

Targa commemorativa di Edmund Husserl a Prossnitz, Repubblica Ceca © Pernak
Il pensiero di Edmund Husserl apre la riflessione del Novecento e dà vita a una corrente, la Fenomenologia, che vedrà nelle sue schiere, o influenzerà profondamente, grandi nomi della filosofia contemporanea come Merleau-Ponty, Levinas, Edith Stein, Heidegger e Sartre.
Fondatore di un metodo filosofico, piuttosto che di una scuola di pensiero, con la Fenomenologia Husserl intendeva superare tanto l’idealismo che l’empirismo, tematizzando un nuova teoria della conoscenza che si proponeva di tornare “alle cose stesse”.
Nell’ultima parte della sua vita, poi, Edmund Husserl, che presentiva chiaramente il baratro nel quale sarebbe presto sprofondata l’Europa, offrì una originale riflessione sulla crisi di quelle scienze che, nell’illusione di definire un universo scientifico-obiettivo, avevano dimenticato il cosiddetto mondo della vita.
La vita e le opere di Edmund Husserl
Nato a Prossnitz, nell’attuale Repubblica Ceca, da una famiglia della media borghesia ebraica, Edmund Husserl (8 aprile 1859 - 27 aprile 1938) studiò matematica a Vienna e a Berlino, dove divenne assistente di Weierstrass.
Grazie all’incontro con il filosofo Franz Brentano iniziò ad interessarsi alla filosofia, che iniziò a insegnare ad Halle nel 1887, poco dopo essersi convertito al protestantesimo.
Dopo la pubblicazione delle Ricerche logiche (1900) si trasferì a Gottinga dove continuò ad elaborare il primo nucleo del suo pensiero e si circondò di un folto gruppo di discepoli.
Negli anni successivi diede alle stampe le Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica (1913) e si trasferì nella prestigiosa università di Friburgo. Qui conobbe il suo allievo di genio, Martin Heidegger, dal quale, però, prese poi le distanze per delle insormontabili divergenze dottrinali.
Dopo il pensionamento (1928) continuò a tenere conferenze nelle principali città europee e a lavorare ad altre sue opere fondamentali – come le Meditazioni cartesiane e La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale – che vedranno la luce solo dopo la sua morte.
Radiato dal corpo accademico per le sue origini ebraiche Edmund Husserl non abbandonò mai la Germania.
Oltre alle tante opere che approfondiscono vari aspetti della fenomenologia lascia anche un imponente corpus di circa quarantamila pagine di appunti stenografati, che durante la guerra fu salvato e trasferito a Lovanio, in Belgio.
I fondamenti della matematica e il passaggio dallo psicologismo alla fenomenologia
La riflessione di Husserl prende le mosse dalla matematica e, in particolare, dalla domanda cosa sia un numero. Nella Filosofia dell’aritmetica (1891) Husserl afferma che il concetto di numero può essere ridotto, e quindi può trovare il suo fondamento, nei processi psichici del contare e del raggruppare. Husserl fa perciò sua la posizione dello psicologismo (una forma di empirismo) secondo la quale, più in generale, i principi della logica e della matematica sono il frutto di un processo di astrazione che parte da fenomeni concreti e soggettivi, quali appunto le operazioni della mente.
Il testo, però, riceve delle severe critiche da Gottlob Frege, il logico più importante e stimato del tempo, che rimprovera a Husserl il fatto che i giudizi e i concetti matematici, come i principi della logica sono universali ed oggettivi, rimangono tali anche se nessuno li pensa, mentre le rappresentazioni psicologiche della nostra mente e i suoi atti sono particolari e soggettivi. Ciò porta Husserl a rifiutare lo psicologismo e a ritenere che mentre i fatti della coscienza sono singolari e calati nel tempo, i principi logici e matematici sono verità universali, necessarie e sovratemporali.
Accanto ai principi della logica e alle leggi che stanno alla base della matematica, Husserl pone anche altri oggetti ideali, come il rosso, o la congiunzione e la disgiunzione (che stanno alla base di affermazioni come “il rosso è un colore”) che non dipendendo e non possono essere desunte dall’osservazione.
L’intuizione eidetica e le essenze
Husserl chiama tali oggetti ideali essenze e afferma – è questa una delle principali novità della fenomenologia – che esse vengono intuite durante la nostra esperienza percettiva. Facciamo un esempio: in questo momento percepisco il grigio della tastiera del mio notebook. L’esperienza mi offre questo dato di fatto, che è però contingente (la tastiera potrebbe anche essere nera, ad esempio). In questo fatto, tuttavia, colgo anche un’essenza, ossia “il colore”, di cui il grigio della tastiera è solo un caso particolare. Diversamente dagli empiristi, le essenze non sono astratte ma intuite immediatamente, sono il frutto di una intuizione che Husserl chiama eidetica per distinguerla da quella dei fatti singoli e per indicarci, appunto, che ciò che viene colto è un eidos, un oggetto ideale e invariante che supera l’esperienza.
La fenomenologia è, dunque, discorso razionale, quindi scienza, dei fenomeni della coscienza ovvero delle stesse essenze, è in definitiva scienza delle essenze che però non rifiuta mai l’esperienza perché le essenze si colgono sempre tramite essa.
