
Il 17 gennaio 2020 moriva a Brescia, sua città natale, il filosofo italiano Emanuele Severino. La figura di Emanuele Severino ha suscitato negli ultimi anni un crescente interesse: la sua complessa filosofia ha attirato l’attenzione degli studiosi, come anche copiose critiche, e le sue opere hanno suscitato vivaci dibattiti accademici.
Ciò non solo per la difficoltà e, talvolta, per l’oscurità dei suoi scritti ma anche perché Emanuele Severino si è contraddistinto per una originale rivalutazione di Parmenide – la sua posizione è stata definita, non a caso, Neoparmenidismo – che lo ha portato, sul solco di Heidegger, a criticare l’intera tradizione filosofica occidentale, dal suo punto di vista eccentrico e molto originale.
Al di là delle diatribe, tuttavia, il pensiero di Emanuele Severino, per la sua raffinatezza concettuale, la sua profondità teoretica e la sua finezza analitica, si configura come un unicum nel panorama filosofico del secondo Novecento: ciò lo rende non un semplice accademico ma un nome destinato a rimanere nella storia della filosofia contemporanea.
A 5 anni dalla morte, ripercorriamo vita, opere e pensiero del filosofo italiano Severino.
La vita e le opere di Emanuele Severino
Emanuele Severino (Brescia, 26 febbraio 1929 – Brescia, 17 gennaio 2020) studiò in un collegio gesuita della sua città natale e si interessò inizialmente di matematica, fisica e musica. Fu quest’ultima disciplina che fece virare i suoi interessi verso la filosofia, disciplina che studiò presso l’Università di Pavia, dove si laureò nel 1950 sotto la guida di Gustavo Bontadini, un filosofo con il quale, negli anni successivi, intrattenne una delle sue molte controversie accademiche.
Ottenuta la libera docenza ad appena ventitre anni, si sposò, ebbe due figli e insegnò all’Università Cattolica di Milano dal 1954 al 1969. Fu qui che si consumò lo scontro con la Chiesa: i suoi scritti, infatti, attirarono l’attenzione della Congregazione per la dottrina della fede (il famigerato Sant’Uffizio) e, dopo una lunga disamina condotta dal teologo Cornelio Fabro, il suo pensiero fu dichiarato incompatibile con la dottrina cattolica.
Ciò portò Severino a Venezia, dove divenne docente di Filosofia Teoretica dal 1970 e fu tra i fondatori della neonata facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Ca’ Foscari. Qui insegnò a lungo, ebbe molti allievi (tra cui Umberto Galimberti) che segnarono, a loro volta, la scena filosofica italiana, e divenne professore Emerito. Dopo il pensionamento continuò a insegnare all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Fu accademico dei Lincei e collaborò a lungo col Corriere della Sera.
Tra i suoi molti libri, nei quali si è confrontato con le figure e i temi capitali del pensiero e della letteratura occidentale, ricordiamo, come testi essenziali per comprendere il suo pensiero:
- Heidegger e la metafisica (1950);
- La struttura originaria (1958);
- Essenza del nichilismo (1972) dove trova posto il fondamentale articolo Ritornare a Parmenide;
Severino e l’eternità di tutte le cose


Link affiliato
Emanuele Severino si colloca nella tradizione inaugurata da Heidegger e offre una originale rilettura di tutta la tradizione filosofica occidentale, tenendo in particolare riguardo anche il pensiero di filosofi come Eraclito, Parmenide, Aristotele, Nietzsche e Gentile.
Proprio riprendendo Parmenide egli afferma che:
"La negazione del divenire scaturisce immediatamente dall’autentico principio di Parmenide: l’essere è. Se l’essere diviene – se il positivo sopraggiunge – l’essere, prima di sopraggiungere, non era: ed è appunto questo l’assurdo, o è appunto questa la definizione dell’assurdo: che l’essere non sia. […]. Tutto è necessario, allora".
