Perché si scrive? Cosa ci spinge a scrivere? A ben vedere la scrittura è un’attività innaturale che ci fa stare chiusi in una stanza, lontani dal mondo e dalle relazioni sociali, a incaponirci nella ricerca ossessiva della “giusta parola” riga dopo riga, stracciando un foglio dopo l’altro, spesso salvando ben poco del copioso fiume di inchiostro che è stato versato. Un’attività che spesso agisce per sottrazione, mai per addizione, a differenza della maggior parte delle azioni umane che obbediscono al principio massivo della produzione, in ottemperanza con le leggi dell’economia.
Da questo punto di vista la scrittura può essere vista come un sacrificio o come una liberazione: chi è posseduto dal demone della creatività voterà senza dubbio la seconda opzione. Perché si scrive? Per lasciare una traccia, per ricordare, forse pure per vanità: per ripetere l’antica vanteria del cuore, come diceva Sylvia Plath, io sono io sono io sono.
Link affiliato
Una spiegazione esaustiva del “mestiere di scrivere” l’ha fornita la scrittrice Dacia Maraini attraverso una poesia, Scrivo perché, che può essere letta sia come una dichiarazione di intenti che come un solenne atto d’amore nei confronti della scrittura.
La poesia in questione è contenuta in un libro Amata scrittura. Laboratorio di analisi, scritture, proposte, conversazioni (Rizzoli, 2000, 310 pp.) che Maraini scrisse dopo aver condotto un programma televisivo di successo Io scrivo, tu scrivi.
Nella trasmissione Maraini commentava i manoscritti di aspiranti scrittori fornendo a ognuno un consiglio, un suggerimento, uno spunto di riflessione. Da quelle riflessioni erano nate, come spesso accade, altre domande che prevedevano risposte variegate e complesse. La risposta fu quindi il libro Amata scrittura , autentico compendio delle lezioni impartite nel corso del programma, in cui la scrittrice celebrava l’arte della scrittura e la sua irrinunciabile compagna e sodale, la lettura.
Nelle pagine del suo testo-manuale Maraini non si limita a elencare una serie di regole: forse perché da scrittrice vera sa - e capisce - che l’arte per definizione non può essere incasellata in una precisa scaletta o in una serie di nozioni prestabilite.
Amata scrittura nasce come breviario di scrittura, ma diventa ben presto un’opera di narrativa: vi confluisce tutta la passione di Dacia Maraini per la letteratura, vi si riversano i libri letti, sottolineati, amati, le interviste a scrittrici e scrittori - e persino la poesia.
La poesia Scrivo perché rappresenta la vera punta di diamante del testo: Maraini la compone usando la prima persona, dicendo “Io”, ma potrebbe avere un valore universale. Il senso e il significato del “mestiere di scrivere”, la bellezza e la fatica della scrittura, croce e delizia dell’anima: il sentimento creativo è tutto custodito in questo testo che infine si annulla nell’infinità di un colore, il blu, che è il colore dell’inchiostro, il colore dell’arte.
Scopriamo quali sono le ragioni della scrittura per Dacia Maraini. Ragioni antiche come il mondo e dedicate a tutti gli amanti della scrittura, della lettura e dell’arte.
Scrivo perché di Dacia Maraini: testo
Scrivo per non perdere il vizio
di dire le cose.
Scrivo nel tentativo di lasciare
una traccia.
Scrivo per paura che i pensieri
mi passino di mente.
Passeggio con la penna su questo
foglio bianco e lo lordo di idee.
Ci gioco, lo uso, mi faccio sedurre,
usare, tentare.
Con la penna dico tutto, non mento,
non ho pudore.
Dove la lingua esita e si ferma,
la mano scorre fluida e leggera.
Scrivo per guardarmi dentro.
Scrivo per fermare il tempo.
Scrivo per suscitare sentimenti e per
esprimere i miei.
Scrivo per dare un senso al silenzio.
Il cielo blu
il mare blu
l’inchiostro blu.
Scrivo perché di Dacia Maraini: analisi e commento
Si tratta di una poesia elementare, tutta giocata sulla ripetizione, che ha l’andamento lineare di una filastrocca e persino qualche rima. Colpisce la sensazione di climax che l’autrice riesce a infondere nel testo: si parte con una dichiarazione placida “scrivo per non perdere il vizio di dire le cose” e l’intenzione si sviluppa in un crescendo sino a sfociare in un grido: “scrivo per dare senso al silenzio”. Infine la penna sembra squarciare la silenziosa, tranquilla, indifferenza del cosmo, rivendicare l’umano nell’apparentemente immoto mondo naturale.
