L’idea per questo articolo mi è balenata in quanto lo scorso 18 gennaio, in Roma, a Palazzo Baldassini (già di proprietà di monsignor Della Casa, autore del Galateo), sede dell’Accademia della Crusca è stata svelata una lapide in memoria di Pietro Bembo, grande protagonista del Rinascimento veneziano.
Conosciuto come il “principe dei grammatici” fu il primo a disciplinare l’uso della lingua italiana attraverso un testo divenuto celebre in tutta Europa con il titolo Le prose della volgar lingua (1525).
Scopriamo la sua vita e le sue opere.
Chi era Pietro Bembo, il letterato-linguista
Pietro Bembo fu un linguista e un letterato italiano, nato a Venezia il 20 maggio 1470 da una ricca famiglia del patriziato locale.
Egli ebbe una formazione umanistica completa. Infatti, tra il 1492 e il 1494, a Messina, studiò la lingua greca presso la scuola del filologo Costantino Lascaris. Ritornato a Venezia, collaborò con il grande stampatore Aldo Manuzio presso cui pubblicò il suo primo testo: una breve prosa latina intitolata De Aetna (1496).
Nel 1501, sempre per Manuzio, curò un’edizione delle Rime del Petrarca e una della Commedia dantesca (1502).
Tra il 1497 e il 1499, con il padre, il Nostro fu presso la corte ferrarese dove approfondì gli studi filosofici. Rientrato in Venezia, s’innamorò della nobile Maria Savorgnan. Questa figura femminile, così come l’altra sua amata, Lucrezia Borgia, sorella del Valentino, lasciò tracce importanti nella sua opera.
Il Bembo, nel 1505, sempre con il tipografo Manuzio, pubblicò gli Asolani, dialoghi in tre libri in cui si alternano poesia e prose.
È il tipico prodotto della letteratura cortigiana d’influsso neoplatonico, trattando dell’esperienza amorosa. La novità dell’opera consiste nel fatto che il tema dell’amore è sviluppato non più solo nella canonica forma poetica, ma anche in quella prosastica. Le rime presenti si segnalano per uno stile alquanto petrarchesco assai rigoroso.
Nel 1506 il Bembo si trasferì da Venezia presso la corte urbinate dei Montefeltro, abbracciando quindi la carriera ecclesiastica non per vocazione, ma per esigenze di indipendenza economica (e letteraria).
La polemica con Pico e il trattato “De Imitatione”
Al periodo urbinate, durato sei anni, appartengono le Stanze, cinquanta ottave di stile petrarchesco recitate a corte nel 1507.
Nel 1512, a Roma, divenne segretario del Sommo Pontefice Leone X, ovvero Giovanni di Lorenzo de’ Medici (nato nel 1475).
Appartiene a questo periodo la polemica con l’umanista Giovan Francesco Pico e la conseguente stesura del trattato De imitatione, in cui si sostiene la necessità per la prosa di imitare un solo scrittore: l’oratore Marco Tullio Cicerone.
Nel 1522, Bembo si stabilì a Padova, città in cui progettò e ultimò le Prose della volgar lingua (1525), il suo vero, autentico e unico capolavoro.
“Le Prose della volgar lingua” di Pietro Bembo
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Le Prose della Volgar lingua sono un trattato in tre libri che, in forma di dialogo, svolge il tema della lingua e della letteratura in volgare.
Stabilita la necessità di usare il volgare come lingua letteraria, nel primo libro, sostiene il recupero della lingua toscana di Dante, e, soprattutto, di Boccaccio e di Petrarca come lingua letteraria nazionale, in opposizione a chi, come Machiavelli, proponeva l’uso della lingua delle corti o quello del fiorentino contemporaneo.
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Nel secondo libro, in riferimento specifico alla poesia del Petrarca, il Bembo individua nei testi del grande trecentista il modello di perfezione stilistica, metrica e retorica da imitare per i versi.
Nel terzo libro Bembo detta le regole grammaticali della lingua volgare unitaria ricavandole dai testi dei tre grandi scrittori del ‘300.
In codesta maniera viene delineato un “classicismo del volgare”, in grado di superare in modo unitario l’ibridismo linguistico e stilistico dei vari volgari italiani scritti.
La soluzione di Pietro Bembo, pur suscitando parecchie obiezioni (si vedano quelle del Castiglione nel Cortegiano), riuscì a imporsi nella Società letteraria italiana.
Infatti Ludovico Ariosto modificò la lingua dell’Orlando Furioso, e molti altri scrittori si adeguarono alle norme ed alle regole codificate (per la prima volta in modo sistematico ed unitario) dal Nostro.
L’anno 1525 (prima edizione delle Prose bembesche), può essere considerato la data d’inizio dell’affermazione in sede letteraria del toscano ed è solo da tale data che si può, a ragione, distinguere tra “lingua e dialetto”.
Infatti quest’ultima categoria presuppone l’esistenza di una lingua unitaria, sia pure solo sul piano letterario.
Pietro Bembo e la nomina a Cardinale
Divenuto Pietro Bembo ormai celebre, nel 1530 pubblicò le Rime, che costituivano l’applicazione dei suoi precetti linguistici in campo poetico.
In quel medesimo anno fu nominato storiografo e bibliotecario della Serenissima Repubblica di Venezia, per la quale redasse l’Historia veneta.
Nel 1539 il Papa Paolo III, ovvero Alessandro Farnese (nato nel 1468), lo nominò Cardinale di Santa Romana Chiesa.
Prima della morte (avvenuta a Roma il 18 gennaio 1547), il Cardinal Bembo fu anche vescovo di Gubbio e di Bergamo.
Ma non smise mai di occuparsi di letteratura e preparò edizioni definitive delle proprie opere latine e volgari che uscirono postume.
Raccolse inoltre le proprie lettere in un Epistolario, anch’esso pubblicato dopo la sua morte.
Ludovico Ariosto scrisse a proposito di Pietro Bembo:
Pietro Bembo che ‘l puro e dolce idioma nostro,/ Levato fuor del volgar uso tetro,/Quale esser dee ci ha col suo esempio mostro.
Concludo con una citazione di Francesco Flora, noto storico della Letteratura Italiana:
Il Bembo concepì, dunque, umanisticamente anche il volgare: nel che riprendeva l’insegnamento di Dante il cui autore fu Virgilio, e del Petrarca che gli spiriti dei classici trasfuse nel “Canzoniere”.
Bisognerà giungere al Romanticismo in Europa perché alle vaganti reazioni della cultura contro la grigia abitudine di una male intesa “imitazione” sottentri un senso storico e non più dommatico della letteratura italiana.
Bibliografia
- Francesco Flora “Storia della Letteratura Italiana”, Arnoldo Mondadori Editore, XI
Edizione, 1959, Volume II, “Pietro Bembo”, passim;
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Pietro Bembo, il linguista che disciplinò la “volgar lingua”
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