

La condanna alla damnatio memoriae decretata da una parte del mondo intellettuale ed editoriale nei confronti di Robert Brasillach forse è terminata con l’impegno della Mondadori di pubblicare, nella popolare collana economica degli Oscar, Sei ore da perdere, uno dei romanzi del controverso scrittore e giornalista francese, colpevole di essere stato un collaboratore del Terzo Reich durante la repubblica di Vichy e per questo giustiziato con la fucilazione il 6 febbraio del 1945.
Pochi mesi fa, nell’ottobre 2024, la sottosegretaria all’istruzione Paola Frassinetti scriveva su un post “Il fascismo immenso e rosso” citando le parole di Brasillach e facendo scoppiare la polemica politica, con la richiesta da parte delle opposizioni delle sue dimissioni. La notizia venne ripresa da diverse testate giornalistiche e pure dalla popolare trasmissione “Otto e mezzo” di Lilli Gruber, con i commenti dei giornalisti Andrea Scanzi e Paolo Mieli. Mentre il primo con durezza ricorda che lo scrittore francese è stato filo-nazista, il secondo ne difende l’opera letteraria, tra cui l’originalità del romanzo I sette colori (SE, 2019).
L’uomo o l’artista? Storia di un dilemma
Si può leggere un romanzo e apprezzare un’opera artistica senza tenere conto degli scheletri nell’armadio, dei crimini, dei vizi, della follia e delle malefatte del suo autore? Quanto è importante la biografia e la reputazione di uno scrittore e di un poeta, rispetto alla sua attività creativa?


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Il dibattito tra critici e biografi è aperto da tempo ed è ancora irrisolto, da quando il critico letterario Charles de Sainte-Beuve (1804-1869) s’interrogava sulla necessità, al fine di comprendere l’opera di un artista, di conoscerne la biografia, di tracciarne un ritratto, mentre Marcel Proust (1871-1922) giudicava fuorviante l’impianto metodologico e ne scrisse vari articoli, raccolti nel saggio Contre Saint-Beuve, pubblicato postumo nel 1954. Per l’autore de La Recherche, l’opera di uno scrittore non ha nulla a che vedere con la biografia e con le circostanze della sua vita, ma è qualcosa di molto più profondo in quanto i libri sono
il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi.
Pertanto, non è detto che uno scrittore sia una persona perbene e un onesto cittadino e che il valore e il successo della sua opera dipenda dalla sua biografia.


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Caravaggio ebbe una condanna per omicidio. Verlaine fu condannato per aver tentato di uccidere Rimbaud. Pure Cervantes fu sospettato di omicidio. Ezra Pound fu imprigionato, dapprima letteralmente dentro una gabbia d’acciaio e poi in un ospedale psichiatrico criminale, con l’accusa di essere stato un fascista. E che dire della vita antisociale e dei furti di Jean Genet, l’autore di Diario di un ladro e di Querelle di Brest, anche lui, come Brasillach, imprigionato a Fresnes?
Poi molto dipende dalle circostanze e dal profilo culturale e valoriale di un’epoca. Un tempo la sfera della sessualità era soggetta alla morale pubblica e un diverso orientamento poteva essere un indizio di indecenza e addirittura un reato. Leonardo da Vinci fu accusato di sodomia, Oscar Wilde fu condannato ai lavori forzati per omosessualità. Inoltre, per un artista riconoscersi in una ideologia, a maggior ragione durante un conflitto bellico o una rivoluzione, può decretare il suo successo o la sua infamia.
Robert Brasillach: la vita e l’opera
Ma ritornando a Brasillach, chi era costui? Anche per il motivo che pochi lo conoscono e pochissimi in Italia hanno letto i suoi libri. Anche lo scrittore e critico Pierfranco Bruni, che ha dedicato nel 1990 un saggio all’autore francese La voce e i destini (Demetra) e ora esce con un nuovo libro Brasillach, in tragico d’infinito (Solfanelli, 2025), si chiede:
Ma chi è stato realmente Robert Brasillach? E perché è stato ucciso? La poesia muore sotto i colpi dei proiettili. Sarebbe necessario parlarne senza retorica e demagogia.
Ha scritto Giacomo Giossi su “Il Foglio” del 22 novembre 2023 che
In un tempo in cui la parola guerra è tornata ad affacciarsi prepotentemente nella nostra quotidianità, appare ancora più urgente e necessario provare a leggere tra le parti e interpretarne le ragioni (anche quelle sbagliate), scandagliando la realtà e le sue contraddizioni con più forza e con più forza riconoscere l’umano nelle sue vette come nei suoi abissi anche là dove lo si era rimosso.


