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Curiosità per amanti dei libri

La lettura può ripristinare la nostra autenticità linguistica?

Oggi il linguaggio sembra aver perduto quella capacità di riflettere emozioni e sensazioni autentiche. Le parole che scegliamo ci appartengono realmente? Scopriamo come la lettura può aiutarci a ripristinare la nostra autenticità linguistica.

Cristi Marcì
Cristi Marcì Pubblicato il 05-11-2022
La lettura può ripristinare la nostra autenticità linguistica?

Al giorno d’oggi il linguaggio sembra aver perso quella profondità e, in particolar modo, quell’unicità in grado di riflettere emozioni, sentimenti e vissuti esperienziali in sintonia con quanto di più profondo ci abita. Spesso non siamo in grado di esprimere i nostri pensieri più autentici poiché non risulterebbero idonei con quanto ci circonda.

Il linguaggio parlato e scritto, negli ultimi anni, sembra aver vissuto un radicale cambiamento, in quanto quello che più ci caratterizza si trova a fare i conti con “i codici di significato automatici socialmente accettati”. Ciò significa che le modalità espressive non risentono più di quella genuina autenticità, bensì appaiono totalmente uniformate alle richieste provenienti dall’esterno; uno spazio, quest’ultimo, che sembra soppiantare le cosiddette “connotazioni soggettive”.

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Secondo quanto riportato da Morelli:

Tutta intenta a concentrarsi su questo acme che è il pensiero, la filosofia dimentica che prima del pensiero c’è il sogno, che prima delle idee chiare e distinte vi sono le immagini che incantano e svaniscono.
Considerato nel suo complesso, l’uomo è un essere che non soltanto pensa, ma innanzitutto immagina.

Abbiamo scordato il ruolo dell’immaginazione.

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Secondo lo psichiatra Eugenio Borgna le “parole sono creature viventi” e, di conseguenza, ciascuno di noi dovrebbe essere custode della loro importanza. Dovremmo adoperarle con una sensibilità rinnovata ma, ancor di più, ognuno di noi dovrebbe coltivare la responsabilità con la quale sceglierle. Nel quotidiano siamo soliti esprimerne a centinaia: ma quante di queste parole riflettono la nostra autenticità?

La funzione linguistica dunque sembra essersi trasformata in un mezzo privo di autenticità, attraverso la quale comunicare non tanto quello che realmente sentiamo di esprimere, quanto piuttosto ciò che di automatico e prevedibile ci si aspetti di sentire da chi ci circonda. Evidenziando così un’inautenticità, che rischia di riflettere un’economia psichica che si colloca dentro ciascuno di noi e che è al servizio di chi vuol scegliere le parole al nostro posto.

Uniformare il linguaggio e le parole che a esso danno vita, di contro significherebbe impoverirlo della sua più autentica natura, del suo reale valore a discapito di una “rappresentatività emotiva” soffocata al contempo da un limite da rispettare, e attraverso il quale riconoscere la nostra “individualità”.

Il cambiamento linguistico secondo Pier Paolo Pasolini

Il cambiamento linguistico, dunque, se da una parte riflette un cambiamento socio-culturale che va di pari passo con quello tecnologico, dall’altra conferma una scarsa attitudine ad andare oltre quello che automaticamente viene fornito sotto forma di risposta.

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Come riportato negli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini:

L’afasia che oggi caratterizza le nostre scarse capacità comunicative, un tempo era preceduta da un gergo ricco di invenzioni quasi poetiche a cui contribuivano tutti giorno per giorno, una parola imprevista era il preludio di una meravigliosità linguistica.

Secondo Pasolini questa “Imprevedibilità” sembrava dunque essere all’ordine del giorno una vera e propria guida dalla quale lasciarsi nutrire e soprattutto lasciarsi ispirare: una chiave simbolica capace di arrecare la giusta dose di stupore dinanzi a qualcosa di misterioso, che seppur non conosciuto era altresì qualcosa verso cui rivolgere lo sguardo. La realtà era percepita quale riflesso vero e proprio di una rappresentazione simbolica ove non vi erano limiti, rispetto alla quale la propria economia psichica veniva messa al servizio della società in grado di trarne un quid in più. Oggi, al contrario, la predisposizione all’imprevedibilità sembra aver lasciato il posto a un controllo eccessivo delle nostre emozioni, delle nostre relazioni e ancor più del proprio modo di dar vita alle parole che ci abitano.
Spesso infatti il “linguaggio facilmente parlabile” rischia di essere accompagnato da una normalità che ne sancisce l’esistenza, legittimandone così l’uso distorto, perverso, e privo di quella spinta che oggigiorno deve fare i conti con una censura poco disposta a spendere qualche parola in più.

