

Con La mula e gli altri. Faccende semiserie di provincia, edito Il ramo e la foglia nel 2024, Alessandro Conforti dà voce alla provincia italiana. Così, nei racconti che si susseguono fra le pagine di questa raccolta, si passano il testimone storie di famiglie e di fantasmi, nonché un intero pollaio che chiacchiera allegramente la notte svegliando il proprietario della fattoria.
Abbiamo incontrato l’autore per porgli alcune domande.
L’intervista ad Alessandro Conforti
- Di solito è l’editore che sceglie la copertina, le bandelle e la quarta. È stato così per lei o aveva deciso tutto?
Io non avevo deciso nulla. Peraltro ho molte insicurezze su queste cose, preferisco delegare a chi considero più competente (e poi magari non lo è perché non cura il proprio lavoro, ma questa è un’altra storia e non ha niente a che vedere con questo caso). Mi è piaciuto molto l’approccio dell’editore, perché c’è stato molto dialogo con me; per esempio mi ha mandato diverse copertine tra cui scegliere, e anche per bandelle e quarta lo spirito è stato di collaborazione. Ne sono davvero contento.
- Il primo racconto, che doveva essere un altro potenziale titolo dei racconti (L’Oceano), ha il dono della leggerezza e della fatica del vivere. Quante galline ha ascoltato fino adesso?


