Il mio insegnamento - Io parlo ai muri di Jacques Lacan

Se i puristi non mi linciano, dire Jacques Lacan per la psicoanalisi è come dire Ayrton Senna per la Formula 1 o Stanley Kubrick per il cinema: un fuori-classe, un altro “passo”, un altro “sguardo” (analitico) rispetto alla media. Freudiano ma non manicheo (nel senso di pedissequo, fideista, freddo), intende dimostrare la correlazione che passa tra struttura dell’inconscio e quella del linguaggio e su questo spende buona parte della vita. La sua prosa è il suo tratto distintivo: aforistica, densa, provocatoria, ironica, simil-letteraria, talvolta criptica ma scoppiettante e i sei interventi spalmati tra le pagine de “Il mio insegnamento” e “Io parlo ai muri” (Astrolabio, 2014, a cura di Antonio Di Ciaccia) lo confermano, se è il caso, una volta di più. Trattasi di relazioni pronunciate in alcuni centri ospedalieri di psichiatria (1967- 1972), riepilogative sotto molti aspetti del nocciolo della sua dottrina. Qui lo stile - per una volta - è piano, in gran parte accessibile (certo che qualche pre-requisito in materia ci vuole), un sapido antipasto per chi volesse approfondire ulteriormente su “Scritti” e “Gli altri scritti”, i testi fondamentali del teorico più ficcante che la storia della psicoanalisi ricordi dopo Freud. Un genio, un provocatore, un fantasista, per dirla con le parole di Jacques-Alain Miller che cura la prefazione del libro:

“Il suo metodo [il metodo analitico di Lacan (n.d.r.)] è quello di partire da ciò che tutti sanno. Poi, insensibilmente, con astuzia, come per gioco, fa sprizzare a cascata concetti sorprendenti; un pensiero che non si pensa da sé; un inconscio che è linguaggio; un linguaggio che sta ‘sul cervello come un ragno’; una sessualità che fa ‘buco nella verità’ (…) e l’idea che tutti questi paradossi corrispondano a una logica, distinta da quello che viene chiamato lo psichismo”.

Come vedete da soli siamo molto prossimi ai dintorni della filosofia: muovendosi a tutto campo tra una miriade di questioni speculative, Lacan ha una capacità stregonesca
di ammaliare il lettore, spiazzarlo, sorprenderlo alle spalle con lampi improvvisi di una psicoanalisi fondata sul sapere (supposto) dell’inconscio, decrittabile soprattutto in funzione del rapporto con il godimento. Così è detta in pillole, i saggi spiegano più diffusamente e soprattutto si apprezzano per la verve e la profondità tipiche del disquisire del medico-psichiatra francese: un vero e proprio must, come si dice.