A tal proposito Husserl distingue tra:
- variazione eidetica: ossia il processo con il quale si introducono delle variazioni nelle proprietà di ciò che esemplifica un concetto (ad esempio: posso variare il grigio nelle sue molteplici sfumature). In questo modo si giunge a un punto in cui non si può più variare, altrimenti non si avrebbe più lo stesso oggetto (non posso variare il grigio in un si bemolle, altrimenti non avrei più un colore). Ciò che è invariante, al di là di tutte le possibili variazioni, è l’essenza;
- riduzione eidetica: è la stessa intuizione eidetica, possibile solo quando, di fronte ai vissuti della coscienza, sappiamo rinunciare a tutti gli aspetti empirici.
Ora, per Husserl la coscienza non si limita a percepire ma ricorda, spera, desidera, immagina, anche: in tutte queste attività oltre al contenuto contingente è possibile sempre cogliere anche un’essenza.
I principi della logica e gli assiomi che stanno alla base della matematica sono per Husserl rapporti tra essenze e, pertanto, sono da considerarsi giudizi universali e necessari: essi costituiscono quella che il filosofo definisce ontologia formale. Esistono però anche delle ontologie regionali, ossia discipline che studiano le essenze della morale, della religione, della natura o della società, ossia le modalità peculiari con cui si presentano alla coscienza i fenomeni della morale, ecc.
La coscienza intenzionale e l’epoché
Memore dell’insegnamento di Franz Brentano, Husserl ritiene che la coscienza sia sempre caratterizzata dall’intenzionalità: ogni qualvolta che percepisco, ricordo, immagino, i nostri atti psichici si riferiscono sempre a un suo oggetto, sono sempre coscienza di qualcosa, tesi, direzionati verso un particolare contenuto. Proprio per questo Husserl distingue tra:
- noesi, ossia l’attività della coscienza, l’aver coscienza;
- noema, ossia il contenuto di coscienza, ciò di cui si ha coscienza;
Ciò non significa che quel di cui ho coscienza esista veramente (quel che ricordo o immagino, ad esempio non esiste al di fuori di me); l’interesse di Husserl è per ciò che originariamente si presenta alla coscienza, per questo, nella fenomenologia, non ha senso distinguere tra apparenza e cosa in sé, né ha senso cercare di collocare questa filosofia nell’eterno dibattito tra realismo e idealismo.
Husserl specifica, inoltre, il metodo della sua filosofia attraverso il concetto di epoché (che Husserl chiama anche riduzione fenomenologica) ossia la messa tra parentesi, la sospensione di giudizio su tutto ciò che affermano sia la filosofia che le scienze ma anche su tutte quelle credenze, convinzioni e persuasioni che ci permettono di vivere nel quotidiano (è ciò che Husserl chiama atteggiamento naturale), come, ad esempio il fatto che esista un mondo esterno a noi.
Dopo aver sospeso il giudizio quel che resta è un residuo fenomenologico, quel che rimane è proprio la coscienza con le sue essenze, con i suoi contenuti eidetici; una coscienza che è quindi del tutto indifferente all’esistenza dei suoi oggetti e che può, dunque, considerarsi pura o trascendentale perché la sua attività, di natura intenzionale, non è minimamente scalfita dalla messa tra parentesi del mondo.
I caratteri della coscienza pura o trascendentale
Questa coscienza pura è immanente a sé stessa e si manifesta a sé stessa con una evidenza che va oltre ogni possibile dubbio, per questo Husserl parla anche di apoditticità (assoluta evidenza) della coscienza.
Se questa coscienza è il fondamento di tutto, se dopo l’epoché non vi è null’altro che coscienza c’è, però, il rischio del solipsismo. È un rischio scongiurato da Husserl con l’affermazione che il soggetto trascendentale (il soggetto titolare di questa coscienza pura, l’osservatore disinteressato che coglie i contenuti di coscienza dopo la messa tra parentesi del mondo) si rivolge a un oggetto al quale, in linea di principio, potrebbero rivolgersi allo stesso modo anche altri soggetti trascendentali. In altri termini, l’oggettività dei contenuti di coscienza è garantita dal fatto che tali contenuti, ossia le essenze, non sono proiezioni di una singola coscienza ma fenomeni che che possono apparire a una molteplicità di coscienze. L’intersoggettività, l’essere con altri che si fonda sulla nozione di corpo vissuto (Leib), quindi, è alla base dell’oggettività.
La coscienza pura, infine, è caratterizzata dalla temporalità: ciò perché con le sue operazioni tiene traccia degli atti di coscienza dei momenti immediatamente passati (ritenzione) e anticipa l’attività di coscienza dei momenti immediatamente futuri (protensione); lo scorrere del tempo è quindi un suo elemento costitutivo.
La crisi delle scienze e il mondo della vita
L’ultima grande opera di Husserl evidenzia che le scienze, pur avendo percorso un cammino trionfale fatto di incessanti progressi, sono caratterizzate da una crisi di senso che trova la sua ragione ultima in un profondo fraintendimento. Da Galileo in poi le scienze si sono occupate di un mondo scientifico-obiettivo fatto dai soli aspetti quantificabili e quantificabili della realtà, un mondo semplificato, per Husserl, che le scienze, però, hanno scambiato per il mondo nella sua interezza.
Prima di esso, però, c’è un mondo di evidenze originarie e intuitive, il mondo delle essenze, appunto, che Husserl chiama anche mondo della vita, un mondo di oggetti intenzionali, che possono essere intuiti da una molteplicità di soggetti, in un flusso temporale. Compito della filosofia è allora mostrare come il mondo scientifico-obiettivo si fondi su questo mondo della vita e non sia in contrasto con esso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Edmund Husserl: vita e pensiero del padre della Fenomenologia
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