A questo mondo ci sono due tipi di persone: Jancsi von Neumann e il resto di noi.
Con questa rasoiata Benjamín Labatut, in Maniac - ed. Adelphi, trad. di Norman Gobetti, 2023 - ci presenta una delle più straordinarie e controverse menti del XX^ secolo, quella dell’ungherese Jancsi von Neumann, poi divenuto negli USA John von Neumann. Allievo del grande matematico Hilbert e matematico e logico lui stesso, costruì cattedrali mentali poi utilizzate in ogni campo della religione laica dell’epistemologia: dalla matematica pura alla fisica, dall’economia alla biologia, dall’informatica alla scienza delle decisioni politiche.
Aveva quella che, riferendosi a Odisseo, Omero definì una mente colorata, senza interstizi, un’immaginazione porosa che gli consentiva di vedere un problema da ogni angolo visuale. Eppure la sua mente danzava pericolosamente sulla fune che, per dirla con Nietzsche, unisce la Bestia all’Ultrauomo, o forse l’Ultrauomo a Dio: dai sogni di von Neumann l’umanità avrebbe tratto sia il germe della capacità informatica e dell’intelligenza artificiale, sia l’incubo dell’estinzione per via della catastrofe nucleare. Von Neumann aveva così piena fiducia nella ragione umana che non vedeva limiti logici e, soprattutto etici, alla scienza, questo era il solco che lo separava dall’altra grande mente del novecento, quella di Einstein.
La cosa principale su cui dissentivano era la bomba atomica. Albert era una colomba, il leader non ufficiale del movimento per il disarmo, mentre Johnny era un falco.
“Maniac” di Benjamín Labatut: un’analisi
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La prima parte del libro ci presenta la vita di von Neumann, dall’essere un bambino prodigio che frequentava un liceo luterano a Budapest, negli anni immediatamente precedenti alla Grande Guerra, alla conoscenza del grande logico-matematico Hilbert - dal cui programma di fondazione su basi assiomatiche della matematica von Neumann fu culturalmente travolto - dall’incontro con l’altro grande eresiarca Gödel, fino all’approdo negli USA e l’adesione al progetto di costruzione della bomba atomica.
Nei primi anni venti del Novecento, Hilbert propose alla comunità dei matematici un programma molto ambizioso: la costrizione della matematica basandosi sulla definizione a priori di una serie di premesse accettate senza necessità di dimostrazione, gli assiomi, a partire dai quali fosse possibile dimostrare tutte le proposizioni (teoremi) dell’edificio della matematica. Il progetto era un tentativo di preservare la matematica dai paradossi - specie quelli al vetriolo avanzati da Russell e Whitehead, relativamente alla teoria degli insiemi - che ne stavano minando le basi. Von Neumann fu molto attratta dal programma di assiomatizzazione:
Non solo perché era convinto che le leggi scientifiche dovessero fondersi sulle immutabili verità della matematica, ma anche perché trovava pericolosa l’irrazionalità che cominciava a sgorgare dalla roccia madre in cui i suoi colleghi avevano scavato nel corso della loro frenetica ricerca della verità.
Insomma, si cercava una bussola per un mondo che stava declinando velocemente verso il caos concettuale.
Poi, nel settembre del 1930, come un punto di discontinuità in una funzione, in cui il tratto che precedete non si racconta in nessun modo con quello che segue, vi fu la conferenza sull’epistemologia di Königsberg; nella fase finale del convegno, molti conferenzieri stavano già abbandonando i lavori, accadde: prese la parola un giovane logico austriaco che cambiò per sempre il corso della storia della matematica, si chiamava Gödel; da lui, nessuno s’aspettava un contributo seminale, il giorno precedente aveva effettuato un intervento sulla completezza del calcolo logico senza destare particolare attenzione, ma adesso, con la voce bassa e impacciata che sarebbe divenuta una sua cifra, distrusse in poche frasi il programma di assiomatizzazione della matematica:
io c-c-credo che p-p-possiamo c-c-costruire, all’interno di un sistema f-formale c-c-coerente, un enunciato che è vero ma che non p-può essere d-d-dimostrato entro le r-regole di t-t-tale sistema.
