Sapete che la mitica balena bianca Moby Dick creata dalla penna di Herman Melville è ispirata a una storia vera? Tutto ebbe inizio il 12 agosto 1819, quando la baleniera “Essex” salpò dal porto di Nantucket, in Massachussets. Proprio in questa data potremmo collocare l’inizio del capolavoro di Melville, dando delle coordinate temporali e storiografiche a uno dei libri più celebri della letteratura del Novecento.
La storia di Moby Dick, che la penna di Herman Melville avrebbe eternato in ambito letterario, era in realtà già nota alla gente di mare che tramandava da tempo, di nave in nave e di paese in paese, la terribile vicenda della baleniera Essex naufragata al largo delle Galapados il 20 novembre 1820, quindici mesi dopo aver lasciato il porto, in seguito al violento attacco di un capodoglio. Il finale di Moby Dick quindi, in un certo senso, era già scritto.
Esploriamo il confine sottile tra realtà e finzione, ma soprattutto scopriamo quale fu l’ispirazione di Melville e cosa spinse lo scrittore a narrare proprio questa storia dando alla vicenda una profonda valenza allegorica. Quanto c’è di vero in Moby Dick?
Il terribile naufragio che conclude la mastodontica narrazione di Moby Dick, in realtà, rappresentava solo il principio di una storia da brividi.
Herman Melville e l’ispirazione di Moby Dick
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La storia della balena bianca giunse alle orecchie di un giovane Melville quando era solo un giovane mozzo che navigava per mare, facendo esperienza per la prima volta sulle navi baleniere. Era una vecchia storia che passava di bocca in bocca e così viaggiava di paese in paese, ogni volta un poco variata in base alla fantasia di chi la narrava. Non era però una di quelle storie di fantasmi raccontate per suggestionare le menti degli ascoltatori nelle lunghe notti in mare; era una storia vera, a testimoniarla c’era persino il resoconto ufficiale pubblicato nel 1821 da Owen Chase, uno degli otto sopravvissuti al naufragio della baleniera Essex. Il giovane Herman Melville ne fu suggestionato, come probabilmente molti marinai dell’epoca che vivevano in preda dei moti fluttuanti delle onde e delle maree, temendo l’agguato di mostri marini che non avevano propriamente sembianze “fantastiche”. La differenza era che Melville era uno scrittore e quindi fece propria la storia e decise di raccontarla a modo suo.
La vera storia di Moby Dick
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Il naufragio della baleniera Essex non è propriamente identico a quello del Pequod, narrato in Moby Dick. L’attacco del capodoglio infatti nella realtà avvenne in pieno giorno, alla luce del sole, mentre nel finale del libro si verifica in una notte buia. Inoltre, nella vera storia, il naufragio non è che solo l’inizio della terribile vicenda: quando il relitto dell’Essex si inabissò, in seguito al violento attacco, vi furono otto sopravvissuti che riuscirono a salvarsi grazie all’utilizzo di alcune scialuppe di emergenza. Gli uomini dovettero sopravvivere per tre lunghi mesi in mare aperto, e fu quello il vero inizio dell’incubo. Sono documentati persino atti di cannibalismo: per non morire di stenti i marinai dovettero mangiare i compagni morti. Malattie, fame, allucinazioni accompagnarono il viaggio degli uomini verso la terraferma. Tra i pochi sopravvissuti Owen Chase, l’autore del celebre resoconto, e anche il capitano della baleniera George Pollard. Alcuni anni dopo Pollard, che all’epoca dei fatti aveva solo ventinove anni, ebbe la possibilità di capitanare un’altra baleniera, la Two Brothers, con un esito nefasto: dopo diciotto mesi di viaggio nell’Oceano Pacifico, Pollard fece incagliare la Two Brothers, affondando la nave in quello che oggi è il Papahānaumokuākea Marine National Monument. Il capitano, ancora una volta, sopravvisse ma nessuno volle più affidargli una nave; su di lui gravava una fama oscura. George Pollard visse i suoi ultimi anni lavorando come guardiano notturno di un villaggio sulla costa. Herman Melville lo incontrò di persona, a Nantucket, dopo la pubblicazione di Moby Dick. Allora il romanziere aveva trentadue anni e nutriva grandi speranze per il suo romanzo, fresco di stampa, che presto sarebbe stato stroncato dalla critica. Pollard invece di anni ne aveva sessanta, era ormai un uomo provato dalla vita e dai colpi avversi del destino.
