Il giorno dell’ape
- Autore: Paul Murray
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2025
Paul Murray, famoso scrittore irlandese, reduce di una serie di recensioni positive e di grandi premi ricevuti, arriva in Italia con Il giorno dell’ape (Einaudi, 2025, traduzione di Tommaso Pincio), libro strepitoso che, in poco meno di 650 pagine, narra l’intricata storia della famiglia Barnes, la quale, impigliata nei problemi passati, è costretta ad andare avanti inciampando in continui imprevisti quotidiani.
Quando ti senti così non importa se sei seduta o in piedi Se vieni o se vai Se vivi o muori Tutto sparirà nel silenzio di una minuscola particella bianca su uno sfondo bianco Che rimbalza da una parete all’altra come un’eco di te stessa
Nel testo ogni capitolo è raccontato da un punto di vista diverso. Infatti è proprio tramite i loro occhi che verrà descritto l’irrefrenabile fallimento della concessionaria Volkswagen, nata dalle mani di Maurice, padre di Dickie, e unica fonte di sostentamento della famiglia. Con questo stratagemma, l’autore si concede la possibilità di divagare; ogni personaggio è descritto nelle sue giornate, ogni parente ha una prosa diversa. Quella che risalta di più è ovviamente la parte di Imelda, che, tra le varie particolarità, è quasi completamente svuotata dei segni di punteggiatura.
La forza del libro è che, attraverso la percezione dei singoli protagonisti, Murray racconta le loro difficili interazioni, quali sono i loro pensieri, quali sono i loro problemi, quali sono i loro rimorsi. Ed è grazie a questo che ognuno di loro sembra già compromesso, come se la loro vita fosse già stata scelta a priori, come se non avessero più la possibilità di migliorare. L’impressione che danno è quella di vivere in un limbo di insoddisfazione e di rabbia reciproca, i loro rapporti sembrano fatti solo di odio e nient’altro.
È questo che ci unisce. E quando lo avremo riconosciuto, quando ci vedremo come una comunità di differenze, quelle stesse differenze non ci definiranno più. Sarà allora che potremo cominciare a lavorare insieme e cambiare le cose.
Visto che i Barnes sono quattro, i comportamenti dei personaggi hanno l’occasione di venire analizzati da varie angolazioni. Essendo messi in scena sempre in maniera differente, non smettono mai di mostrare sfumature del loro carattere che non era mai stato esaltato in precedenza. Facendo ciò, il libro permette al suo pubblico di scendere lentamente nella psiche dei personaggi e ogni parte serve per ampliare e comprendere meglio il loro dramma.
Ogni volta che si conclude un capitolo sembrano essere condannati da un perenne effetto domino, come se il loro passato, che magari non avevano neanche vissuto (come nel caso di PJ e di Cass, nati da una tragedia) li avesse costretti ad una vita infelice. Murray, in definitiva, sfrutta la loro storia per raccontare la sua idea di tempo, dell’importanza delle scelte che si prendono, della complessità dei rapporti familiari e dello strazio che vivono personaggi, i quali, seppur accomunati da un legame affettivo, non riescono in nessun modo a comunicare tra loro.
La grandezza de Il giorno dell’ape sta nel non trattare con stupidità il proprio lettore. Sin dall’inizio lo sfida, dissemina nelle pagine degli indizi, delle premonizioni, lo depista e, quando serve, lo accompagna per mano nelle parti più delicate e toccanti.
Quando si pensa che non ci sia limite al peggio, quando si pensa di aver chiaro quello che succede, quando si è sicuri di non poter ricevere sorprese, il libro ci meraviglia cambiando le carte in tavola. Anche quando sembra di star assistendo a una storia inverosimile, quando i personaggi sembrano vittime di una vita che li calpesta, che li fa sprofondare nel baratro, è proprio a quel punto che Paul Murray dà il meglio di sé andando ancora più in profondità, raccontando scene che non lasceranno indifferenti.
