Pompeo Marchesi, Monumento a Cesare Beccaria, 1837, Milano
Il 28 novembre 1794 moriva Cesare Beccaria, filosofo e giurista, tra i massimi esponenti dell’Illuminismo italiano, ricordato anche per essere stato il nonno di Alessandro Manzoni. Con Cesare Beccaria lo spirito illuminista porta nel diritto penale la sua ansia di rinnovamento e di riforma: formatosi sui testi degli empiristi inglesi e degli illuministi francesi, nel suo celebre Dei delitti e delle pene, egli offrirà una visione estremamente moderna dei reati e delle punizioni e condannerà la pena di morte.
Esponente di spicco dell’Illuminismo milanese, Cesare Beccaria, insieme ai fratelli Pietro e Alessandro Verri, animerà il dibattito culturale del capoluogo lombardo e, come molti altri illuministi, sarà impegnato in prima persona in progetti di riforma nelle corti europee governate dagli Asburgo.
Grazie alla sua opera, che ebbe subito vasta diffusione, Beccaria diverrà famoso in tutta Europa e le sue posizioni sul diritto penale, oltre a divenire il credo di tutto l’Illuminismo in materia, si configureranno come il fondamento dei moderni codici penali dei principali stati di diritto.
A 230 anni dalla morte, ripercorriamo vita e pensiero di Cesare Beccaria.
La vita di Cesare Beccaria
Dopo gli studi a Parma, con i gesuiti, e la laurea in Giurisprudenza a Pavia, Cesare Beccaria (1738-1794) venne diseredato dal padre che non aveva accettato il suo primo matrimonio, dal quale nascerà la figlia Giulia, poi madre di Alessandro Manzoni. Beccaria trova presto la protezione e il sostegno economico di Pietro Verri: con lui, e con suo fratello Alessandro, partecipa all’Accademia dei Pugni, il cenacolo intellettuale degli illuministi milanesi, e, nel frattempo, scopre opere fondamentali di illuministi francesi quali Montesquieu. Tra il 1764 e il 1766 collabora alle pubblicazioni del periodico “Il Caffè”, una rivista che, nonostante la sua breve vita, favorì lo scambio di idee e la libera espressione dei partecipanti e promosse proficui scambi di opinioni sulle riforme che avrebbero dovuto modernizzare e far crescere una Lombardia allora retta dagli Austriaci.
Sempre nel 1764, dopo aver pubblicato alcuni articoli accademici dedicati a temi economici, Beccaria pubblica Dei delitti e delle pene , opera che ebbe un immediato successo in tutta Europa e anche nel resto del mondo, basti pensare che ad essa si ispirarono anche i padri fondatori degli Stati Uniti d’America durante la stesura della Costituzione americana.
Dopo un viaggio compiuto controvoglia in Francia per presentare e discutere la sua opera, tornato in Italia inizia a insegnare scienze camerali (economia politica) all’università. Nel 1771 entra con ruoli politici nell’amministrazione austriaca: come membro del Supremo consiglio dell’economia progetterà molte riforme che troveranno attuazione grazie a Maria Teresa d’Austria e al figlio Giuseppe II.
Dei delitti e delle pene e la condanna della tortura
Acclamata da Denis Diderot come un capolavoro e molto apprezzata anche da Thomas Jefferson, Dei delitti e delle pene, pubblicata anonima e presto messa all’Indice per la distinzione tra peccato, inerente la sola sfera individuale, e delitto (reato), che si consuma nella sfera pubblica, è l’opera che pone le fondamenta del diritto penale moderno.
Per comprendere questo testo occorre ricordare, innanzitutto, che Cesare Beccaria si era formato sulle opere di Locke, Rousseau, Helvetius e Condillac: aveva approfondito nei suoi studi le varie declinazioni del contrattualismo moderno, era consapevole dell’imprescindibilità del diritto naturale e, proprio perché educato anche al sensismo, fu in grado di svolgere riflessioni molto moderne anche sulle condizioni fisiche dei detenuti e sull’inefficacia delle punizioni corporali.
In Dei delitti e delle pene Beccaria parte dalla constatazione che le istituzioni giuridiche dei vecchi regimi assolutistici non riescano a garantire né la libertà né la sicurezza dei cittadini, per questo è necessaria una riforma profonda del concetto di pena.