Cerchiamo di comprendere cosa significa questa frase: se affermiamo che prima di nascere non eravamo (nulla), e che quando saremo morti non saremo più (nulla), stiamo semplicemente attestando quel che osserviamo nella nostra esperienza quotidiana, ossia che le cose mutano, cambiano, divengono. Da un punto di vista più filosofico stiamo, però, anche affermando che ciò che ora è, poi, diventerà nulla, stiamo cioè ammettendo che l’essere possa divenire non-essere, ossia nulla.
Ora, se prendiamo alla lettera quanto affermava Parmenide, ciò è semplicemente assurdo perché “l’essere è e non può non essere”, l’essere non può diventare nulla, l’essere non può divenire.
A ciò dobbiamo aggiungere, la convinzione di Severino che l’essere non sia solo l’essere formale (l’unità di tutte le che sono, potremmo dire per semplificare, il tutto) ma anche i singoli enti o essenti (ossia le singole cose che esistono nella realtà: una persona, il computer, la penna, ecc.).
Ammettere il divenire, allora, porta all’assurdo, ossia a una insanabile contraddizione, ad ammettere che l’essente (che per Severino coincide con lo stesso essere), prima di esistere e dopo la sua morte, sia anche non-essere ossia nulla.
Se ciò è assurdo, allora non si può che concordare con Parmenide e ammettere la necessità di tutto ciò che è, e la sua eternità. Lo stesso principio di non contraddizione, per Severino, ci porta ad affermare che ciò che esiste, anche ciò che esiste qui e ora, coincide con l’essere e non può essere altro da sé, ossia non può essere non-essere. Se essere ed esistente non si possono separare, allora, il divenire diviene un assurdo, perché ci porta ad ammettere il nulla e dobbiamo affermare l’eternità dell’essente, ossia di tutto ciò che si dà nella realtà contingente.
Difficile da credere, ma il ragionamento di Severino ci porta proprio a negare la consistenza del divenire, come attesta quest’altro bel passo:
"Questo corpo brucia e a questo corpo si sostituisce la sua cenere: l’apparire non attesta altro che una successione di eventi: il pezzo di carta bianca, l’avvicinarsi della fiamma, la fiamma che cresce, un pezzo di carta più piccolo e di forma diversa, una fiamma più esile, un pezzo ancora più piccolo e di forma ancora diversa, la cenere. Ad ogni evento ne succede un altro, nel senso che un secondo evento incomincia ad apparire quando il primo non appare più. Ma che ciò, che non appare più, non sia nemmeno più, questo l’apparire non lo rivela […]. La comprensione veritativa del divenire, che è contenuto dell’apparire, rileva […] il silenzio dell’apparire circa le sorti di ciò che non appare. E se queste sorti sono taciute dall’apparire come tale, esse sono svelate […] dalla verità dell’essere che […] dice che l’essere è e non può non essere e resta eterno presso di sé".
L’essere, allora, rimane essere e la carta continua ad essere, ad esistere, anche quando si è fatta cenere. Questo evento ci dice che cosa, allora? Che nella combustione viene meno non la carta ma l’apparire della carta. E il fatto che la carta non appaia più non ci dice che la carta non è più ma ci rende palese solo “il silenzio dell’apparire” della carta.
L’errore di Parmenide, secondo Severino, è stato quello di non dare dignità agli essenti, alle cose che esistono, pur apparendo prima e smettendo di apparire, poi. Tra l’essere immutabile nella sua interezza e gli essenti, ossia l’essere che appare nell’esperienza, in forma processuale, si dà, secondo Severino una differenza ontologica: il primo si pone come un essere concreto (nella sua realtà effettuale, potremmo dire), il secondo come un essere astratto. Posta questa distinzione, non si dà nulla oltre l’essere, che ha, quindi, anche un carattere immanente. Ciò porta a escludere ogni forma di creazionismo e ogni forma di dipendenza ontologica degli enti o essenti (delle cose che esistono nella realtà contingente) da un essere trascendente. Dio, quindi, per come lo intende il Cristianesimo, è solo uno dei tanti assurdi che si sono configuranti nella storia del pensiero occidentale, che per Severino, similmente ad Heidegger, è storia dell’oblio dell’essere.
