Il sogno di Poldo
- Autore: Matteo Pugliares
Non è davvero facile, questa volta, decifrare il messaggio profondo ed ultimo che il solerte fra Matteo vuole darci con questa sua ennesima fatica letteraria, materializzatasi in un agile volumetto dalla copertina ammiccante ed enigmatica insieme.
Tuttavia ci sembra di dover ricorrere alla categoria del sogno per fissare un qualche punto fermo nel taglio narrativo scelto da fra Matteo che oscilla tra la semplicità della fiaba, che promana dalla prosa, e la complessità della costruzione simbolica, che denota la lunga consuetudine poetica dell’Autore.
E’ stato lo spagnolo Pedro Calderòn de la Barca ad intitolare il suo celebre dramma filosofico – teologico, in tre atti e in versi, "La vita è sogno" (La vida es sueno), aprendo una ininterrotta catena di approcci multipli ad un testo letterario.
E in qualche modo fra Matteo, in questa raccolta di racconti, dal primo, Il sogno di Poldo che apre il libro, all’ultimo, Il dipinto che lo chiude, non fa altro che dare volti – i volti dell’Amore - e nomi a quei sogni che gli hanno fatto compagnia fin da bambino.
E presto i vari racconti che compongono la raccolta di fra Matteo si trasformano in un’affollata galleria di donne (Maria, Anna, Sofia, Manuela, Giulietta, Laura, Agnese, Marianna Luciana, Ninetta, Francesca) che tentano una vita, per usare la metafora ungarettiana, in un frenetico alternarsi di eros e tanatos cui molto spesso l’Autore presta le sfumature del gergo dei disperati.
E’ quanto mai rischioso cercare, nei racconti di fra Matteo, frammenti autobiografici che pure si potrebbero ipotizzare sulla scorta di alcune sue decise affermazioni: "Io che sono un tipo che…" contenute in "Favola a lieto fine?" (pp. 13 – 17).
Le frequentazioni artistiche e letterarie dell’Autore emergono poi qua e là nella narrazione, permettendo collegamenti ipertestuali non forzati, come l’isolamento di Simbad il marinaio che richiama l’urlo di Munch: "Avrei voluto gridare a tutti perché io andavo al paese ma, indaffarati nei loro futili discorsi, nessuno mi avrebbe dato retta" (p. 34).
La lezione calviniana è trasparente nel racconto "Uno con il mare" (pp. 71 – 75) che rimanda alla levità de "Le città invisibili," mentre ci conduce a "Le intermittenze della morte" di José Saramago il racconto "Tutti tristi" (pp. 95 – 98) con l’espressione "quasi morti", eco dell’intuizione di Seneca: "noi, i provvisoriamente vivi". A Italo Svevo, infine, si può naturalmente collegare "Una vita" (pp. 104 – 110).
Se volessimo tracciare una breve sintesi di una lettura in prima battuta de "Il sogno di Poldo", potremmo dire che l’Autore è riuscito a trasportare nella dimensione onirica "il mare della solitudine e del dolore" (p. 72) nel quale ha tessuto i suoi racconti avvolgendoli, come gli è naturale, di poesia.
In questo modo fra Matteo ci aiuta a ricercare "la verità tra le foglie ingiallite della vita" (p. 99), mentre ci districhiamo tra le sue "screpolature" (p. 100) costretti, dalla modernità, a trafficare "sottili lastre di nulla" (p. 101), alla ricerca di quell’Amore che ci permetta di "sopravvivere alla noia mortale dei giorni sempre uguali e tristi" (p. 11).
Recensione a cura del Prof. Giovanni Spagnolo
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