Cambiamento linguistico: qual è il rischio?

Il rischio principale di questo cambiamento linguistico di sicuro è quello di farsi rappresentare da qualcosa che non ci appartiene: delegare a qualcuno all’infuori di noi il senso di appartenenza, escludendo a priori la possibilità di entrare a contatto con le nostre emozioni più autentiche.
Tuttavia i nostri automatismi linguistici rischiano di consolidare la nostra dimensione emotiva, innescando peraltro una rigidità mentale che non lascia accesso a qualcosa di nuovo.

Nondimeno si rischierebbe di acquisire una scarsa capacità simbolico-rappresentativa, correlata a una carenza nel dare un significato alle proprie esperienze, soffocate da un vero e proprio “linguaggio di copertura”.
Un fenomeno sempre più in via di sviluppo che spesso si accompagna a “una solitudine della parola” che non è in grado di attingere il suo contenuto dall’immaginazione. Quest’ultima, infatti, non solo è una risorsa ma al contempo una chiave di lettura in grado di assumere nel linguaggio valenze metaforiche e analogiche.

Tuttavia la rigidità mentale, sempre pronta a soddisfare quanto ci circonda, non sempre è disposta ad accogliere quanto l’immaginazione stessa è pronta a esprimere, poiché la ricorsività di quello che pensiamo si traduce nelle “parole mancate” e in quello che non si riesce più a comunicare.

Secondo lo psichiatra Raffaele Morelli immaginare vuol dire “attivare l’energia sognante”, l’unica in grado di allontanarci dalla superficie nella quale siamo soliti restare. E, non ultimo, far fiorire le rappresentazioni più autentiche dalle quali abbiamo il timore di lasciarci guidare.

Le capacità immaginative oggi risultano soppiantate da un insieme di rappresentazioni esterne alle quali ciascuno di noi sembra affidare il proprio valore, facendo dei modelli e delle relazioni culturalmente accettabili una dipendenza rispetto alla quale la propria parola non conta più nulla. Il pensiero e la riflessione subiscono dunque “un’inversione di rotta” a favore di un condizionamento normativo al quale paradossalmente siamo chiamati a rispondere.

Autenticità linguistica e il ruolo dei social media

Di pari passo la dimensione della tecnologia non solo ha reso più accessibile qualsiasi tipo di informazione, ma ha determinato quell’istantaneità che sembra non conoscere tempi di attesa.
La tempestività, la fretta ma, soprattutto, l’immediatezza con la quale si esige il legittimo accesso a qualcosa che ancora non si conosce hanno segnato negli ultimi anni il nuovo ritmo delle nostre vite. Tuttavia se questo, da una parte, ha stimolato sempre più l’innovazione e la globalizzazione, dall’altra ha determinato lo sviluppo e l’incremento di una modalità linguistica dove la riflessione e le giuste tempistiche sembrano non trovare spazio.

La nuova parola del marketing, dei social media e delle relazioni amorose porta con sé il gravoso compito di deviare dalle possibili alternative di espressione, pena l’eventuale esclusione dal contesto socio-culturale entro il quale ciascuno di noi è inserito. Portando così l’individuo a valorizzare un’unica strada percorribile: quella dell’unilateralità.

Bibliografia di riferimento

  • Monguzzi, F., (2021), Sintomi della normalità, mente e mentalità dell’epoca contemporanea, Mimesis edizioni, Milano, 2021
  • Morelli, R., (2021), Quella maledetta paura di non essere all’altezza, Mondadori 2021.
  • Borgna, E., (2021), Parlarsi, Einaudi, Torino, 2021
  • Bachelard, G., (1952-54), Causeries 1952-1954, Il Melangolo, Genova, 2005, p. 91
  • Pasolini, P. P., (1975), Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La lettura può ripristinare la nostra autenticità linguistica?

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