Il nichilismo di Emanuele Severino e l’Occidente
Come sappiamo, la storia della filosofia, in particolare Platone e, poi, Aristotele, ha decretato la sconfitta di Parmenide. I due massimi pensatori dell’antichità, con le loro filosofie, hanno elaborato delle soluzioni concettuali per pensare il divenire e, quindi, hanno spalancato le porte al nichilismo, ovvero alla possibilità che l’essere sia (diventi) nulla. Ecco perché la storia dell’Occidente è, anche per Severino, storia del nichilismo e allontanamento, dimenticanza del vero essere.
Come già aveva rilevato Heidegger, ciò porta a un’angoscia esistenziale, di fronte a un essere precario e frammentario, che appunto diviene, l’Occidente prova una nostalgia del vero essere, di quell’essere immutabile che aveva prima ripudiato.
A quest’angoscia, a questo vuoto, a questo bisogno di essere, l’Occidente risponde ricorrendo alla logica e alla razionalità, con le quali produce degli Immutabili, delle concettualizzazioni apparentemente stabili (Dio, i principi logici, le leggi della natura, i principi morali, le leggi civili, lo Stato, il mercato) che, tuttavia, eterni non sono, come ha messo evidenziato Nietzsche, quando ha sottolineato la relatività dei valori.
Sopra, o meglio, oltre queste costruzioni teoriche, e fallaci, vi è quel che Severino chiama episteme, ossia il sapere razionalmente fondato, in altri termini il sapere filosofico, la filosofia stessa con la sua capacità di cogliere la verità dell’essere.
Emanuele Severino e la Tecnica


Link affiliato
Nella storia dell’Occidente gli uomini hanno rivolto il loro sguardo al divenire, dimenticando l’essere, perché desiderano trasformare il mondo, fino a dominare le cose e il mondo stesso: per accrescere il loro potere, per estendere questo stesso potere sulle cose che, nel modo comune di pensare divengono, quindi, gli uomini si affidano alla religione prima, a filosofie scientifiche poi, e infine alla tecnica. Quest’ultima è il punto d’arrivo del percorso compiuto dall’Occidente, è ciò che si concretizza nei droni, nell’IA, nella profilazione di dati, nei robot e che e al quale la religione stessa e le filosofie scientifiche si sono piegate e asservite.
L’uomo, dunque, ricorre alla tecnica e alla scienza, come agli altri Immutabili, per ordinare il divenire, per salvarsi dall’angoscia che esso produce, per scampare i mali che da esso derivano.
La tecnica, che è l’ultimo Dio, dunque – e qui sta l’attualità di Severino – è il luogo dove la filosofia scompare e declina, la scienza e le sue applicazioni si sono sostituite alla filosofia. Questo è il destino dell’Occidente: la nostra razionalità, dimenticando l’essere, ha generato mostri che l’hanno, in un certo qual modo, fagocitata.
Oltre questo scenario sta l’immutabilità dell’essere, la vera realtà dove tutte le cose sono e ritornano sempre: Severino, che qui si richiama a Nietzsche, ammette, di contro alla Tecnica che scaturisce dal divenire, l’eterno ritorno di tutte le cose, una visione ardua, riservata solo a pochi, che, di fronte alla totalità e all’eternità dell’essere, impone il silenzio.

Recensione del libro
Il mio ricordo degli eterni
di Emanuele Severino
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Emanuele Severino: vita e pensiero del filosofo del Neoparmenidismo
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Filosofia e Sociologia News Libri Emanuele Severino
Lascia il tuo commento