Si intitola “Libro delle croci” l’ultima sezione di “Poesia in forma di rosa” di Pier Paolo Pasolini, comprendente testi, i cui versi riproducono la forma della croce: simbolo privilegiato tant’è che, ha rilevato Marco A. Bazzocchi, col segno della croce si chiude “Accattone”; sulla croce muore Stracci, protagonista della “Ricotta” e con le braccia legate a croce muore Ettore in Mamma Roma.
Il simbolo della croce in Pasolini
Oltre alla rosa, è dunque caro a Pasolini un simbolo fra i più anticamente esoterici. Si potrebbe appena dire che la sua presenza si registra fin dal neolitico e simbolizza la terra. La croce è legata al numero quattro, e non a caso siamo nella quarta sezione della raccolta. È il simbolo della pienezza, della totalità e dell’universalità. Contraddistingue i differenti piani del modo materiale ed esprime l’orientamento dei quattro punti cardinali: del soggetto verso se stesso; nello spazio e nel tempo. I quattro bracci hanno un valore cristologico-teologico: il personaggio è appunto Cristo visto tra morte e resurrezione.
“La nuova storia”: testo e analisi della poesia di Pasolini
La prima poesia della sezione si intitola “La nuova storia” e racconta il volo dell’anima del poeta che, morto, vola su una città del Nord, scorgendo un panorama di grattacieli e di borghesi che si ritengono i dominatori del mondo. Vola la sua anima fino ad essere accolta da un arco dalle caratteristiche confuse. Più probabilmente un arco di trionfo di pietra o di fiori. Ad ogni modo, accoglie la rosa di sangue raggrumato, il pugno di sangue luminoso in cui si manifesta l’essenza dell’anima. Il futuro, tanto celebrato dai moderni, è percepito come opposto alla pietà e alla speranza, virtù ignote agli uomini contemporanei. Poi la sua anima muta in un pezzo di giornale spinto dal vento tra i piedi di Angeli: sono essi gli angeli che attraversano le strade di questa nuova Città. Si potrebbe ora dire la croce è da associarsi a Pasolini stesso. Se essa è il luogo del sacrificio, il punto all’incrocio dei due bracci è messianico: da lì la Storia ricomincia e riprende il suo corso.
Da quel gabbione uscii…
Nessuno mi guardava.
Per quale distrazione?
Per quale pensiero immerso
senza pietà nel cuore?
Per quale esclusiva
incomunicabile passione?
Come una vecchia carta,
un pezzo di giornale trascinato
sul lastrico dal vento,
vagavo, ignorato, contro i cantoni
di marmo e ottone,
gli alberelli severi del Nord,
i vetri di una Banca…
Il futuro dell’uomo!
Nessuno sapeva più nulla della pietà,
della speranza: sapevano
in questa accanita città,
solamente il futuro, come già seppero la vita.
Ognuno l’aveva in cuore,
passione quotidiana, scontata
novità, luce della nuova storia.
E io senza più capire
cosa aveva potere d’importargli,
di avere per loro significato
di farli ridere, di farli piangere,
ero un vecchio pezzo di giornale
trascinato dal nuovo vento
tra i loro piedi di Angeli.
In un certo senso, l’incipit richiama il carattere orfico-pitagorico e anche platonico dell’ispirazione, giacché ha come fondamento il volo dell’anima liberatasi dalla prigione della corporeità. Ma non rientra nella prospettiva dell’oltre e dell’altrove il suo percorso. Lo sguardo del poeta resta rivolto al mondo e al modo in cui gli uomini vivono fra loro. L’assenza dello sguardo è la sua prima constatazione ed egli vuole capire il perché. Si interroga e formula alcune ipotesi che risultano sconfortanti, quali l’incomunicabilità e la mancanza di pietà nel cuore. La parola poetica entra nell’oscuro vivere. Spietata è la vita che il poeta scorge e gli si mostrano i segni d’un futuro dove un senso non c’è tranne quello del profitto. Angoscioso è il vedere che si chiude nella solitudine.
Il discorso sembra sempre più scettico rispetto a opportunità di rinascita, giacché l’uomo è sopraffatto dal dominio, dall’agguato, dall’indifferenza. C’è in Pasolini il bisogno di indagare, di conoscere per dare un’esegesi a eventi e gesti; fruga fra le ombre e gli inganni dell’esistenza, ma la verità gli si rivela desolatamente amara e dolorosa. Apocalittici potremmo dirli questi suoi versi e visionari e profetici ad un tempo. Il movimento della storia non ha il carattere della progressività, ma è fondamentalmente regressivo: la mercificazione, che ha condotto all’anonimato del vivere, fa affiorare una ferinità nascosta nell’apparenza della civiltà dove manca la dimensione del futuro.
“La nuova storia” è una poesia essenziale che, vissuta e sofferta, narra anche il rifiuto dell’economicità per una tacita riproposta dell’umano nell’uomo. L’unica possibilità è la denuncia, ma la sua vitalità si capovolge nella disperazione del marxista deluso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La nuova storia”: il volo dell’anima di Pier Paolo Pasolini in poesia
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