

Una formazione del Grande Torino nel campionato di Serie A 1942-1943. - WIKIMEDIA
Il 4 Maggio 1949 il mondo rimase sgomento dinanzi all’evento più luttuoso che la storia dello sport ricordi.
In quella giornata che cronache e testimoni raccontano come insistentemente piovosa e fin troppo uggiosa nonostante la primavera inoltrata, un incidente aereo uccise il Torino, all’epoca una delle squadre di calcio più forti, osannate e celebri a livello planetario.
I giocatori, tre dirigenti, due allenatori, un massaggiatore, tre giornalisti e l’intero equipaggio morirono nel terribile schianto del velivolo sul quale viaggiavano contro un muro della Basilica di Superga.
Un’immane tragedia che colpì nel profondo la società civile, anche coloro che non seguivano il calcio e non sapevano nulla di sport.
In occasione dell’anniversario della tragedia di Superga, ricordiamo il Grande Torino con i versi di Ai campioni del Torino, con cui Mario Luzi rese omaggio a quelle giovani vite che un destino crudele e beffardo spezzò troppo presto.
“Ai campioni del Torino”: testo della poesia di Mario Luzi
Qui, a questa rupe nera, piegava
la manovra leggera delle ali,
i triangoli in fuga coniugati,
il guizzo breve, il fulmine leggiadro?Mai la morte fu veramente morte
così, mai corse rapida all’essenza
come questa che vi abolisce, squadra
anche contro la morte, ancora squadra.Niente c’è più, nè grazia trascorrente
nè scienza fine e rapida sull’erba,
niente che vi protegga e vi distingua
dal tutto grigio e vile in cui rientraste?Niente, nè ritmo celere nè piano
che vi separi più dal moto oscuro,
tempo rubato al tempo non c’è più
che vi salvi dal tempo che v’invade?Niente c’è più, niente c’è più, o un barbaglio?
niente, niente, non c’è più niente, piove
qui dove noi diciamo Rigamonti,
Castigliano, Maroso, Ballarin.
Ai campioni del Torino: parafrasi
Qui, contro la parete della Basilica di Superga, qui si piegavano
le manovre leggere alle estremità del campo,
le triangolazioni,
il guizzo breve, la conclusione leggiadra (metafore che si riferiscono alle azioni del gioco del pallone)?
Mai la morte fu veramente morte
così, mai giunse rapida all’essenza
come questa che vi cancella, squadra
anche contro la morte, ancora squadra (come se i giocatori fossero ancora vivi e la squadra ci fosse ancora).
Non c’è più nulla, né l’armonia che attraversa il campo da gioco,
né la tecnica raffinata e veloce sull’erba (del campo),
nulla che vi protegga e vi distingua
dal nulla in cui rientraste?
Nulla, né il ritmo veloce né lento
che vi separi più dal misterioso movimento che porta verso la morte,
non c’è più tempo rubato al tempo
che vi salvi dal tempo che vi invade?
Non c’è più niente, non c’è più niente, o un improvviso lampo di luce?
niente, niente, non c’è più niente, piove
qui dove noi diciamo Rigamonti,
Castigliano, Maroso, Ballarin (alcuni giocatori del Torino periti nell’incidente)
Analisi della poesia: l’incredulità e il dolore dei contemporanei dopo la tragedia di Superga e l’omaggio al Grande Torino
Se chiedessimo a persone di qualsiasi età cos’è la tragedia di Superga, quasi certamente non ne troveremmo neanche una che non sappia rispondere, persino se di calcio ne sa poco o nulla.
L’espressione si riferisce, infatti, all’incidente aereo nel quale perì l’intera squadra del Torino, un avvenimento che ha segnato talmente in profondità la nostra storia recente, non solo sportiva, da essere noto a chiunque.
Era il 4 Maggio 1949 e il Torino stava rientrando a casa dopo aver disputato un’amichevole a Lisbona contro il Benfica.
Per motivi mai chiariti (guasto? condizioni atmosferiche avverse? errore umano?), il mezzo urtò violentemente contro un muro dell’antica basilica che domina il capoluogo piemontese e la sciagura si compì, spaventosa e inappellabile.
Morirono 31 persone, uno choc per l’Italia e per il resto del mondo.
Ciascuno, a suo modo, desiderò salutare e omaggiare le vittime, anche i poeti come Mario Luzi, che al Torino, ora divenuto Grande ed entrato nella leggenda, dedicò gli appassionati e toccanti versi di Ai campioni del Torino, un componimento dove la desolazione si accompagna all’incredulità, come se l’accaduto, invece che reale, fosse soltanto un brutto sogno dal quale potersi risvegliare da un momento all’altro.
Lo notiamo dalla forma interrogativa, dalle domande retoriche che l’autore si pone dall’inizio alla fine, manifestando il comportamento tipico di chi, facendo fatica ad accettare una situazione che lo angustia, tenta di allontanarla da sé illudendosi che non esista.
Tuttavia non ci si può sottrarre alla verità, una consapevolezza che affligge l’autore conferendo al contempo un cupo senso di angoscia e di malinconia ai suoi versi.
Davvero quei passaggi geometricamente perfetti, quei guizzi geniali e quelle conclusioni impeccabili che hanno fatto innamorare i tifosi non esistono più, ormai infrantisi e persi per sempre su quel muro perfido e solenne?
Davvero, si chiede mestamente Luzi, non rivedremo più i giocatori del Grande Torino?
Di fronte all’oggettività della morte, continuare a scandire i loro nomi regala l’ingenua ma consolatoria illusione di sentirli sempre vivi, scalpitanti e pronti a regalare ancora emozioni che la gente non dimentica e il tempo non sbiadisce.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ai campioni del Torino”, l’omaggio poetico di Mario Luzi al Grande Torino dopo la tragedia di Superga
Versi toccanti e profondi, intrisi di angoscia, sgomento e smarrimento di fronte ad una tragedia non solo italiana. Non solo sportiva. Perché il grande Torino " che trenare il mondo faceva", rappresentava l’ Italia vincente. L’ Italia che camminava a testa alta, orgoglio e vanto di una nazione che usciva scornata e a pezzi a seguito del devastante e mostruoso evento bellico. Era l’ Italia migliore. L’ Italia dei " poveri ma belli".