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Giornalista, poeta, scrittore e critico cinematografico, Robert Brasillach nacque nel 1909. Dopo gli studi presso la prestigiosa École normale supérieure di Parigi, iniziò nel 1931 a collaborare alla pagina letteraria del quotidiano di estrema destra “L’Action Française” e pure con il settimanale “Je suis partout”, di cui divenne nel 1937 redattore capo fino all’agosto del 1943. Sulla sua attività di giornalista si veda Brasillach giornalista. 1941-1944. Gli anni della collaborazione (Edizioni del Solstizio, 2022) che raccoglie una selezione degli articoli pubblicati su “Je suis partout” e “Révolution Nationale”.
Negli anni Trenta pubblicò, tra saggi e romanzi, diverse opere tra cui: Le proces de Jean d’Arc (1932), L’enfant de la nuit (1934), Histoire du Cinéma (1935), Corneille (1938), Le sept couleurs (1939), La Conquerante (1942), Six heurse à perdre (1944) e Le quattre Jeudis (1944).
Partecipò come ufficiale di artiglieria alla Seconda Guerra mondiale e fu fatto prigioniero e internato in un campo di concentramento tedesco dal giugno del 1940 al marzo del 1941. Una volta liberato sostenne fino all’ultimo le politiche fasciste, nazionaliste e antisemite del governo del maresciallo Pétain.
Brasillach, dopo lo sbarco degli Alleati in Normandia, si rifiutò di fuggire in Germania a Sigmaringen, come fece Céline, e si nascose nel Quartiere latino a Parigi. Il 14 settembre 1944 si costituì alle autorità francesi per salvare l’anziana madre che era stata arrestata e fu imprigionato nel carcere di Fresnes. Durante la prigionia scrisse, con un pennino infilato nel beccuccio della pipa, una sorta di autodifesa, un memorandum intitolato Le ragioni del mio impegno, la Lettera ad un soldato della classe ’40, il saggio dedicato ad André Chénier e la raccolta poetica Poemi di Fresnes.
Il processo davanti alla corte di assise cominciò alle ore 13.00 del 19 gennaio 1945 per terminare alle 19.00 dello stesso giorno. Al contrario di altri scrittori collaborazionisti ai quali fu concessa la grazia, tra cui L. Rebatet e P.A. Cousteau, per Brasillach il generale De Gaulle fu intransigente, nonostante una petizione firmata da Paul Valéry, Albert Camus, François Mauriac, Jean Cocteau, Colette e da altri famosi intellettuali e accademici.
Come si legge in La morte in faccia (Poemi di Fresnes), scritto poche ore prima di essere fucilato il giorno 6 febbraio 1945:
Se ne avessi avuto il tempo, avrei scritto, senza dubbio, sotto questo titolo il racconto dei giorni che ho vissuto nella cella dei condannati a morte di Fresnes. Si dice che la morte, come il sole, non possa guardarsi in faccia. Tuttavia ho tentato. Non ho nulla in me di stoico, ed è duro sottrarsi a ciò che si ama. Ma io ho tentato pure di non lasciare, a quelli che mi vedono o che pensano di me, una immagine indegna.
Robert Brasillach: le accuse di antisemitismo e il dibattito
Sulla biografia di Brasillach molto è stato scritto e le accuse di antisemitismo e di delazione verso antifascisti e resistenti dalle pagine del settimanale “Je suis partout” sono note, ed è per questa ragione che il tribunale francese lo condannò alla pena capitale, forse l’unico tra i giornalisti e gli intellettuali di quella tragica epoca a pagare con la vita la sua scelta ideologica di essere stato dalla parte sbagliata. Mentre per il più compromesso maresciallo Pétain, accusato di tradimento e di collaborazione con il nemico, la condanna a morte fu commutata in ergastolo.


