Rasserenante Walt Whitman, che ci ricorda che siamo tutti fili d’erba in un grande campo, nulla più che una minuscola parte del tutto; eppure quanta immensità è contenuta in questa piccolezza. Il grande poeta americano, cantore della libertà, è ritenuto non a caso tra i fondatori dell’ideale di democrazia poiché si è fatto portavoce di una nazione, gli Stati Uniti, trasformandola in un lungo poema. La poesia di Whitman incarna i valori di un Paese ed è inscindibile da essi; ma al contempo, con il suo verso libero dal lungo respiro, ha dato fiato all’umano con il suo “barbaric yawp”, il barbarico grido che tuttora risuona sopra i tetti del mondo. L’eredità di Whitman, che si spegneva all’età di 72 anni nella sua casa di Camden, in New Jersey, il 26 marzo 1892, è tutta racchiusa nella sua poesia che ancora ci pone domande sul rapporto tra parola letteraria ed esperienza politica, tra poesia e democrazia, tra parola e diritti umani. Degno seguace ed erede di Ralph Waldo Emerson, padre del trascendentalismo americano, Whitman costruisce foglia dopo foglia la solida quercia della democrazia intagliandola nella natura e in sé stesso.
C’è una poesia in particolare di Whitman, contenuta in Foglie d’erba (1855), che sembra essere il suo testamento spirituale, il titolo a tal proposito è emblematico: My legacy, in inglese, in italiano può essere tradotto come La mia eredità o, più propriamente, Il mio lascito.
Cosa ci ha lasciato Walt Whitman, il cantore dell’America moderna? La risposta è da ricercare, ancora una volta, nei versi.
In lingua originale la poesia suona molto più ritmica, cadenzata, meraviglioso è anche il finale, la chiusura ineffabile: “this bundle of songs”, l’autore riassume la sua eredità in un fascio di canti come se ci porgesse un mazzolino di fiori. Ecco, forse davvero non c’era altro da dire, perché ancora oggi noi possiamo sentire il profumo di quei fiori e l’eternità del canto di Whitman.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Il mio lascito” di Walt Whitman: testo
L’uomo d’affari, il grande accumulatore,
dopo anni di assiduo lavoro controlla i risultati, preparandosi
per l’ultimo viaggio,
affida case e terreni ai suoi figli, lascia beni, merci, fondi,
per una scuola o un ospedale,
lascia denaro ad alcuni camerati per comprare doni,
ricordi, quali gemme e oro.Ma io, al contrario, ripensando alla mia vita, facendone il consuntivo,
non avendo nulla da mostrare e lasciare dopo questi anni oziosi,
né case, né terre, né lasciti di gemme o d’oro per i miei amici,
null’altro, se non alcuni ricordi di guerra per voi, e in vostro onore,
e pochi ricordi di accampamenti e di soldati, con il mio amore,
io riunisco e lascio in questo fascio di canti.
“My legacy” di Walt Whitman: testo originale inglese
The business man the acquirer vast,
After assiduous years surveying results, preparing for departure,
Devises houses and lands to his children, bequeaths stocks, goods,
funds for a school or hospital,
Leaves money to certain companions to buy tokens,
souvenirs of
gems and gold.But I, my life surveying, closing,
With nothing to show to devise from its idle years,
Nor houses nor lands, nor tokens of gems or gold for my friends,
Yet certain remembrances of the war for you, and after you,
And little souvenirs of camps and soldiers, with my love,
I bind together and bequeath in this bundle of songs.
“Il mio lascito” di Walt Whitman: analisi e commento
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Interessante che Whitman presenti la propria eredità per opposizione: prima introduce la figura dell’uomo d’affari, il cui lascito consiste in numerosi terreni, case, denaro e pepite d’oro, il frutto di una vita di lavoro e impegno, di ciò che appare come un’esistenza risolta e compiuta. Dopodiché, nella seconda strofa come in un gioco di riflessi distorti, Whitman introduce sé stesso con il consueto I, “io”, la prima persona singolare di Song of Myself che il lettore ben conosce. In questo scarto evidente tra prima e seconda strofa c’è un dualismo netto: Whitman oppone la propria visione trascendente della vita a quella materiale, senza tuttavia svilire o sminuire la seconda. Il lascito del poeta - che rivendica con una sorta di orgoglio la propria vita “oziosa” - non è altro che un fascio di canti, che ci porge in dono, come se avesse mantenuto una promessa. Cos’altro? Ricordi, dice Whitman, e amore. Tutto questo si riversa nelle sue poesie, in ciò che quasi giocosamente e con una bella allitterazione definisce “this bundle of songs”. Null’altro resta da dire, tutto è contenuto nella poesia di Whitman, nell’eternità di Leaves of Grass, un intero corpus di poesie in progress che infine comprende ben 398 canti.
Quindi, in definitiva, cosa ci ha lasciato Walt Whitman? L’immagine di un uomo, di un singolo, che desiderava distinguersi dalla massa e cantava un elogio all’individualità. Il verso libero di una poesia sempre più simile alla prosa che traduceva un canto dei valori, dei diritti umani, un inno alla libertà individuale e collettiva. Whitman è un poeta che ha modificato lo stesso stile di fare poesia per adattarlo al proprio personale canto; è stato un rivoluzionario con la penna in mano, un pioniere che si serviva della scrittura per adempiere uno scopo preciso.
Poi Whitman ci ha lasciato il colore verde, che è il colore della speranza, della democrazia, del futuro. Le poesie di Walt Whitman sono attraversate dal verde, a partire dal titolo della sua celebre raccolta, Foglie d’erba, che è un tripudio di verde. Ci ha lasciato l’idea che l’arte fosse rivoluzione e continuo rinnovamento e potesse staccarsi dalla tradizione per creare qualcosa di nuovo. Tutto questo è contenuto nel suo “bundle of songs”: la convinzione che le poesie potevano cambiare il mondo, e allora? Rimane solo da pronunciare la fatidica domanda: quale sarà il tuo verso?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il mio lascito” di Walt Whitman: una poesia sul valore della libertà
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