

Il 5 febbraio 1993 moriva a New York Hans Jonas, filosofo tedesco naturalizzato statunitense di origine ebraica. La filosofia di Hans Jonas rappresenta uno degli esiti più attuali del pensiero neoebraico: con il suo principio responsabilità egli richiama, infatti, l’umanità a un rinnovato impegno nei confronti delle generazioni future.
Profondo conoscitore del pensiero antico e soprattutto dello gnosticismo, del quale divenne uno dei massimi esperti, Hans Jonas ebbe una formazione continentale e visse sulla propria pelle la tragedia del secondo conflitto mondiale, da combattente e da emigrato.
Accanto alla dimensione etica, predominante nella sua riflessione come in quella di altri importanti pensatori ebraici del Novecento, come Levinas, Hans Jonas offrì contributi originali e pregnanti su molte questioni di scottante attualità: dalla biologia, al ruolo della tecnica, fino alla questione della teodicea, riconsiderata alla luce della tragedia dei campi di sterminio.
In occasione dell’anniversario della morte, ripercorriamo vita, opere e pensiero di Hans Jonas.
La vita e le opere di Hans Jonas
Nato da una famiglia di origini ebraiche, Hans Jonas (Mönchengladbach, 10 maggio 1903 – New York, 5 febbraio 1993) studiò a Marburgo dove si laureò con Rudolf Bultmann e fu allievo di Martin Heidegger, oltre ad avere tra i suoi compagni di studi Hannah Arendt. Oltre alla filosofia si dedicò anche alla storia delle religioni, approfondendo in modo particolare il pensiero tardo antico e lo gnosticismo.
Nel 1933 emigrò per motivi razziali, prima nel Regno Unito e poi in Palestina, dove insegnò nell’Università Ebraica di Gerusalemme. Dopo la guerra si spostò di nuovo, prima in Canada e, infine, a New York dove si svolse la parte più consistente della sua carriera accademica, presso la New School for Social Research di New York.
Lo gnosticismo fu il punto di partenza di tutta la sua riflessione: Jonas, infatti, ritenne fondamentale il dualismo tra spirito e materia e individuò in questa corrente motivi e atteggiamenti propri anche dell’esistenzialismo di Heidegger, del quale valorizzò e approfondì la riflessione sul tema della Tecnica.
Tra le opere più rappresentative di Jonas ricordiamo:
- Gnosi e spirito tardo-antico (in due parti pubblicate nel 1934 e nel 1954);
- Il fenomeno della vita. Verso una biologia filosofica (1966);
- Il principio responsabilità. Ricerca di un’etica per la società tecnologica (1979), che è sicuramente il suo capolavoro;
- Il concetto di Dio dopo Auschwitz (1984);
- Tecnica, medicina ed etica (1985).
Hans Jonas e la questione della tecnica


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Come Heidegger, Jonas ritiene che la tecnica nel mondo contemporaneo abbia attraversato profonde trasformazioni e da mezzo per la realizzazione degli scopi del genere umano sia diventata un fine in sé. In altre parole la tecnica si è resa sempre più autonoma rispetto all’uomo e alla fine lo ha assoggettato (chiediamoci, per un attimo, se oggi saremmo ancora in grado di vivere senza lo smartphone, anche noi che siamo cresciuti quando i cellulari non c’erano ancora) divenendo così un Prometeo scatenato, ovvero un meccanismo automatico che ormai non solo esula completamente dalle finalità umane ma che potrebbe anche portare alla distruzione dell’uomo.
L’etica della responsabilità di Jonas


