

Il grande me
- Autore: Anna Giurickovic Dato
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Fazi
- Anno di pubblicazione: 2020
Non mi era mai successo di sentire un romanzo parlare. È capitato stavolta, leggendo Il grande me (Fazi editore, 2020), l’ultimo libro di Anna Giurickovic Dato, autrice del fortunato La figlia femmina, finalista al Premio Brancati 2018 e tradotto all’estero in cinque paesi.
Una storia di amore e solitudine, che potrebbe essere quella di ciascuno di noi. Simone è un uomo malato di cancro, ma è anche un padre imprigionato nella paura di perdere la vita da un momento all’altro, di morire rinunciando a tutto. I giorni scorrono e contarli mette i brividi, perché il tumore non si può curare e persino la disperazione ruba un tempo già troppo corto e prezioso.
“Ridiamo, ci guardiamo negli occhi e con quelli non ridiamo. È un ridere a metà, uno stare insieme a metà, separati da una morte che è già seduta tra di noi e la sentiamo. Fate presto, ci dice, vi ho lasciato il tempo giusto per conoscervi, scambiatevi le ultime parole; voi figli imparate da lui tutto ciò che ha da insegnarvi, prendete appunti, registrate ogni momento, così poi potrete moltiplicarlo, non siate tristi, non ce n’è il tempo, condividete le vostre ultime risa, accarezzatevi, toccatevi perché non vi siete mai toccati, allontanate la timidezza, l’imbarazzo non c’entra con questi ultimi mesi, questo periodo è la cerniera delle vostre vite, apritela con delicatezza, lasciate che i vostri lembi si separino come ci si separa da un abito pesante tra l’inverno e la primavera, raccogliete tutto di vostro padre, così potrete contenerlo”.
Una storia di dolore, forte e cruda, che parla al lettore con la voce della realtà: senza incanti e spoglia di illusioni. Un romanzo di ricordi, in cui bisogna vivere il tempo che resta e tenerlo stretto. È quello che prova a fare Carla, una dei tre figli di Simone, strappando alla malattia l’occasione di conoscere meglio suo padre, di ripercorrere la sua infanzia, di assecondarlo insieme ai fratelli in un segreto che l’uomo decide di svelare loro per liberarsi dal senso di colpa e provare a riscattare gli errori del passato.
“Non credevo, allora, che l’esistenza fosse proprio quella che stavo vivendo nell’attesa che accadesse qualcos’altro. È così per tutti, non ci sono fallimenti in questa vita: ci sono l’idea del fallimento e l’idea di vita. Siamo convinti del fatto che conquisteremo il nostro spazio nel mondo, che ne faremo davvero parte, non solo come comparse. Succede quando abbiamo ancora tutto il nostro tempo davanti e ci convinciamo di avere un dono, di essere unici e diversi da ogni altro. Un giorno, però, inevitabilmente il resoconto del passato è l’unica cosa che resta: davanti solo porte chiuse, strade scartate per altre, sogni appena toccati, risultati mai raggiunti. Riavvolgendo la matassa dei ricordi, comprendiamo che avremmo voluto modificare qualcosa e, d’improvviso, scopriamo che non c’è nessun futuro, che persino il presente è fioco, e tutto fa già parte del passato”.
Un genio, uno zimbello, un provocatore, un animale da palcoscenico, un uomo buono, che torna bambino con la sua paura. Ecco chi è Simone nel racconto dei ricordi, di un passato che per colpa della malattia sembra ormai tanto lontano, messo all’angolo di una vita felice, spensierata, quella che regalava ancora possibilità e scelte. Gli occhi del lettore, pagina dopo pagina, diventano quelli di un figlio che vede il proprio padre spegnersi lentamente.
“Mi sciacquo il viso, che di tempo per piangere ne avrò, ma quello che mi resta per rendergli lieve ogni suo giorno è poco. Difficile rasserenarsi ora che tutta la tristezza raccolta mi sta premendo addosso, e quando si è molto tristi, a volte, si ha voglia di essere ancora più tristi, di piangere a volto scoperto, di mostrare a tutti il proprio dolore, «Guardate come soffro, io piango!». Quasi vorrei uscire dal bagno così, con le guance nere di trucco colato, il naso arrossato e gli occhi piccoli e gonfi (Dio, quanto sono brutta), abbracciarlo, posargli la testa sulla pancia e chiedergli: «Perché muori, papà?», sperando che lui, carezzandomi la testa, mi rassicuri: «Qui non muore proprio nessuno, bimba, io no di certo”.
Il grande me è la storia di ogni figlio che ha paura di perdere il padre, la storia di chi il padre l’ha già perso. Un romanzo che affida alle parole il potere della voce e sembra davvero di sentirla, cauta, morbida, a tratti terrorizzata, eterna. Perché la morte la conosciamo tutti, ce la raccontano da sempre, ma andare d’accordo con lei, purtroppo, non è mai facile.

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