La balena di piazza Savoia. L’immaginario che avevamo in dote
- Autore: Leopoldo Santovincenzo
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2017
Agevolato da avvistamenti ufo e film di fantascienza, l’incontro ravvicinato con gli alieni era ormai una questione di giorni. E se anche sui litorali italiani si scorgevano squali e orche assassine, era a causa della fifa che mettevano addosso i loro omonimi sul grande schermo. A dispetto della fama di "anni di piombo" ci abbiamo sognato dentro alla stra-grande. All’americana. Noi bimbi e ragazzi degli anni Settanta, intendo.
In termini di immaginario infantile vivevamo ancora, in quegli anni (tra i Sessanta e i Settanta del Novecento, ndr) con un piede nell’Ottocento. Non nell’Ottocento risorgimentale, con il suo impasto di pedagogia patriottica (Enrico Toti!) , socialismo umanitario (Il libro Cuore), catechismo e figurine (la Bibbia illustrata! Quo vadis al cinema!) ma, al contrario, un Ottocento mitico, visionario, avventuroso. Il terreno di scrittori come Jules Verne, Herbert George Wells, Robert Louis Stevenson, Emilio Salgari, Edgar Rice Bourrogs, Rudyard Kipling (…) Un universo popolato da piovre tentacolari, feroci pirati, cowboy e indiani, astronavi e sottomarini, legioni romane e legioni straniere, fieri esploratori, marziani verdognoli, uomini-scimmia, dischi volanti, tigri sanguinarie e dinosauri. Un pantheon affollato di eroi, di cattivi, di creature straordinarie (…).
Prendete alla lettera quanto scrive Leopoldo Santovincenzo (“La balena di piazza Savoia. L’immaginario che avevamo in dote, Edizioni Exòrma, 2017), e poi mandatelo a memoria. Tutto vero. Rigo per rigo e parola per parola. Chi è stato bambino a cavallo di quegli anni può giurare sui resti del proprio "Manuale delle Giovani Marmotte" che Leopoldo Santovincenzo non si è inventato nulla. Che le sue tracce immaginifiche di memorie infantili sono sincere, le stesse di una generazione. Per questi motivi “La balena di piazza Savoia” è il romanzo che ogni attuale cinquanta-sessantenne non dovrebbe mancare di leggere.
Attraverso il grondare di suggestioni cinematografiche anni Settanta (i tempi in cui il cinema era ancora capace di suggestionare; ma ve la ricordate la stupefazione restituita dai tamburini sui giornali?) questo libro attraversa un mondo. Un mondo incantato - nell’accezione bradburyana di incantamento - in rapporto biunivoco con l’immaginario filmico: di là e di qua dallo schermo scuro. La mania dei film di kung-fu che esonda nella moda dei nunchaku-fai da te (due segmenti di manico di scopa tenuti insieme da un catenella: spopolavano tra karateka in erba di mezza Italia). L’emulazione del look paramilitare di De Niro in "Taxi Driver" attraverso i giubbotti verdognoli di pre-adolescenti come Santovincenzo, il sottoscritto, e chissà quanti altri, di allora.
Per chi è stato bambino - quindi ragazzo - nei Sessanta-Settanta del Novecento, i film sono stati il romanzo di formazione collettivo, un romanzo di formazione per interposte visioni. Un retroterra comune. Come comuni erano gli espedienti per sfangare il controllo delle maschere dei cinemini di seconda e terza visione (di solito i più tolleranti) dove si proiettavano pellicole vietate ai minori. Leopoldo Santovincenzo di titoli di film ha riempito diari su diari (per forza che da grande è finito a scrivere cinema e di cinema). La sua vertigine della lista ha dato la stura a questo memoir straripante cinefilia e fotogrammi sociali di un decennio. Tra madeleine del poliziesco all’italiana, il Dario Argento ineguagliato di Profondo Rosso, visioni precoci e feroci in novero copioso, rintracciabili tra l’alto e il basso del cinema d’autore e del cinema-bis.
Altra cosa: il libro comprende anche la storia di una balena. L’avventurosa-misteriosa storia di una balena morta. Imbalsamata. Gigantesca. Grigio-giallognola. Mozzafiato (per restare in tema di immaginario) - tale Goliath -, scaracollata su un camion per mezza Europa e rivelata a pagamento come vetero-fenomeno da baraccone. In un giorno non qualunque degli anni Settanta, approdata persino nella piazza Savoia di Campobasso: da lì a qualche anfratto inconscio dell’autore, il passo è stato breve. Al punto da assurgere (la Balena) a filo-rosso di questo libro. L’emblema meta-significante di un immaginario collettivo che c’era e non c’è più. Il simbolo ipertrofico di un’Italia dalla memoria ormai ipotrofica, che ha smarrito voglia-forza-capacità di sognare.
“La balena di piazza Savoia” è dunque, in ultima analisi, un libro lieve ma soltanto in apparenza. Un libro no-fiction, capace di suggerire risvolti antropologici come poesia. Merito ulteriore: Leopoldo Santovincenzo scrive benissimo.
La balena di piazza Savoia. L'immaginario che avevamo in dote
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