Piero alla guerra
- Autore: Laura Pariani
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2015
Scrivere di guerre per esorcizzare la guerra. È una storia antimilitarista quella che Laura Pariani racconta in un romanzo breve, pubblicato nel 2015 per le edizioni novaresi Interlinea, Piero alla guerra (96 pagine, 15 euro). Anzi, sono tre storie, di tre Piero (Pieru nel 1915-18, Pietrino nel 1940-45, Pedro nel 1982), ma ne fanno una sola, ispirata dal soldato della canzone “La guerra di Piero”, composta dal cantautore genovese Fabrizio De Andrè a metà degli anni Sessanta
Sparagli Piero, sparagli ancora e dopo un colpo sparagli ancora, fino a che non lo vedrai esangue, cadere in terra a coprire il suo sangue.
Pieru Crivelli ha solo 15 anni quando vede giovani e meno giovani in età di arruolamento radunati nella piazza del paese, con la banda a suonare e il sindaco a fare un discorso patriottico per chi parte per la Grande Guerra.
Il vecchio sciur conte commenta che saranno “vestiti, alloggiati e mangiati a spese dello Stato per mesi e mesi” e nessuno osa dirgli che la sua osservazione è sciocca e sgrammaticata. I paesani sono gente semplice, distratta da una preoccupazione: chi curerà le stalle, chi baderà alle vacche, chi andrà nei campi?
Eppure la domenica, dall’altare, il parroco aveva detto chiaro e tondo che la guerra è sangue e morti, ma se la sono meritata, per colpa dei loro peccati e di quel framassone del re, che reca tante pene al buon papa di Roma.
Pieru è quindicenne, la cartolina precetto non lo riguarda, ma il lavoro nei campi sì, ora tocca a lui e al fratello maggiore. Di sette figli, quattro sono femmine e l’ultimo, Centèn, ha solo due anni.
Vent’anni dopo, Pietrino Crivelli è sul punto di emigrare in Sud America. Meziu Centèn gli scrive dall’Argentina che nella Merica c’è tanto da fare, che si è perfino comprato una fattoria nella provincia di Santa Fè e che ha messo su famiglia. Ma la Niní non ci sta a fare la vedova bianca con la bambina al collo e poi è arrivato il 1939 e Mussolini ha chiuso le frontiere agli emigranti.
Nella primavera 1982, Pedro Crivelli parte dall’Argentina per le Islas Malvinas. Gli inglesi, quei viziosi sempre ubriachi e negatori dei valori della brava gente, le chiamano Falklands e le hanno rubate al popolo argentino. L’esercito di Videla sta sbarcando nelle “sue” isole senza combattere: aviazione, marina e incursori hanno sopraffatto in fretta una resistenza simbolica. “Sarà una passeggiata” pensa Pedro. Con orgoglio patriottico guarda le illustrazioni dei giornali che raccontano di navi inglesi messe in fuga, di sottomarini affondati, di elicotteri in fiamme. Gli sfugge che gli mostrano solo disegni. Perché non fotografie?
Il primo Piero non pensava di venire coinvolto in una guerra che credeva prossima alla fine. Il secondo alla guerra non ci pensava affatto. Il terzo non pensava che la propaganda della Giunta militare gli stesse raccontando solo balle.
Invece la guerra del ‘15 proprio non ne vuol sapere di finire. Teresio ha solo un anno di più e l’hanno già arruolato, ora chiamano anche la classe 1899 di Pieru e il ragazzino va a marciare in caserma con altri ragazzini, a dire sempre “signorsì”, ad ingoiare sgridate senza fiatare. Non è buono per radersi, perché non gli è venuta ancora la barba, ma è già buono per andare a morire.
Pietrino parte per il fronte russo con la testa piena di boiate, nel 1942: “credere, obbedire, combattere” e roba del genere. Papà Teresio ha combattuto la prima guerra del 15-18 e quando è tornato ha mandato tutti al diavolo, perché non solo non si era vista assegnare la terra che il re piccoletto aveva promesso in proprietà ai combattenti, ed era saltato pure il lavoro che faceva prima. Sul Piave non gli avevano dato neanche l’elmetto, che non ce n’erano abbastanza e al figlio ora toccano le stesse miserie: nella neve con le scarpe che si sfondano perché sono le stesse dei fanti mandati delle sabbie d’Africa.
Pedro, sbarcato a Puerto Argentino, non ci mette molto a convincersi che se sono andati a liberare quelle “isole de mierda” potevano anche restare a casa. È un posto freddo, meschino, coperto di guano degli uccelli. Hanno voglia gli ufficiali a ripetere che la guerra è praticamente vinta, se dicono “praticamente” non è vinta, vuol dire ch’è ancora da fare, contro un esercito di professionisti tra i più agguerriti al mondo, mentre loro sono soldati di leva, il terreno è infame, le buche appena scavate si riempiono di fango, i rifornimenti non arrivano, le comunicazioni radio non reggono e le uniformi non bastano a difenderli dal gelo.
I tre Piero sono generazioni di parenti, alle prese ciascuno con la guerra, le sue regole mortali e l’approssimazione criminale di chi li ha mandati a combattere sul Piave, nella Russia sconfinata e nelle gelide isole quasi antartiche.
A casa mamma Nina prega ogni sera per i suoi al fronte, specie Pieru, il piscinen. A casa, Ninì aspetta Pietrino, chissà quanto freddo soffre in quella terra senza fine. A casa, Anita cerca d’informarsi su quello che fanno nelle Malvine, dove hanno mandato il suo Pedro. Gli inglesi sono arrivati dalla loro Europa tanto lontana e non se ne andranno facilmente.
Sparagli ora e se non basta sparagli ancora, ma Piero non ha premuto il grilletto. Dorme sepolto in un campo di grano.
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