Tra i presupposti che soggiacciono a questa impresa riformatrice c’è la convinzione che gli uomini siano persone e non oggetti, che le società nascano attraverso la stipula di un patto o contratto, che i delitti siano una violazione di quel contratto e che diminuiscano la sicurezza dell’intera compagine sociale, che le pene hanno funzione preventiva e non punitiva: servono ad evitare nuovi delitti e devono essere certe (principio della certezza della pena); per Beccaria, inoltre, meglio una pena moderata ma infallibile che una punizione prolungata e incerta. Riguardo alle pene, poi, il giurista milanese assegna un’importanza maggiore alla loro estensione temporale piuttosto che alla loro intensità.
Uno dei principali bersagli polemici di Beccaria è la tortura che nel Settecento era una pratica ancora molto diffusa non solo in ambito civile ma anche ecclesiastico. Si tratta di una pratica inumana ma soprattutto inefficace perché spesso porta a delle confessioni false: l’uomo torturato, sebbene innocente, pur di mettere fine alle sue sofferenze si dichiara colpevole.
Beccaria riflette inoltre sui motivi che spingono alla tortura e sulla sua utilità: spesso questa pratica viene utilizzata in casi in cui il delitto, ossia il reato, e il suo autore, sono incerti. Ora, se il reato è certo il tormento fisico inflitto al torturato è inutile, non occorre nessuna confessione ma solo una pena certa e commisurata al reato commesso, secondo le leggi vigenti. Se il reato, poi, è incerto, è abominevole infliggere pesanti supplizi a un innocente che tale rimane finché i suoi reati non sono stati provati e un giudice non si sia pronunciato in merito. Cesare Beccaria ribadisce qui il principio dell’Habeaus Corpus già enunciato ai tempi della Magna Charta Libertatum: ogni imputato ha diritto a un giusto processo, la sua colpevolezza deve essere provata e si presume la sua innocenza fino a prova contraria.
Cesare Beccaria critico della pena di morte
Il secondo e più importante tema affrontato da Beccaria in Dei delitti e delle pene è la dimostrazione dell’inefficacia della pena di morte. Questa era spesso usata come deterrente: si credeva che i cittadini, impauriti dalla possibilità di morire, fossero così frenati dal commettere i reati più gravi.
Non solo, Beccaria, in ossequio ai principi del giusnaturalismo ritiene che il diritto alla vita sia inalienabile, che nessun uomo possa disporre liberamente della vita di un altro e l’interruzione violenta di essa non può rientrare in alcun patto sociale, per questo lo Stato – certo, uno stato di diritto – non può comminare una pena come la morte che va, quindi, abolita.
Se, poi, l’efficacia di una pena si misura in base alla sua durata, allora, piuttosto che una punizione intensa ma estremamente rapida, meglio condannare l’autore di gravi reati al lavoro duro, manuale, che possa apportare benefici allo Stato (ai lavori socialmente utili, diremo oggi).
Infine:
“Parmi assurdo che le leggi che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio”
Una morte legale, comminata come pena, insomma, è una circostanza profondamente contraddittoria: lo Stato, che condanna l’omicidio a tal punto da ritenerlo uno dei crimini più gravi, non può, poi, ammettere lo stesso gesto come pena.
L’unico caso in cui la pena di morte rimane legittima è il tradimento dello Stato da parte del monarca o di chi detiene il potere: se la libertà di uno stato è a rischio, o se lo stato stesso è caduto in una condizione di profonda anarchia per responsabilità di chi governa, allora, come già sostenevano i pensatori politici antichi e medievali, l’eliminazione di quello che è diventato un tiranno diventa lecita.
Padre del diritto penale moderno, Cesare Beccaria formula teorie estremamente innovative che non tardano a trasformarsi in scelte politiche ancora oggi modernissime: i principi del suo Dei delitti e delle pene entrano nella riforma del codice penale attuata da Pietro Leopoldo d’Asburgo, nel 1786 il Granducato di Toscana è il primo stato europeo ad abolire la pena di morte e la tortura.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cesare Beccaria: vita e pensiero del padre del diritto penale moderno
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