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Recensioni di libri

Il piccolo eroe della Grande Guerra di Toni Marchitelli

Newton Compton, 2015 - Una storia semplice e ingenua, d’amore e di guerra, un piccolo mondo antico di gente che si accontenta di poco ma che vale tanto. Per i lettori, una sorpresa nel finale.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 19-06-2015

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Il piccolo eroe della Grande Guerra

Il piccolo eroe della Grande Guerra

  • Autore: Toni Marchitelli
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Newton Compton
  • Anno di pubblicazione: 2015

Tutti i soldati pregano, ma lassù a volte si finge di non sentire.

Avanti Savoia!

E i soldati in grigioverde vanno all’assalto sul passo Falzarego, ma i reticolati sono intatti, non si passa. Tante morti inutili. Piero deve aspettare il buio, col cuore in gola, prima di tornare in trincea con l’amico Checco. Ha solo diciotto anni ed è un bravo ragazzo del Sud “Il piccolo eroe della Grande Guerra” (192 pagine 9,90 euro), romanzo di Toni Marchitelli, architetto appassionato di alta montagna, anche se vive a Roma e scrittore esordiente, per le edizioni Newton Compton.

Un libro breve ma intenso, di valori sani, di sentimenti semplici, quelli di una società contadina e operaia, lontana ormai cento anni. E di atteggiamenti ingenui, come quelli del fante Pietro Vitagliano, da Sant’Agata di Puglia, che quando vede le Dolomiti, dove lo hanno mandato a combattere contro gli austriaci, nell’ottobre 1915, non trattiene un Mandonnamia e che è!, di stupore e ammirazione.

Pietro è alto e massiccio. Anche se la carnagione è brunita dal lavoro nei campi, ha gli occhi azzurri, ricordo dei Normanni presenti secoli addietro nel Mezzogiorno. Vive in un paese elevato, davanti alla piana del Tavoliere, in provincia di Foggia. La terra che lavora col padre dà da mangiare alla famiglia, anche se è amara e dura da zappare, ma si accontentano di poco. sono solo tre, è figlio unico. Da anni pensa a Ninetta, la figlia del fornaio, ai riccioli neri che spuntano sotto al fazzoletto con cui si copre in chiesa. È bellissima e misteriosissima, come la Madonna, da cui ha preso il nome: Annunziata.

Checco, anzi, Francesco, è romano, di Borgo Pio, tra San Pietro e il Tevere e se ne vanta. Falegname a bottega col papà, è piccolino, un metro e sessanta, innamorato di Monica, trasteverina, bella come il sole e un po’ mignotta. L’ha sorpresa sulla Lungara con una specie di burino spilungone. È finita a male parole e botte. Parolacce di Checco, cazzotti del burino.
In guerra vanno i ragazzi del Sud, del Centro e del Nord, infatti con loro se la fa spesso l’alpino piemontese “Barale Bruno”, che dà del terrone a Piero, ma solo bonariamente.
Sono nell’Ampezzano da invasori: i preti di qua non sembrano buoni come don Mario, guardano i soldati con occhi senza benevolenza, forse con odio. I loro parrocchiani sono i landeschutzen che difendono il trincerone lassù, a duemila metri, contro il quale gli italiani vanno all’assalto. Sempre avanti, allo scoperto. L’Alto Comando non si arrende all’evidenza che da lì, con le cime in mano al nemico, non si può passare. Solo morire.
E Piero ogni volta esce all’attacco, meravigliato di non essere “preso” dalla pallottola, la raffica, la bomba. Vive appiattito in trincea ed esce obbediente correndo avanti, stringendo il fucile, in attesa solo della morte, che a lui e agli altri appare come una liberazione.

Dovunque sul fronte italiano, il Comando si affidava alla tattica suicida dell’attacco in massa, insensibile alle perdite. Secondo le testimonianze, dopo due anni di massacri, nel 1917 i soldati andavano all’attacco piangendo, completamente sfiduciati, certi di non farcela.
Che contrasto con la tenerezza delle lettere di Piero a casa. Frasi un po’ impettite, ma tanti pensieri delicati a mamma, papà e Ninetta. Avevano giocato insieme da bambini, però da adolescenti la mentalità paesana non consentiva contatti. Si vedevano solo il sabato, all’acquisto del pane e la domenica a messa.

La voglio per moglie, sarà la madre dei miei figli, tanti maschi, per aiutare nei campi. Voglio baciarla tutti i giorni e le notti. Per sempre.

Le aveva rivolto la parola solo dopo aver ricevuto la cartolina precetto, chiedendole di sposarlo. La giovane aveva risposto sì, con uno sguardo indimenticabile.
Scrive anche a lei, lettere che le due donne non possono rileggere le mille volte che vorrebbero, ma che tengono strette sul cuore. Sono analfabete e si rivolgono al buon parroco, che risponde sotto dettatura di mamma Concetta (la Madonna ti accompagni) e della ragazza (pensami sempre come io penso a te).

Un vero piccolo mondo antico, di gente che vive di poco ma che vale tanto e che, quando sbaglia, commette peccati mai tanto gravi da non essere cancellati da una conciliante assoluzione.

Marchitelli dimostra di conoscere perfettamente la montagna, Roma, il Foggiano, un po’ meno magari le regole militari (le mostrine sono di Reggimento, non d’Armata). Promosso in geografia, da rivedere in storia. Battute a parte: complimenti architetto! Un romanzo scritto col cuore. E grazie per quel: i soldati pregano Iddio, che a volte fa finta di non sentire. Suona come un’espressione laicissima e indulgente.
Ai lettori, Piero e l’autore riservano una sorpresa, nel finale.

Il piccolo eroe della grande guerra

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il piccolo eroe della Grande Guerra

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