Il passato resta con noi, in moltissimi modi inaspettati. Se non ci abbiamo fatto pace, si ripresenterà di continuo.
Il giorno dell'ape
Amazon.it: 10,19 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il giorno dell’ape
Lascia il tuo commento


Sorta di affresco post-moderno del rovinoso declino di una famiglia della media borghesia irlandese, Il giorno dell’ape di Paul Murray è un libro dotato di scorrevolezza e pathos straordinari, grazie anche alla maestria con cui l’autore dirige la sua orchestra di quattro elementi (i protagonisti della vicenda), dimostrando di padroneggiare la tecnica del discorso indiretto libero, sostituendo quindi la voce del narratore a quella degli stessi personaggi e avvalendosi di strategie già viste in passato, quali l’abolizione della punteggiatura o l’uso della seconda persona singolare. Irvine Welsh, lo stesso Bret Easton Ellis (che ha elogiato Murray), Chuck Palahniuk e, andando più indietro nel tempo, William Faulkner hanno spianato la via a Murray, che dimostra egregiamente le proprie abilità di scrittore alternando i pensieri di Cass, PJ, Dickie e Imelda in un susseguirsi di menzogne, tradimenti, tentativi di fuga e progetti tanto folli quanto spettacolari. Se Murray, come sostiene qualcuno, non ha dunque proposto nulla di nuovo a livello stilistico, c’è un aspetto che personalmente mi ha colpito profondamente, ed è questo, a mio avviso, il vero punto di forza del romanzo.
Mi spingo a scomodare, per spiegarlo, l’etichetta di realismo magico.
Quando parliamo di realismo magico siamo abituati a pensare ai sudamericani – Marquez, Cortazar, Allende, Guimaraes Rosa –, probabilmente perché la terra in cui ambientano le loro storie è una terra estremamente superstiziosa, che mescola elementi cristiani ad altri pagani, e in cui i rituali apotropaici e il rapporto col mondo dei morti appartengono alla quotidianità. Ebbene, nel romanzo di Murray accade la stessa cosa. L’Irlanda è a tutti gli effetti la terra degli gnomi, degli elfi, delle streghe e delle fate, ed è una terra che per decenni è stata oggetto di guerre sanguinarie tra cattolici e protestanti. Tradotto: la fede nel soprannaturale è un punto fermo degli irlandesi, consapevolmente o meno. Murray inserisce nel suo romanzo proprio tale elemento, un elemento vivificatore dell’intera saga familiare dei Barnes: il mondo soprannaturale.
Il fantasma di Frank riecheggia nel corso di tutta la storia, così come la figura silenziosa di Rose, chiaroveggente dal profondo istinto materno. Victor, con il suo strabismo marcato e la camminata da paziente psichiatrico, è l’equivalente di un troll, di una creatura selvaggia, nemico della società degli uomini, figura ascetica e marziale. E Imelda non ricorda forse, nella descrizione della sua bellezza incantevole e ammaliante, una principessa delle fiabe? La sua verginità non è il simbolo di una purezza incontaminata e quasi sacra? E suo padre non è descritto incessantemente come l’orco cattivo, il mostro dalle braccia di piombo e dallo sguardo inceneritore? Il sogno ricorrente di Imelda – la leggenda del pellegrino incapace di ritrovare la via di casa, imbattutosi per caso in un villaggio in festa, che lo rifocilla e lo rende felice fino alla lacrime, per poi accorgersi al mattino dopo dell’illusione e di come la sua vera casa, il suo vero villaggio, sia irriconoscibile a causa dei cento anni trascorsi dalla sua partenza – è un altro segnale di quel realismo magico cui accennavo prima. Lo stesso bosco in cui si svolge buona parte dell’intreccio, e in cui è ambientato il finale del libro, è un simbolo marcatamente allegorico. Il bosco è, nella tradizione favolistica, il luogo dello smarrimento, dell’ignoto, della biforcazione dei percorsi, degli incontri inaspettati. Dante e Ariosto lo sapevano bene. Murray riprende tutti questi elementi e li fonde in quella che io, personalmente, non definirei una tragedia greca, quanto piuttosto una tragedia norrena. Shakespeare è citato in causa ampiamente. Se ricordiamo la trama dell’Amleto, con il fantasma di un defunto perennemente in scena, un matrimonio con il fratello del morto e un dubbio persistente (essere o non essere) in merito alla propria identità, abbiamo le caratteristiche di partenza del Giorno dell’ape.