Nessuno al momento afferrò le straordinarie conseguenze per la matematica, per la logica, per la futura teoria dell’informazione, che avevano quelle parole, tanto erano avanti rispetto ai tempi, nessuno con l’eccezione di von Neumann:
Gödel aveva individuato quel che sembrava essere un limite ontologico, un confine oltre il quale non era possibile pensare. Una verità indimostrabile è l’incubo di un matematico… che apriva un gigantesco squarcio che nessuna teoria o conoscenza futura avrebbe potuto rattoppare.
Si era pervenuti al limite del pensiero razionale, nella terra di nessuno tra ragione e immaginazione, ora si traguardava la verità ultima sul pensiero: se un sistema è coerente, cioè non contiene contraddizioni, allora è incompleto, contiene verità indimostrabili, o si persegue la coerenza o la completezza, ma non entrambe.
Von Neumann negli Stati Uniti
Quando l’Europa venne devastata dall’onda d’urto dei fascismi, von Neumann riparò negli Stati Uniti e quando venne a sapere che Gödel era stato violentemente picchiato, nelle strade di Vienna, dagli sgherri del potere, vestiti in camicia bruna, s’attivò con successo per consentire l’arrivo del matematico in USA.
La permanenza di von Neumann in USA presenta luci e ombre, entrambe ben descritte nel libro: in sostanza divenne una sorta di cervello in affitto, sedotto dal potere e da chi lo esercitava; imponeva parcelle esorbitanti per partecipare a riunioni dell’IBM, della CIA, di chiunque lo contattasse, mentre nei confronti delle donne aveva atteggiamenti da satiro. Sembra che Stanley Kubrick si sia ispirato a von Neumann per l’immortale figura del dottor Stranamore, uno scienziato ex nazista naturalizzato americano e direttore per lo sviluppo delle armi nucleari: von Neumann, infatti, prese parte al Progetto Manhattan per la realizzazione della bomba atomica, poi sganciata sul Giappone. Il suo contributo all’opera non fu per niente marginale: ad esempio calcolò rigorosamente l’altezza alla quale far detonare la bomba per massimizzarne l’effetto.
Ma i contributi teorico-pratici di von Neumann spaziano in tutti i campi dell’epistemologia: costruì insieme a Morgenstern la “moderna teoria dei giochi”, applicata sia in contesti economici - nella teoria della concorrenza imperfetta – sia nelle relazioni diplomatiche tra nazioni: un’applicazione di tale approcciò suggerì che per avere una pace duratura fosse necessario attaccare con le bombe atomiche immediatamente l’URSSS prima che anch’essa sviluppare analoga capacità nucleare. L’aspetto paradossale dell’utilizzo della teoria dei giochi per prevedere gli equilibri tra i contendenti è che se il prossimo c’inganna ci conviene a nostra volta ingannare: emerge una contraddizione tra ciò che è individualmente razionale e ciò che lo è per il gruppo (dilemma del prigioniero).
Soprattutto determinanti sono stati i contributi di von Neumann relativamente alla progettazione dei calcolatori, egli sviluppò la macchina che Turing aveva sognato nel 1937; tale macchina si sarebbe chiamata “MANIAC”, ovvero Mathematical Analyzer Numerical Integrator and Computer, dando il via alla traiettoria che, decenni dopo, ha portato alla riflessione sull’Intelligenza Artificiale. Secondo von Neumann, se un meccanismo deve simulare l’agire umano non solo deve replicare un determinato essere ma anche le istruzioni perché la copia sia in grado di costruire sé stessa: l’idea aveva anticipato di circa un decennio quella relativa al DNA di Watson e Crick!
Gli chiesero cosa sarebbe stato necessario perché un calcolatore, o qualsiasi altra entità meccanica, cominciasse a pensare e comportarsi come un essere umano… disse che avrebbe dovuto crescere da solo e non essere costruito.