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Bisogna ricordare che tra gli scrittori militanti della destra collaborazionista francese Céline, condannato in contumacia ad un anno di carcere, fu in seguito costretto per anni all’oblio letterario, come accadde per Lucien Rebatet, autore di Non si fucila di domenica (Le Pleiadi, 1981 e Mimesis, 2018), mentre Drieu La Rochelle si suicidò nel marzo del 1945 per il timore di essere arrestato.
Ma se Céline è annoverato come uno dei più grandi scrittori francesi del Novecento, Drieu La Rochelle è stato pubblicato nella più prestigiosa collana dell’editore Gallimard e alcune sue opere dagli editori italiani Sugar, Garzanti, Rusconi, Longanesi, Guanda, Passigli, Robin, SE.
Robert Brasillach: le pubblicazioni italiane e la fine dell’ostracismo


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In Italia l’opera di Brasillach è stata per la maggior parte pubblicata da piccoli editori come All’Insegna del Pesce d’oro, Scheiwiller, Medusa, Eclettica e da editori militanti come le Edizioni del Solstizio, Edizioni il Settimo Sigillo, Libreria Europa, Edizioni Ciarrapico. La casa editrice SE, che ha in catalogo opere di Mishima, Weill, Gide, Arendt, Rosselli, Bettelheim, Deleuze, pubblica nel 2019 I sette colori (2019).
Anche la raffinata casa editrice milanese Settecolori, diretta da Manuel Grillo, che vanta anch’essa un prestigioso catalogo, ha pubblicato di Brasillach, seppure in edizione numerata, La ruota del tempo (1985), Sei ore da perdere (2023) e Il tempo che fugge (2024).
Sarà proprio la Mondadori, con l’accordo siglato con la casa editrice indipendente Settecolori, a rilanciare Brasillach e a farlo conoscere al grande pubblico, ripubblicando in edizione economica il romanzo Sei ore da perdere, rompendo di fatto quella sorta di ostracismo culturale nei confronti del discusso scrittore francese.
Il libro, con il doppio marchio Settecolori e Mondadori, uscirà nell’ottobre del 2025 nella collana Oscar Moderni.
Gli Oscar Mondadori, nati nel lontano 1965, sono libri economici “adatti a tutte le tasche” e “libri di massa”, e nel tempo sono diventati l’espressione del successo di un’opera e di un autore. Nel comunicato stampa la Mondadori sottolinea che
da sempre leader di mercato nel tascabile, gli Oscar Mondadori hanno stretto un nuovo accordo nell’ambito di una più ampia politica editoriale tesa a riproporre in edizione economica importanti titoli di marchi indipendenti, seguendo una virtuosa consuetudine del mondo editoriale anglosassone e francese.
“Sei ore da perdere”: il romanzo di Robert Brasillach


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Il romanzo, uscito per la prima volta a puntate su il settimanale “La Révolution nationale” dal marzo al giugno del 1944, narra del giovane ufficiale Robert B. che di passaggio a Parigi durante l’occupazione tedesca, dopo tre anni di internamento nel campo di Oflag, nell’attesa di un treno che dalla Gare de Lyon lo riporti a casa, si mette alla ricerca della donna, la misteriosa Marie-Ange, di cui si è innamorato un suo compagno di prigionia.
La virtuale fascetta del libro pubblicato in sole mille copie nel 2023 da Settecolori riporta la seguente frase:
Un noir degno del miglior Simenon scritto dall’ormai disilluso cantore della “giovinezza fascista”.
Nell’Introduzione, Roberto Alfatti Appetiti scrive:
Bentornato, Brasillach, negli inconsueti panni di investigatore alla Maigret, di indagatore dell’animo umano, di grande affabulatore, di curioso e coraggioso sperimentatore di innovative strutture letterarie in grado di superare la ricorrente crisi del romanzo tradizionale.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Robert Brasillach, lo scrittore francese condannato a morte 80 anni fa
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