Murray riesce a fondere sapientemente tutti questi elementi con la modernità.
Il legame uomo-natura è ripreso nella sua accezione contemporanea, la lotta contro il cambiamento climatico. Sia Cass (nome parlante: Cassandra è colei che vede oltre il presente) che Victor (ma anche Dickie e PJ) sono impegnati concretamente nell’affrontare la minaccia apocalittica della fine del mondo, ma lo fanno nel modo sbagliato. L’uccisione sistematica degli scoiattoli, vale a dire di povere creature innocenti, così come l’inizio del libro, in cui si narra una brutale storia di cronaca in cui a essere sterminati sono proprio degli innocenti, sono spie inquietanti di un violentissimo e inevitabile contraccolpo, indizi disseminati lungo il cammino verso lo sconvolgente epilogo della storia dei Barnes, un epilogo non voluto dalla natura stessa come si potrebbe erroneamente pensare – PJ, nel momento in cui vaga per le vie notturne di Dublino, ha infatti la lucidità per riflettere amaramente su come all’universo non importi niente di noi – ma dall’uomo. Del resto, il giorno in cui Imelda viene “punta dall’ape”, lo spiega molto bene: le api, gli scoiattoli, la natura stessa non hanno nulla a che fare con le scelte umane. È l’uomo la bestia, la folle creatura incapace di dominare i propri istinti, ed è l’uomo la causa e la fine di tutto.
Scomodando ancora una volta Marquez, in Cronaca di una morte annunciata accadeva proprio questo. Conoscevamo dal principio l’esito della vicenda, ma più procedevamo nella lettura più ci rendevamo conto di come il protagonista non potesse sfuggire al proprio destino a causa di una serie di coincidenze, talvolta banali o irrisorie, ma pur sempre fatali. Forse è in questo che Murray più si accosta alla tragedia greca. Nelle opere di Sofocle, i personaggi sono maledetti e non possono farci nulla. Le colpe dei padri ricadono sui figli, senza alcuna possibilità di redenzione. Ed è proprio in questo che si manifesta il coraggio (ma anche il profondo disagio) di ognuno di loro: sono già dati per sconfitti alla casella di partenza, eppure devono entrare in partita e lottare con tutte le proprie forze pur sapendo che niente cambierà.
Leggendo Il giorno dell’ape, infine, non ho potuto non ricordare un vero e proprio capolavoro della disgregazione familiare americana: Revolutionary roads di Richard Yates. Anche qui la grettezza, la noia e la meschinità del mondo piccolo borghese sono le molle per un tentativo di cambiamento, che però da miccia divamperà in un fuoco distruttore capace di avvolgere tra le sue spire i buoni propositi dei personaggi. Questo è un altro punto fondamentale della storia dei Barnes: sono tutti animati da buone intenzioni, ciascuno cerca una via, una soluzione ai propri problemi, sbagliando ovviamente, ma è come se, poco prima della resa dei conti, i quattro componenti del nucleo familiare vivessero una sorta di illuminazione, di piccola rivelazione personale, e nel tentativo di riconciliarsi con loro stessi e col loro mondo di fantasmi, scivolassero nell’oscurità.
Insomma, Il giorno dell’ape è a mio avviso un gioiello letterario che merita di essere letto e analizzato, e seppur presenti alcuni difetti, assolve pienamente al proprio compito: coinvolge, emoziona e fa pensare il lettore, spiegandoci come in fondo sia l’onestà – con se stessi e con gli altri – il paese felice del sogno premonitore di Imelda.