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Storia della letteratura

Le lezioni di Italo Calvino, a 30 anni dalla morte

Leggete, leggete Calvino: è il modo migliore per dire che trent'anni non hanno potuto nulla su questo grande uomo, su questo grande scrittore.

Chiara Pellegrini
Chiara Pellegrini Pubblicato il 19-09-2015

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Le lezioni di Italo Calvino, a 30 anni dalla morte

19 settembre 1985: Italo Calvino, nell’ospedale di Siena, all’improvviso, muore. Trent’anni sono lunghi, il vuoto è facile da avvertire, non da riempire, perché per la sua assenza sembra averci voluto lasciare una presenza. Il potere dei libri è proprio il rimedio all’assenza: le parole e le storie sono la voce eterna di uno scrittore, soprattutto se quello scrittore è Calvino. Io mi fermo ad un personaggio, che ho preferito tra i tanti, il barone Cosimo Piovasco di Rondò, che sale su un albero e non ne scende più e tutti sono lì a cercarlo, chiamarlo, ma lui cammina sugli alberi, senza toccare terra. Un folle, un ostinato, di quelli che quando li conosci li riconosci, che quando ti entrano nel cuore difficilmente se ne vanno. Cosimo, uguale e diverso da tutti gli altri: diverso nei desideri, uguale nei sentimenti. "Il barone rampante" è non è solo un libro, ma la tappa di un viaggio, il viaggio che Calvino compie dentro di se’, regalandoci la possibilità di parteciparvi... allora il suo viaggio diventa pure il nostro, i suoi incontri diventano i nostri incontri, i suoi personaggi diventano i nostri amici, le sue lezioni diventano le nostre più preziose speranze.

Arrivo così a dirvi qualcosa sulle sue "Lezioni Americane", che sono preziose, preziosissime, più dell’oro, del diamante. Non le ha potute discutere, non ha potuto per colpa di quel destino che ha deciso di anticipare di troppo la mossa finale... così quelle lezioni sono arrivate al mondo per come le aveva preparate, scritte, pensate volute, mai discusse purtroppo. Io però voglio immaginarmelo, all’università di Harvard, davanti a una bella platea di studenti a raccontare il mondo, il futuro, le invettive, le radici, i valori, le idee che sono in giro e ci riguardano, nel 1985 come nel 2015, le cose, le non cose. Lezioni che non sono lezioni, ma stimoli, riflessioni, questioni, domande, possibili risposte. Lui parla, dice tutto fino alla fine, quando il silenzio si ricompone, la voce di Calvino tace e gli studenti rimangono muti, davanti al miracolo di un uomo che ha saputo trovarli, guardarli, nominarli, identificarli... perché ogni lezione ha un titolo ed ogni titolo è una parola che può identificare qualcosa dell’uomo, come della vita stessa: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza (l’ultima lezione purtroppo solo progettata). Non so dire altro se non che mi sarebbe piaciuto vedere quell’italiano che in terra americana andava a parlare di libertà (non citandola espressamente, ma comunque nelle sue parole ce ne è sempre tanta). Una citazione, rimasta addosso a me, forse a tanti, è l’ultima cosa che mi permetto per ricordarlo:

"Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio."

Niente da aggiungere. Leggete, leggete Calvino: è il modo migliore per dire che trent’anni non hanno potuto nulla su questo grande uomo, su questo grande scrittore.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le lezioni di Italo Calvino, a 30 anni dalla morte

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