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Devo ammettere con un po’ di vergogna che non parlo mai con le galline. Quand’ero piccolo mi facevano paura, e se le osserva noterà che hanno un qualcosa di giudicante nel loro sguardo, un che di aristocratico nell’incedere.
Lo sa che le galline sono discendenti dei dinosauri? Secondo me lo sanno, aspettano solo il momento adatto per riprendersi tutto.
- Perché i racconti invece di un romanzo breve? Perché i suoi racconti sono belli allegri e belli tristi?
Lei chiederebbe a uno scultore perché ha fatto una scultura e non, che so, un decoupage? Si vede che l’ispirazione lo ha portato lì, o almeno è così per me: non scelgo a priori. Mi colpisce che lei trovi alcuni dei miei racconti allegri, a me sembrano tutti un po’ malinconici. Però mi fa piacere eh!
- Come è andata con Giuliano Brenna e Roberto Maggiani? Sono stati severi?
No, macché. Le dico solo che io avevo ricevuto già due proposte, ma siccome mi piaceva il loro catalogo gli ho chiesto di anticipare la valutazione sul mio testo che avevo inviato un paio di mesi prima. E loro in pochissimo tempo mi hanno detto d’aver valutato positivamente la proposta. Però io sono malfidato e, anziché esserne felice, mi è venuto il dubbio che la casa editrice fosse a pagamento (a proposito, approfitto per dire a tutti di non pagare mai per pubblicare: se il testo vale appena qualcosa un editore vero si trova, se invece non vale niente forse potete usare meglio i vostri soldi, no?); così ho chiesto anche la cortesia di inviarmi praticamente subito la bozza di contratto. Insomma, sono stati molto pazienti e comprensivi, io al loro posto mi sarei mandato a quel paese. Ma probabilmente sanno di condividere la professione con tanti gaglioffi. Spero che la loro casa editrice goda di una buona fortuna, e non solo perché converrebbe anche a me come loro autore.
- Il suo italiano è pulito, non ci sono parolacce. Evocativo. Sarà il libro che leggerà ai suoi figli quando non dormono?
Per carità, no. Mi rileggo ossessivamente fino alla pubblicazione, poi non mi rileggo più perché m’imbarazzo. Figurarsi se mi leggerei alle mie figlie, sarebbe un capolavoro di egotismo. Poi loro (1 e 5 anni) hanno il simpaticissimo vezzo di non dormire, quindi passerei le notte a leggere e rileggere le mie paginette: che noia!
- Cos’è esattamente la provincia per lei? Si sente un provinciale?
Io sono nato in una via di campagna che si chiamava I Provinciali. Sì, mi sento provinciale, non ho mai vissuto in una grande città. Ma sospetto che le grette dinamiche di una piccola città di provincia si ripetano poi, più in grande, anche nel centro.
Il pollaio del primo racconto è anche un po’ la rappresentazione di questo, un microcosmo che si ripete sempre uguale ma con dimensioni e ripercussioni diverse.
- Essendo già un padre di famiglia, si offende quando la presentano come “giovane esordiente”?
Tanto per iniziare io sono padre di due bambine, non certo di una famiglia. La famiglia la formo insieme a loro e alla mia compagna. Dopodiché la dizione in sé di “giovane esordiente” non mi offende, ma mi infastidisce in molti modi. Intanto è una di quelle espressioni che Guia Soncini definirebbe in lingua “frasefattese”, in secondo luogo non sono esordiente perché ho già pubblicato una raccolta dalla copertina orribile che si chiama Le Nove Spine e con la quale ho abbondantemente superato le cinquanta copie vendute. In terzo luogo, quando Dante ha scritto la Divina Commedia aveva 35 anni ed era di mezza età; io ne ho 36. A parte che mi viene sempre in mente la freddura, credo fosse di di Ennio Flaiano: “Giovane autore: 40 anni”. Mi chiedo fino a che età sarò giovane, quand’è che mi autorizzano a diventare adulto e infine: non è che rimaniamo sempre giovani per lasciare i posti che contano a qualcun altro?
- Chi scrive ha aspettato più di due settimane per avere una sua risposta su facebook. Che senso ha essere registrato a un social ma non usarlo quasi mai?
Inizio complimentandomi con lei perché l’espressione “registrato su Facebook” è un incontro tra il Novecento e il Duemila, si potrebbe quasi dire una crasi millenaria. Non ha ovviamente alcun senso, come la sua stessa domanda suggerisce: io mi ero felicemente liberato dai social (la mia generazione ne è condannata fin dai tempi del liceo) ma poi ho pubblicato quel libro dalla copertina orribile e tutti mi dicevano che dovevo promuovermi un po’ almeno su Instagram. Quindi, dando prova di uno spirito critico davvero notevole, ho aperto una tristanzuola paginetta Instagram, e questa continuava algoritmicamente a propormi di aprire anche Facebook in modo che pubblicando un contenuto lì sarebbe comparso automaticamente anche di là. Ovviamente il mio senso critico in vacanza mi ha imposto di eseguire.
Guardi, tra un po’ torno all’esilio dai social: ribadisco che stavo meglio e le oltre cinquanta copie le avrei vendute comunque, suppongo. Non è che vuole leggere anche il mio esordio? Non si faccia scoraggiare dalla copertina, però.
- Che cosa si aspetta per i suoi figli? Ha voglia di scrivere un thriller?
Tutte le volte che si affaccia un’aspettativa sulle mie figlie cerco di ricacciarla indietro. Perché le aspettative finiscono per influenzare, in un modo o in un altro, chi ne è oggetto. Per loro mi fa un po’ paura questo mondo ipercompetitivo, questa società della performance, delle classifiche e delle millecinquecento competenze. Margareth Thatcher diceva che non esiste la società, esistono solo gli individui. Mi sembra che abbia vinto questa visione malata del tutti contro tutti.
Per quanto riguarda la seconda domanda, che mi pare non c’entri assolutamente niente con la prima e questo mi piace molto: devo dire che i thriller non sono molto nelle mie corde, piuttosto un horror psicologico o un giallo whodunit. Ne ho uno in serbo da molto tempo, ancora incompiuto, scritto in uno stile un po’ barocco alla Gesualdo Bufalino. Cosa dice, lo finisco? A lei interesserebbe? Sempre una cosa breve, non si preoccupi.

Recensione del libro
La mula e gli altri. Faccende semiserie di provincia
di Alessandro Conforti
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Alessandro Conforti, autore di “La mula e gli altri. Faccende semiserie di provincia”
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