi e famiglie fatte di vite spezzate.
La scelta di Fazi Editore di pubblicare questo libro in un momento così delicato del dibattito pubblico merita un riconoscimento; in un panorama editoriale spesso appiattito su posizioni di comodo, Un genocidio annunciato ricorda che esistono storie che vanno raccontate, anche - e soprattutto - quando disturbano le coscienze. Lo stile di Hedges, poi, non lascia filtri o sottintesi buonisti o retorici. Non cerca di convincere con le parole, ma con i fatti; e sono fatti che parlano da soli con una chiarezza che fa male.
Un genocidio annunciato è uno di quei libri necessari che trasformano il lettore. Non è “solo” giornalismo, ma è una vera e propria testimonianza. Un’ode civile, da leggere per capire davvero il nostro difficile tempo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Genocidio annunciato” in Palestina: perché leggere il libro di Chris Hedges
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