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Proprio a fronte di questo rischio, Hans Jonas propone un’etica della responsabilità tutta nuova perché non pone l’uomo come suo baricentro e non assume il presente come proprio orizzonte temporale. Critico nei confronti delle morali tradizionali e consapevole che il dominio illimitato sulla natura, inaugurato da Bacone, stava conducendo l’uomo del Novecento sul baratro di una catastrofe, Jonas propone di considerare, come criteri determinanti del nostro agire, anche gli effetti di lungo periodo e di tenere conto delle forme di vita non umane e delle generazioni future.
Evidentemente questa di Jonas non è un’etica dell’intenzione come quella kantiana, egli ritiene che si debbano anche calcolare gli effetti che le azioni compiute qui e ora produrranno sull’umanità e sul pianeta in un futuro più o meno lontano, tuttavia, proprio sulla scorta di Kant, egli elabora un nuovo imperativo categorico che consta di quattro diverse formulazioni. A titolo esemplificativo citiamo solo la prima, alla quale possono essere ricondotte tutte le altre:
“Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla Terra”
Posto questo criterio, Hans Jonas va anche oltre e si chiede perché dovremmo comportarci così, perché, in definitiva, dovremmo limitarci in vista del benessere delle generazioni future; si preoccupa, quindi, di giustificare, ossia di fondare filosoficamente, le regole morali che ha formulato.
Egli, intanto, rifiuta la cosiddetta Legge di Hume, il principio in base al quale non è possibile derivare proposizioni prescrittive (che ci indichino come dobbiamo comportarci e riguardano, quindi, il dover essere) da proposizioni descrittive (che ci indicano come stanno le cose e riguardano, quindi, l’essere).
Sulla scorta di Aristotele, nota, poi, che la vita ha in sé un fine intrinseco, una finalità interna che provoca una tendenza in tutti gli esseri viventi. Questo scopo è il bene che Jonas intende come ciò “la cui possibilità include l’esigenza della sua realtà”: in altri termini se il bene è possibile allora diviene anche qualcosa di realizzabile e, a fortiori, qualcosa che deve essere realizzato. Più concretamente il bene è ciò di cui bisogna realizzare l’esistenza, lo scopo dell’uomo diviene allora quello di rendere possibile l’esistenza dell’umanità (anche in futuro), quello di far esistere la vita indefinitamente.
Jonas, allora, parla di un principio responsabilità perché, prima di essere responsabili di un altro singolo uomo, siamo responsabili
“verso l’idea di uomo, che è tale da esigere la presenza delle sue incarnazioni nel mondo”
È, dunque, l’idea di uomo che va salvata e preservata prima dei singoli uomini e di questa necessità morale, di questo senso di responsabilità che porta a preservare la vita, si danno anche degli esempi lampanti. Consideriamo, ad esempio, le cure parentali, che per Jonas costituiscono l’archetipo di questo senso di responsabilità: nel neonato coincidono l’essere (la vita) e il dover-esser (l’imperativo che ci impone di preservare e far continuare la vita), dal momento che, con sua esistenza indifesa, con il suo solo respiro, il neonato impone all’ambiente circostante di prendersi cura di lui.
In definitiva, Jonas formula un’etica minimale che individua nella sopravvivenza dell’umanità l’obiettivo primario dell’uomo. È stata definita anche un’etica dell’emergenza, con evidenti consonanze con il pensiero ambientalista, perché individua nell’esistenza dell’umanità, in un ambiente naturale sufficiente, il presupposto di qualsiasi altra azione morale.
Proprio perché minima, questa etica si contrappone ai grandiosi progetti che hanno animato l’età moderna ovvero alle utopie: qui Jonas ha in mente in particolare l’utopia baconiana, che individuava nella tecnica lo strumento che avrebbe garantito il dominio sulla natura, oltre che la realizzazione di un società più giusta e felice, e l’utopia marxista, che ha portato a stati con un elevato tasso di burocratizzazione dove la tecnologia, lungi dall’essere ridimensionata, ha conservato un ruolo egemone.
Alle utopie Jonas preferisce una più realistica cautela e un principio di responsabilità che si nutra non solo della speranza ma anche della paura: questo secondo sentimento ci riporta costantemente con i piedi per terra, facendoci presagire le potenziali catastrofi alle quali può condurre un uso sregolato della tecnica; inoltre la paura può stimolare la ricerca, anche filosofica, portandola alla formulazione di nuovi principi etici che impongano doveri concreti al genere umano.
Questa concretezza, accompagnata dalla cautela e dalla paura, ad esempio, portò Jonas a criticare profondamente la Chiesa riguardo alla condanna degli anticoncezionali (un controllo delle nascite avrebbe garantito un futuro migliore all’umanità), come anche l’ingegneria genetica (i cui risultati era e sono ancora oggi imprevedibili); il filosofo guardò, invece, con maggior favore ad alcune forme di eutanasia.
Hans Jonas e il revival della teodicea nel Novecento
La teodicea è la dottrina filosofica che si occupa di giustificare Dio di fronte al male presente nel mondo: si tratta di una questione molto antica, su cui i filosofi riflettevano già nell’antica Grecia, e che ha avuto la sua stagione migliore tra il Seicento e il Settecento. Il problema della teodicea sembrava aver trovato un momentaneo punto d’arrivo in Kant e in Nietzsche ma si ripropose insistentemente soprattutto dopo la Shoah.


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Il concetto di Dio dopo Auschwitz è un libriccino che dà conto di una conferenza tenuta da Hans Jonas e che riscosse molto successo quando fu pubblicato: il filosofo si chiede qui come Dio abbia potuto permettere la tragedia dei campi di sterminio e prospetta due possibili alternative. Dio potrebbe essere incomprensibile e aver permesso che ciò avvenisse per motivazioni che rimangono imperscrutabili all’uomo, oppure Dio non è onnipotente come tradizionalmente si crede. Jonas propende per la seconda alternativa e afferma che quando Dio ha concesso la libertà all’uomo ha anche rinunciato volontariamente alla sua onnipotenza; Dio si è autolimitato nel momento in cui ha reso l’uomo libero e quindi, nell’ora più buia del Novecento, non ha potuto intervenire.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Hans Jonas: vita e pensiero del filosofo del principio Responsabilità
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