La macchina in Corsia Undici di Charles Willeford

La macchina in Corsia Undici (Adelphi, 2007, collana Biblioteca minima, traduzione a cura di Matteo Codignola) è un racconto breve in cui un uomo, il protagonista, descrive la sua degenza in un ospedale psichiatrico.
Fino a qui, verrebbe quasi da dire, nulla di nuovo e invece lo stile con cui l’autore di questo mirabile racconto, lo scrittore statunitense Charles Willeford, descrive la sua permanenza in un luogo in cui gli altri sono matti, mentre lui è sano, è da brivido. Perché mentre leggiamo il racconto, che il suo personaggio in prima persona fa di sé e degli altri che vivono all’interno della struttura, ci sembra di poterlo seguire in un luogo pericoloso ma tutto sommato accettabile, comprensibile, in fondo anche giustificabile. Solo a un certo punto, e forse non ce ne accorgiamo nemmeno, noi lettori cominciamo a sospettare che l’uomo non sia poi così sano e che tutto il suo mondo stia per crollare.
Quello che succede, ciò che accade davanti a noi, è un vorticoso raccontare, con uno stile preciso e tagliente, quello che si può considerare il puro terrore di una persona che deve affrontare l’elettroshock e che, se anche fosse matto, sa che quello che lo aspetta è terrificante. Lo stile di Willeford non fa sconti e proprio per questo motivo diventa difficile immaginare un racconto meglio azzeccato, in cui il protagonista racconta di sé con la stessa forza narrativa con cui potrebbe raccontare un episodio che non lo riguarda e contemporaneamente non può fare sconti né a se stesso, né alle sue azioni.

Se decidete di leggere questo racconto, la cui traduzione di Matteo Codignola è mirabile quasi quanto la scrittura di Willeford, non potrete poi non leggere gli altri romanzi di questo autore che ha affrontato mille vite e rimane un personaggio misterioso con una raro talento narrativo.