“Quanti padri sono così diventati per sempre custodi del proprio portone, scolpiti in una nicchia come in bassorilievo, la mano sul battente e il volto scomposto in quegli stessi solchi uniformi e beati lungo i quali poi scorrono amorosamente le dita dei figli, alla ricerca delle ultime tracce paterne, immerse ormai per sempre nel sorriso universale della facciata”.
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In questi brevi versi, presenti in una delle opere più famose di Bruno Schulz, Le botteghe color cannella, la figura del padre viene presentata quale trama invisibile e tuttavia sempre presente, in grado di accompagnarci lungo il corso della nostra vita e attraverso le sue innumerevoli vicende. Le parole e i versi del noto autore polacco sembrano dunque accompagnare in chiave analogica e in parallelo quello che Jacques Lacan negli anni ’40 del secolo scorso, aveva magistralmente definito “il linguaggio del padre”, grazie al quale si rende possibile riconoscere e scoprire “l’Alterità”. Una diversità in grado di condurre verso sentieri nuovi, strade ancora inesplorate, ma ancor più verso orizzonti ricchi di nuove trame, dai quali attingere nuove simbologie e nuovi significati.
Il linguaggio del padre: da Lacan a Schulz
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Grazie al contributo del noto filosofo francese Lacan si delinea la possibilità di guardare al padre quale creatore e custode, al tempo stesso, di un linguaggio che a nostra insaputa alberga al nostro interno e la cui essenza altro non aspetta se non di essere espressa in tutta la sua luminescenza. Di contro, grazie al linguaggio analogico proposto dall’autore polacco, Schulz, il padre assume non una, ma tante simbologie, in grado di alimentare quell’illimitatezza pronta a ricordarci l’imprevedibilità e la moltitudine dei percorsi che ciascun figlio sceglie di intraprendere, cambiare e ancor più a smettere di proseguire.
Assume quella fisionomia simbolica oltre la quale il cambiamento diviene sale essenziale della vita e dinanzi al quale la parola custodisce in sé quel potere alchemico capace di trasformare il nostro sguardo in una nuova bussola, pronta gettare le basi per un nuovo viaggio.
L’importanza di custodire le tracce paterne
Custodire le ultime tracce paterne vuol dire dunque lasciare che sul nostro volto affiorino i riflessi di quei lontani sorrisi, di quegli sguardi enigmatici a volte contratti altri distesi, ma pur sempre impregnati di quelle emozioni che ciascuno di noi dovrebbe avere il compito di alimentare al proprio interno, sia sotto forma di dialogo, sia sotto forma di preghiera, lasciando così che quanto di più lontano sembri distante possa al contrario prendere vita nel momento che ci troviamo a vivere e rispetto al quale le immagini e i dialoghi trascorsi possano tradursi in un’eco lontana pronta a trasformarsi in un rinnovato sorriso.
Bibliografia
- Lacan, J., 1953-54, Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud (Einaudi Editore, Torino, prima edizione: 1953, nuova edizione 2014 a cura di A. Di Ciaccia)
- Schulz, B., 2019, Le botteghe color cannella (Einaudi Editore, 2019, Torino, a cura di Francesco M. Cataluccio, traduzione: Anna Vivanti Salmon, Vera Verdiani, Andrzej Zielinski)
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il linguaggio del padre quale testimonianza del nostro stare al mondo
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