Perché si scrive? Questa la domanda implicita cui Maria Luisa Spaziani risponde in questo componimento, E intanto scrivo, che può essere considerato un manifesto di poetica. Si regge inizialmente su una contrapposizione di stampo proustiano: “La vita è breve e l’arte è lunga” che replica l’eterno dissidio tra la vita e l’arte e il tentativo inesausto, da parte dei poeti, degli intellettuali, degli artisti, di spiegare la prima attraverso la seconda: dare un senso al tempo finito, mortale, mediante una promessa fallace di eternità.
Alla domanda “Cos’è la poesia?”, Maria Luisa Spaziani rispose in vari modi, tra i più interessanti troviamo: contemplare ciò che scorre da un punto di vista privilegiato; tessere favole sulla memoria più o meno involontaria (qui la matrice proustiana è fortissima); infine, ordinare su una cifra espressiva il caos dell’esistente. Il poeta assume quindi un punto di vista privilegiato; spesso Spaziani lo paragona a “un profeta”, tramite una metafora teologica che ben esprime il concetto sacrale radicato in lei di “poesia”. C’è una verità nascosta, invisibile, e al poeta spetta il compito di scovarla, di far brillare, rendendola manifesta al resto della comunità che la ignora. Questo è il compito dei poeti e la ricerca letteraria assidua espressa da Spaziani nei versi di E intanto scrivo, in cui la dicotomia tra arte e vita si annulla in un reciproco completamento. La scrittura diventa la ricerca di un senso che costantemente sfugge ai vivi: non è detto che quel senso poi lo si trovi, ma nella sua poesia Maria Luisa Spaziani narra la costanza, insistita e temeraria, della ricerca.
Nell’immagine, evocata dalla poetessa, del poeta profeta possiamo scorgere la figura di Eugenio Montale, che le fu mentore. Era lei la Volpe, la presenza femminile, cantata dal poeta ligure ne La Bufera e altro (1956). Montale, più di tutti, affermava che il poeta doveva mostrare oltre ciò che l’occhio è abituato a guardare, che la realtà non è solo quello che si vede. Nella sua lezione di scrittura, Spaziani dimostra di aver fatto proprio questo insegnamento: la parola diventa lo strumento per giungere alla verità, che è qualcosa di eterno e al contempo cangiante, in grado di andare oltre lo spettro ingannevole del visibile.
La riflessione sulla poesia è maturata da Spaziani nella sezione poetica dal titolo La luna è già alta (Mondadori, collana “Lo specchio”), nella quale è presente anche la lirica E intanto scrivo.
“E intanto scrivo” di Maria Luisa Spaziani: testo della poesia
La vita è breve e l’arte lunga, pure
può esser breve l’arte, e interminata.
Questa treccia di luce che si annoda
tra stella e stella, in cerca del suo porto.
So che ho vissuto già più di cent’anni
e sto sull’alto della torre e scruto
ogni giorno l’arrivo del messia.
Di dove non lo so, né chi egli sia,
so che giro all’intorno la lanterna
quando fa notte, e intanto scrivo e scrivo
in ogni pausa, per scaldarmi la mano.
Venne un giorno un profeta mussulmano
e mi disse una cosa amara e strana,
che proprio qui, fra queste oziose carte,
il mio messia s’è fatto la tana.
“E intanto scrivo” di Maria Luisa Spaziani: analisi e commento
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Interessante notare come nelle poesie di Maria Luisa Spaziani il concetto di poesia si leghi sempre alla semantica della luce. Già in Lucerna il poeta veniva descritto come “un’oliva schiacciata nel frantoio” che produce olio nel tentativo di accendere una “lucerna sacra” che è, appunto, metafora della poesia. Anche qui ritorna l’immagine di una lanterna, cui la poetessa gira intorno come una falena notturna nel tentativo di carpirne la luce. Anche in La lucerna, Spaziani presenta il poeta come avvolto dal suo “diadema di solitudine”, riproponendo l’idea di poeta-profeta, colui che è circonfuso, per vocazione, da un’aura divina.
Il rimando alla mano che guida alla scrittura, presente in E intanto scrivo, è un altro tema costante in Spaziani quando descrive il gesto di scrivere: sembra che non sia un’azione compiuta direttamente dalla poetessa, ma una sorta di ispirazione, uno sdoppiamento dettato da una specie di possessione divina:
E così lascio che la penna vada, / non scelgo prima il senso o la metafora.
Sono le parole a raggiungere la poetessa, mentre lei si limita a girare attorno alla luce soffusa della Poesia. L’immagine evocata del Messia rimanda all’ispirazione poetica divina, extrasensoriale, che si trova al di fuori della realtà conosciuta. Anche la poetessa se ne sta isolata, circonfusa dalla propria solitudine ascetica, come ci suggerisce il luogo della torre che rimanda alla “vetta della torre antica” di leopardiana memoria. Il passero solitario di Leopardi che va cantando finché non muore il giorno era un’altra metamorfosi della figura del poeta: la solitudine appare come una circostanza necessaria, proprio perché esclusiva, per la condizione di chi scrive. La solitudine è ciò che garantisce la posizione privilegiata sull’alto della torre. Ma non è la sola condizione, poiché la poetessa necessita anche dell’ispirazione, offerta dalle parole salvifiche di un anonimo Messia. Nella figura del profeta, del messia citato da Spaziani, possiamo cogliere senza indugio una maschera di Eugenio Montale, che fu mentore della poetessa. Già nella poesia Un giorno anch’io scriverò “L’anguilla”, che riprendeva un tema caro a Montale sotto forma di parodia, Maria Luisa Spaziani scriveva:
In quel momento l’angelo mi prenderà la
mano, / e la penna sarà incandescente
Il titolo della lirica alludeva a quella che, secondo Spaziani, era una delle poesie più belle e perfette di Eugenio Montale. La poetessa si augurava di poter giungere, attraverso la scrittura, a un analogo livello di perfezione e dunque si lascia guidare da colui che più di tutti l’ha ispirata.
L’idea di cogliere il senso attraverso la poesia ritorna nei versi di E intanto scrivo dove la scrittura diventa ricerca dell’assoluto, doppio dell’esistenza. La dicotomia tra vita/arte sancita nell’incipit “La vita è breve/l’arte è lunga” sembra risolversi, unificarsi nel finale, nell’immagine delle “oziose carte” - ovvero le poesie scompaginate sul tavolo - nelle quali è custodita la soluzione dell’arcano, dell’enigma dell’esistenza. Le poesie sono la “tana del Messia”, ovvero la sede della verità a lungo ricercata: la scrittura diventa il mezzo per giungere al centro delle cose, al loro svelamento. Il lavorio incessante del poeta, secondo Spaziani, consiste proprio in questo “la vita è breve/l’arte è lunga”, nella contrapposizione tra finito e infinito, nella tensione verso l’assoluto del lavoro artistico.
“E intanto scrivo”, suggerisce il titolo della poesia, rimandando a un’azione mai compiuta, mai risolta, sempre narrata nel suo farsi, declinata in un eterno presente, costantemente in divenire. Perché il verso non è mai finito, la sua potenza si allarga a dismisura, diventa visione.
Fare poesia è non smettere mai di cercare, di cercarsi, questa è la rivelazione “amara e strana” cui fa riferimento Maria Luisa Spaziani: la consapevolezza che la ricerca letteraria non è mai finita, perché le parole non sono mai sterili, continuano a nascere, sono vive.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “E intanto scrivo” di Maria Luisa Spaziani: una lezione di scrittura in poesia
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