Melville gli parlò a lungo, ma dovette avvertire lo scarto tra realtà e immaginazione: l’uomo anziano che aveva davanti non aveva nulla a che fare con il suo mitico capitano Achab. Dopo quell’incontro lo scrittore ebbe un’unica certezza: il calvario di George Pollard non era terminato con il naufragio dell’Essex, perdurava ancora.
La vera storia di Moby Dick è narrata in un libro dal titolo Heart of the Sea: le origini di Moby Dick, proposto in Italia nel 2015 dalla casa editrice Elliot in seguito al lancio del film di Ron Howard Heart of The Sea ispirato alla vicenda. Si tratta di una nuova edizione del saggio di Nathaniel Philbrick, uno studioso di marineria che studiò per anni l’insolita vicenda della baleniera Essex.
Chiamatemi Ismaele: la narrazione allegorica di Melville
Una specie di maledizione dunque gravava sui marinai sopravvissuti all’attacco della balena; ma Melville si fermò prima di raccontare l’orribile storia. Quella dello scrittore era una narrazione allegorica, capace di miscelare il saggio al racconto documentario, e prevedeva un unico sopravvissuto, cui Melville affida un nome biblico: Ismaele. Il celebre incipit di Moby Dick, Chiamatemi Ismaele, ha infatti una profonda valenza simbolica: nella Bibbia Ismaele è il nome del figlio ripudiato da Abramo, questa sua “orfanità” gli conferisce i tratti propri dell’esule, dell’eterno vagabondo, una condizione che Herman Melville identifica, in fondo, come connaturata a ogni creatura appartenente alla specie umana.
Mocha Dick, il vero nome di Moby Dick
Il nome della balena bianca invece non fu un atto di invenzione dettato dalla necessità di celare velati o occulti simbolismi. Pare che Melville, nel 1839, fosse stato suggestionato dalla lettura di alcuni articoli di cronaca che narravano di un terribile capodoglio albino famoso per i suoi attacchi mortali alle navi baleniere che cercavano di dargli la caccia. La balena infine fu uccisa al largo delle coste cilene vicino all’Isola Mocha, per questo le fu dato il nome Mocha Dick, che evidentemente lasciò in Herman Melville un’impressione indelebile. In particolare l’articolo che più impressionò lo scrittore era a firma di Jeremiah N. Reynolds e titolava Mocha Dick: Or the White Whale of the Pacific.
Il titolo originale del libro di Melville è Moby-Dick, scritto proprio con il trattino, ma in tutto il resto della narrazione il trattino tra le due parole fu rimosso lasciando uno spazio vuoto nel nome della balena. Ora che sappiamo la verità sull’intera storia è lecito chiedersi: perché Herman Melville decise di dare come titolo al proprio libro il nome della balena?
Non il nome del presunto eroe, ma del suo antagonista, si tratta di una decisione senza dubbio singolare che getta una nuova luce sull’intera narrazione. Dare un nome alla balena, proprio quel nome preciso, e non chiamarla semplicemente The Whale - come riportato nel sottotitolo della prima edizione del libro - equivaleva ad antropomorfizzarla, conferendole caratteristiche umane.
Mocha Dick fu battezzata post-mortem, come un trofeo di caccia, ma la Moby Dick di Herman Melville sarebbe stata consegnata all’alveo dell’immortalità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Moby Dick: la storia vera della balena che ispirò Herman Melville
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