Il giardino dei semplici
- Autore: Maria Milena Priviero
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2024
Scrive con grazia Maria Milena Priviero nella sua ultima silloge Il giardino dei semplici (Samuele Editore, 2024, 118 pagine, prefazione di Paolo Venti):
Tacerò il grido. / Però lasciatemela dire la gioia / di un esclamativo condiviso.
Lo chiede con eleganza nel prologo, a mo’ di preludio. Occorre d’altronde molta sapienza nei tempi difficili che stiamo vivendo, occorre un distacco partecipe che la poesia sa richiedere e concedere, per ricordarsi di questo punto esclamativo, un condensato inno alla gioia insopprimibile nonostante la pesantezza del transeunte, il dolore del trascorrere, quel "male di vivere" a cui Montale ha dato voce, e lo fa ugualmente Priviero.
L’artista inventa il neologismo "malescenza", termine incisivo in quanto unisce “male” ed “esistenza”, per affermare che la sua gioia non è insensibilità o fuga nel bucolico, sguardo superficiale, anzi tutt’altro. Essa conserva entrambi i lati della realtà naturale e umana, luce e ombra, fioritura e decadimento; è fortemente consapevole che, nel profondo, l’istinto universale si fonda sulla ricerca inesausta del piacere e della felicità da cui sgorga l’eterno rinnovamento. L’accostamento filosofico alla poetica del testo è la volontà di Schopenhauer.
Il tono è pacato; l’autrice dipinge quadri acquerellati, compone musica di un quartetto. Il libro è sezionato in quattro parti. Il giardino dei semplici comprende l’intera natura con le amate presenze, erbe, animali e fiori, enumerati e indicati con precisione e tenerezza stupita nella parte centrale della silloge. Vivida fra altre l’immagine della chioccia, un classico reso nuovo da pennellate espressioniste, dove il visivo si unisce al suono con efficacia:
“E tra la salvia verso l’orto, un pigolio / di pulcini stretti,stretti alla chioccia. / È così che studio nel giorno che passa / laluce e l’ombra”
Come non essere catturati dal suo incanto!
I semplici sono tutti coloro che vivono senza porsi le grandi domande metafisiche; non hanno bisogno di chiedere conto al Creatore sui perché dell’esistenza, trovando nell’accettazione la pace naturale concessa alle creature. Anche il poeta è un "semplice", capace di godere la suprema armonia del tutto sentita come verità esperita.
Nella sua meditazione sul tempo, altra tematica cara all’autrice, si evidenziano il legame, la somiglianza e l’unità quasi frattalica tra le generazioni (nonna, madre, nipote), scoprendo nella fusione l’unguento alle ferite e alla ferocia di Kronos che strappa affetti, gioventù, salute e qualunque altro possesso con la determinazione dell’inesorabile. L’autrice constata quindi:
"non siamo padroni di niente"
C’è ancora da sottolineare il riferimento all’"hortus conclusus" che per la poetessa è se stessa, metafora della sua anima. L’“Hortus” era il luogo appartato e circoscritto in cui gli antichi filosofi si isolavano, onde dedicarsi alla ricerca di Dio. Così il giardino dei semplici collega, perché li comprende, i “fanciulli” ingenui e la psiche prelogica agli illuminati intuitivi ultra logici. Gli estremi si toccano.
Il libro, caldo e solare, conclude il suo iter con un elogio alla bellezza e all’amore nella visione felice dell’abbraccio fra due giovani. Di fronte a ciò, posso parafrasare l’apostolo Paolo (in diverso contesto ma sempre con l’amore protagonista), lì dove scrive "ogni ginocchio si pieghi". (Lettera ai Filippesi). Amore e bellezza sono dunque vincenti sulla “malescenza”? Per Priviero sembra di sì. La sua posizione, considerato l’“Hortus” interiore, non è di stampo meramente contemplativo ma partecipativo. E con lei, anche noi lettori siamo tutti dentro le meraviglie del giardino.
Il giardino dei semplici
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