

Dolci, sante e marescialli
- Autore: Giampaolo Cassitta
- Genere: Libri da ridere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2018
Miracolo! La statua di santa Rita è tornata in chiesa proprio alla vigilia del 22 maggio, giorno dedicato alla patrona di tante città d’Italia. È nell’atmosfera ingenua e divertente di un paesino in bianconero, da film anni Cinquanta di De Sica in divisa da sottufficiale dell’Arma, che ci porta il romanzo spiritoso di Giampaolo Cassitta, Dolci, sante e marescialli, pubblicato dalla casa editrice cagliaritana Arkadia nel 2018. Un lavoro irresistibile, che lettori in vena di letture non impegnative non dovrebbero farsi sfuggire.
Una rapina, a Roccabuiedda, nel 1956? All’appuntato Marceddu sembra impossibile: da quelle parti non rubano nemmeno una gallina. In chiesa, poi!
Eppure, è successo, in sacrestia, assicura donna Matilda Serrau, moglie del vicesindaco e proprietaria della migliore pasticceria in zona. Tonda e burrosa come le paste che vende, la signora ha raggiunto la caserma della Benemerita e insiste perché il comandante di Stazione venga messo al corrente del reato dal graduato dell’Arma.
Ligio al dovere, Marceddu si informa intanto sui rapinatori. Sono fuggiti? In quale direzione? La risposta della vicesindaca lo mette in allarme. Sono barricati in chiesa. Ancora nella sacrestia? No, a Roma, in Vaticano.
L’evento, inaspettato, sveglia un paese addormentato.
A questo punto, per non sciogliere il mistero, facciamo un passo indietro: torniamo al titolo del romanzo (in fondo "una favola", riconosce il prolifico scrittore algherese). I dolci sono le torte al cioccolato, le creme e i deliziosi patassini della pasticceria Serrau. La santa è Rita da Cascia, moglie e mamma umbra del XV secolo, beatificata nel 1600 e ascesa agli altari nei primi del 1900. Il maresciallo è Annino Fabotti, bel giovane, sottufficiale capace, Carabiniere moderno, ahi ahi di fede politica comunista in un’Italia governata dalla Democrazia Cristiana e in un mondo irrigidito dalla guerra fredda.
Il furto della statua di santa Rita sembra non essere accaduto per caso. La pasticciera mette Fabotti al corrente della lettera ufficiale pervenuta al parroco don Martino dalla Città Eterna. È a firma del prefetto della Congregazione dei riti e, dopo un pistolotto sull’apertura della Chiesa verso l’innovazione, all’insegna della gioia del Signore, comunica ch’è stato deciso di spostare dal 22 maggio al 9 settembre il giorno dedicato alla santa di Roccaporena nel calendario gregoriano. Per dare priorità alla nascita e alla speranza, la ricorrenza verrà d’ora innanzi celebrata il giorno successivo alla natività della Beata Vergine e non più nella data che ricorda la morte, il 22 maggio, della santa delle api e delle rose.
Tutto qui? Niente affatto. “È inaudito. Cosa gravissima”, insiste donna Matilde. La spiegazione è presto detta: è questione di voti. Non le schede nelle urne (anche se la signora ne sa parecchio pure di quelle: sono servite a far eleggere il marito, Antonino Truddesu, un incapace scansafatiche), ma i fioretti, gli impegni assunti dai fedeli e soprattutto dalle fedeli, in cambio dell’intercessione della santa per ottenere qualcosa di tanto desiderato.
Presi dai devoti il 22 febbraio, quando a Roccabuiedda si porta in giro la statua custodita nella chiesa di don Martino, i voti possono essere sciolti solo il giorno in cui si festeggia santa Rita. Con la riforma, perciò, non più dopo tre mesi, ma dopo la bellezza di sei. Sicché, chi si è impegnato a bere un solo bicchiere d’acqua al giorno, dovrà tenere fede fino al 9 settembre e lo stesso vale per chi ha promesso di rinunciare alla cena o a una certa pietanza. Fin qui, apparentemente niente di che. Invece, fa notare la Murrau, lo spostamento farà crollare l’economia di Roccabuiedda, della Sardegna e persino di tutta l’Italia, visto che la santa protegge un’infinità di comuni.
L’Italia cadrà in bancarotta per qualche fioretto? Proprio così. Per capirlo, bastano alcune brevi considerazioni esposte dalla pasticciera: passi il voto di recitare certe preghiere dal 22 febbraio al dì della santa, la dilazione è innocua, ma i panifici venderanno meno prodotti a chi rinuncia alla focaccia o al pane; crollerà il commercio di latte e formaggi, oggetto di fioretto anche quelli; sei mesi di miele invenduto sarà una condanna per gli apicoltori. E l’elenco potrebbe continuare, passando dalla considerazione che una delle rinunce votive più gettonate sacrifica i dolci.
Mentre la signora Murrau in Truddesu ha già rivolto una supplica al vescovo di Sassari con toni vagamente ultimativi, il maresciallo sembra rimanere un passo indietro. Non è ansioso e, da laico, ritiene che i voti possano essere sciolti a prescindere da una data precisa. Eppure, la fatalità lo travolge, spingendolo ad attivarsi per risolvere quello che a un certo punto si manifesta anche a lui come un problema di tutta gravità e urgenza: sua moglie Maria Assunta ha fatto voto di castità temporanea in cambio della redenzione di un comunista.
Al rappresentante dell’ordine a Roccabuiedda, otto mesi senza i piaceri e i doveri del talamo coniugale sembrano un’eternità. Ora ci si mette anche il furto della statua di Santa Rita, o comunque la sua sparizione dalla Chiesa? O che altro ancora?

Dolci, sante e marescialli
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