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Storia della letteratura

Il tema del “doppio” nel romanzo vittoriano

In un'epoca dove ordine e apparenza erano la "conditio sine qua non" per i perfetti borghesi, verso la fine dell'Ottocento, in coincidenza con l'avanzare dell'età della regina Vittoria, Wilde e Stevenson denunciarono con i loro romanzi l'ipocrisia e la doppiezza del mondo borghese.

Francesca Barile
Francesca Barile Pubblicato il 27-01-2013

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Il tema del “doppio” nel romanzo vittoriano

In un’epoca dove ordine e apparenza erano la "conditio sine qua non" per i perfetti borghesi, verso la fine dell’Ottocento, in coincidenza con l’avanzare dell’età della regina Vittoria, Wilde e Stevenson denunciarono con i loro romanzi l’ipocrisia e la doppiezza del mondo borghese.

Per il perfetto mondo vittoriano, tutto doveva essere ordine e apparenza. I borghesi che avevano raggiunto posizioni di tutto rispetto badavano molto a mantenere delle abitazioni rispettabili con mobili raffinati, a sfoggiare abiti eleganti e soprattutto a farsi vedere nelle occasioni: la passeggiata domenicale, il Natale da celebrare degnamente, il tè pomeridiano, la beneficenza. Ognuno doveva occupare un certo posto nella società e non aspirare a migliorarlo; così al povero veniva prestata minima assistenza, ma non si dava l’effettiva possibilità per cambiare la sua situazione, alla giovane caduta in disgrazia e costretta a prostituirsi veniva data la possibilità di ricorrere alle working house ma il suo buon nome era irrimediabilmente distrutto. L’ipocrisia regnava, il primo comandamento era "badare alle apparenze" e poco importava se poi una casa linda esternamente nascondeva marciume interiore.

Proprio questa ambiguità ispirò due celebri scrittori dell’epoca, Oscar Wilde e Robert Louis Stevenson, che hanno voluto denunciare il finto perbenismo attraverso i loro romanzi: il primo con "Il ritratto di Dorian Gray" e il secondo con "Lo stano caso del Dottor Jekyll e mister Hyde".

Così Dorian Gray, "bello e dannato", contraddice l’antico adagio che sposa il bello al buono proprio come quel mondo borghese che Wilde conosceva bene. Ancora più ficcante il romanzo di Stevenson esamina il tema del doppio con l’esperimento del Dr. Jekyll, che bello, onesto e benamato, finisce lentamente col farsi soggiogare dalla personalità nefasta dell’altro, lo "sporco, brutto e cattivo" Mr. Hyde (“Hide” significa “nascondere” in lingua inglese). Il mondo borghese, così fintamente legato alla monotona tranquillità della sua finta esistenza, guarda con morbosa curiosità al proibito e torbido panorama che si apre in quei quartieri periferici sporchi, bui e malsani dove tutto è permesso. Non a caso il famigerato Jack lo squartatore, a cui forse Stevenson si ispirò, sembra fosse un membro dell’aristocrazia londinese.

Con le tematiche espresse dai due scrittori britannici la letteratura di stampo vittoriano sembra esaurirsi per sfociare poi nel secolo a venire nel romanzo psicologico.

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