La scrittura viene qui rivelata nelle sue molteplici valenze e sfaccettature: è un tentativo di mantenere, non perdere, ricordare; è una sfida alla capacità di comunicare, esprimersi, imporsi; è la volontà di dire le proprie idee e affermarle con chiarezza; e, al contempo, è anche un gioco, un momento ludico, in cui svagare la mente e abbandonarla a redini sciolte nel processo creativo.
Maraini osserva che la penna è in grado di arrivare ben oltre le capacità umane, colloquiali, discorsive: la lingua si ferma, ha pudore; ma la penna no, la scrittura va oltre. In questa affermazione è racchiuso il potere prodigioso dell’arte che riesce a comunicare qualcosa di profondo, che va ben a ldi là della nuda apparenza fenomenica delle cose sensibili. La profondità e l’urgenza dell’atto creativo si mescola al bisogno di dire le cose che non si riescono - o non si possono dire - e tramandarle così agli altri in un esercizio costante di empatia. In questo la scrittura non può essere slegata dalla sua diretta compagna, la lettura, e scrittore e lettore sono uniti come l’uomo e la propria ombra.
Scrivo per “suscitare sentimenti” afferma Maraini e sembra dire: scrivo perché giunga a te. Le parole devono avere un destinatario ideale, necessitano di una mente che le assorba e le ascolti. L’espressione individuale si lega così a un’esigenza tutta umana di ascolto, condivisione, rapporto. C’è sempre un “noi” nell’Io individuale che scrive, un “noi” sottinteso nell’atto stesso di scrittura che presuppone - per attuarsi - l’esistenza di un lettore.
In un memorabile distico Dacia Maraini esprime il perché del suo bisogno di scrivere:
Scrivo per guardarmi dentro.
Scrivo per fermare il tempo.
In soli due versi viene definita l’inenarrabile catarsi del processo creativo: scrivi per affermare te stesso - per “guardarti dentro” come in un esercizio di ascolto terapeutico - ma nel momento in cui scrivi non sei più tu, esisti in un altro luogo, in un altro tempo, annulli tutti i confini dell’agire umano. Il processo creativo sembra risucchiarti in una vertigine, in un mondo altro, che va al di là delle comuni categorie spazio-temporali.
Abbiamo poi la dichiarazione finale, che suona come un urlo, un’invocazione, la suprema affermazione di sé:
Scrivo per dare un senso al silenzio.
Le parole scritte squarciano il vuoto del cosmo, ribadiscono l’essenza dell’umano dinnanzi al ciclo sempre uguale della natura con le sue leggi e stagioni. In quel silenzio sembra di leggere un riflesso della “morte”: l’uomo mortale sfida la propria mortalità lasciando una traccia, scrivendo, e attraverso la parola scritta annulla il silenzio (divino) e implacabile dell’universo, la “divina indifferenza” per dirla con le parole di Montale.
Il finale si annulla in un efficace cromatismo: blu è il colore dell’arte. Per Joan Miro era il colore dei sogni:
Ceci est la couleur de mes rêves
Così scrisse il pittore in un celebre quadro datato 1925, oggi conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. Nel dipinto vediamo soltanto una macchia blu dai bordi larghi, frastagliati, che però sembrano dire tutto e allargarsi a dismisura dinnanzi alla nostra percezione visiva sino a inglobarci al suo interno. Il colore dell’arte, il colore del sogno e, quindi, della creazione.
“Blu come il mare” - osserva Dacia Maraini nella sua conclusione - che è infinito e in perenne tumulto come l’anima, blu come l’immensità del cielo che ci suggerisce l’elevazione verso l’alto e, infine, blu come l’inchiostro di questa penna che sembra contenere in sé mare, cielo e l’essenza stessa del prodigio.
Maraini alla domanda Perché scrivo sembra dare la stessa risposta di Joan Miro. La conclusione è un colore primario, assoluto: blu, che sembra riassumere il rapporto panico dell’uomo con l’intero universo, la comunione del singolo individuo con l’enigmatica e misteriosa complessità del cosmo.
Blu, dunque, per dire tutto: arte, vita, sogno, il potere trasformativo di un gesto che sembra custodire in sé il miracolo stesso della creazione.
“In principio era il Verbo”, così, del resto, era scritto in un certo libro.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Scrivo perché: la poetica dichiarazione di scrittura di Dacia Maraini
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Scrivere un libro Dacia Maraini
Lascia il tuo commento