Maniac di Labatut: le traiettorie culturali
È agevole osservare che tutte le traiettorie culturali che conducono alle riflessioni proposte nel libro, prendono le mosse dalla crisi delle certezze che caratterizzò il periodo tra le due guerre; l’immane catastrofe della Grande Guerra e dell’immediatamente successiva epidemia di spagnola, minò per sempre l’idea di progresso, cioè di un concetto di tempo perennemente volto al meglio tramite il processo eracliteo-hegeliano di risoluzione per dialettica delle contraddizioni della storia; venne introitato per sempre nel pensiero occidentale il senso della crisi e dell’instabilità.
Una visione stocastica del mondo sostituì quella deterministica. Il processo riguardò tutti gli ambiti: in fisica il principio di indeterminazione (Heisenberg) e il senso del probabilistico introitato con la meccanica quantistica, in economia gli equilibri di sottooccupazione (Keynes), in filosofia il senso della crisi dei precetti alla base dell’illuminismo, con la genesi dell’idea del tramonto dell’occidente (Heidegger e Spengler).
La crisi del Novecento sul versante letterario
Il versante letterario di questo periodo, così fecondo di nuove idee, è rappresentato da I Sonnambuli (Broch), da L’uomo senza qualità (Musil) e da La Montagna incantata (Mann). In ogni caso, l’idea della crisi s’inculcò come stigma di quella, considerata opposta, di ragione e contribuì in maniera determinante all’irrazionalismo e alla presa del potere delle destre estreme.
La crisi delle certezze degli anni venti del Novecento è, soprattutto, un portato delle riflessioni di Gödel: in buona sostanza era stato dimostrato che in ogni linguaggio assiomatico – ad esempio, come la matematica, il latino, l’italiano - vi è almeno una preposizione indecidibile; ma allora, in che modo, malgrado il teorema d’incompletezza, la mente umana si è evoluta per millenni e ha affrontato le sfide della complessità? Perché, evidentemente, la mente umana non è una macchina gödeliana, nel senso che non si paralizza di fronte a un’impasse che percepisce come linguistica ma la bypassa identificandola come un’aporia della ragione. Diverso è il caso di un sistema formale o di una macchina che s’attenga a un sistema formale: in questi casi la tagliola gödeliana scatta e in alcuni casi l’indecidibilità paralizza la macchina.
Questa semplice constatazione sembra indurre a concludere che da un punto di vista strettamente logico non solo il programma di Hilbert sull’assiomatizzazione della matematica non è possibile ma neppure si può parlare, a rigore, d’intelligenza artificiale: la caratteristica di gödelianità delle macchine non consente loro di essere isomorfe, per gestazione del pensiero, alla mente umana.
Le sfide dell’umano nel libro di Labatut
La distinzione tra modo umano di affrontare le sfide della logica e approccio di un sistema costruito, è rivelata anche dalla circostanza, ampiamente raccontata nel libro, che le macchine che giocano a scacchi e a go se non imparano dall’uomo ma apprendono giocando contro sé stesse divengono il frutto di una logica non umana e risultano imbattibili nelle gare contro gli umani.
Il libro è strutturato come un coro di voci narranti in prima persona, si tratta dei grandi matematici che hanno conosciuto von Neumann ma non solo, prendono la parola anche famigliari, amici e semplici conoscenti del genio.
Il Coro ci conduce dall’Europa degli anni venti del novecento, a Los Alamos, negli anni quaranta, di fronte all’altare laico della bomba atomica, poi a Princeton, nel dopoguerra, dove si gettarono le basi delle tecnologie digitali. Il linguaggio, malgrado i temi in alcuni casi ostici, sostiene la sfida di trasmettere il significato in maniera sostanzialmente non nebulosa.
Il prodotto finale non è esattamente un romanzo, non è esattamente un saggio scientifico, non è esattamente un documento storico: è tutte queste cose insieme e anche un lampo di luce gettato sul labirinto dell’epistemologia moderna, prima che diventi sera…
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Logica della mente e logica delle macchine: suggestioni tratte da “Maniac” di Benjamín Labatut
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