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Storia della letteratura

“Abbi pazienza, mia donna affaticata”: la poesia d’amore di Primo Levi

Di Primo Levi abbiamo imparato a conoscere la narrazione del lager. Ma la produzione dello scrittore torinese è molto più ampia. Scrisse anche poesie d'amore. Vi proponiamo in lettura la poesia composta per il compleanno della moglie, Lucia Morpugno. Il titolo fa riferimento alla data da festeggiare: “12 luglio 1980”.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 08-09-2023

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“Abbi pazienza, mia donna affaticata”: la poesia d'amore di Primo Levi

Sapete che Primo Levi scrisse anche poesie d’amore? I manuali scolastici hanno circoscritto la narrazione dello scrittore torinese all’ambito memorialistico e alla letteratura della memoria. Cosicché per tutti Primo Levi è lo scrittore del lager, le sue opere appaiono intimamente legate alla sua autobiografia e all’esperienza da deportato. In verità la produzione letteraria di Levi, autore Premio Strega 1979, è molto più ampia e diversificata di quel che crediamo. Primo Levi fu scrittore e pure poeta, anche se spesso tendeva a sminuire la propria opera poetica definendola soltanto “un vezzo”.
Nelle sue poesie, nate da quello stesso impulso “immediato e violento” che come narra in Se questo è un uomo lo spingeva alla scrittura, narravano della vita, della quotidianità e dell’amore. Perché oltre l’esperienza dolorosa e indelebile di Auschwitz c’era la vita; ed è questo che Levi sembra ricordare a noi lettori in ogni suo scritto. Abbiamo imparato a conoscere le sue lacrime, i suoi scritti di denuncia, le sue parole aguzze che ci invitano, anzi, ci ordinano, quasi dietro la minaccia dell’incombere di una maledizione, a “non dimenticare”; ma scopriamo anche l’umanità di Primo Levi e il suo sorriso, oltre le sue lacrime.
Vi proponiamo in lettura una poesia dal titolo 12 luglio 1980, contenuta nella raccolta Ad ora incerta (Garzanti, 1984), che fu composta da Levi in occasione del compleanno della moglie, Lucia Morpugno.

12 luglio 1980 di Primo Levi: testo

Abbi pazienza, mia donna affaticata,
abbi pazienza per le cose del mondo,
per i tuoi compagni di viaggio, me compreso,
dal momento che ti sono toccato in sorte.
Accetta, dopo tanti anni, pochi versi scorbutici
per questo tuo compleanno rotondo.
Abbi pazienza, mia donna impaziente,
tu macinata, macerata, scorticata,
che tu stessa ti scortichi un poco ogni giorno
perché la carne nuda ti faccia più male.
Non è più tempo di vivere soli.
Accetta, per favore, questi 14 versi,
sono il mio modo ispido per dirti cara,
e che non starei al mondo senza di te.

12 luglio 1980 di Primo Levi: analisi e commento

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12 luglio 1980 , come ci lascia intendere il suo titolo, non è solo una poesia ma è un biglietto d’auguri: una specie di componimento d’occasione, legato a una data precisa e speciale, il compleanno di Lucia. Quel 12 luglio 1980 non è una data storica, non richiama nulla alla nostra memoria perché è una data legata al codice intimo e non condivisibile della memoria privata, del lessico familiare.
Fatichiamo quasi a riconoscere la voce di Primo Levi in questa poesia, perché è una voce diversa da quella che declamava Shemà, i cui versi sono ormai incisi nelle nostre menti di studenti e nelle nostre coscienze. Queste parole, cantate in quattordici versi liberi, sono invece sciolte e libere da ogni pretesa di intellettualismo. Levi sta scrivendo una dichiarazione d’amore alla moglie e lo fa quasi scusandosi, come ci mostra l’incipit: “abbi pazienza” e, pochi versi dopo, “accetta questi versi scorbutici”.
Si tratta della più bella dichiarazione d’amore, perché in questi pochi versi spontanei non viene descritta l’adorazione di una musa astratta, ma l’amore sincero verso un altro essere umano, verso una donna “impaziente, macerata, scorticata” che non avrebbe nulla di amabile secondo i canoni classici, eppure è degna di adorazione perpetua nella sua smisurata, sofferente e complessa umanità. Capiamo che si festeggia una cifra tonda, quindi importante, da quel riferimento a “questo tuo compleanno rotondo”: in questo augurio familiare Levi adotta i termini teneri di una filastrocca e capiamo che, in fondo, vuole elogiare la moglie ma anche prenderla un po’ in giro.

Il tono di Levi non vuole imitare i grandi poeti novecenteschi, non ha pretese d’assoluto; capiamo che il suo unico destinatario, il destinatario ideale, è Lucia, ed è proprio questo ad acuire il sentimentalismo della poesia. La leggiamo con una commozione diversa da come leggeremmo Shemà, una commozione più intima e velata di vergogna perché ci sembra di sbirciare qualcosa che non ci riguarda, di entrare in punta di piedi in un rapporto a due così esclusivo che non prevede la presenza di una terza persona. La poesia d’amore di Primo Levi ci fa sentire lettori impacciati e teneri, perché appare come un disvelamento: ci mostra l’anima nuda dietro un uomo tutto d’un pezzo.
Non ci aspettiamo questo volto di Levi, ci appare in disaccordo con l’immagine che abbiamo di lui: l’uomo del lager non può parlare d’amore, no? Siamo così abituati a stigmatizzare, a incasellare, a ridurre le persone a un unico blocco monolitico, impreparati ad accettare la complessità.
Questo Levi ironico, dolce e innamorato che nasconde il suo sentimentalismo dietro una patina di ruvidezza ci appare quasi in disaccordo con il Levi narratore della Shoah, ma, inaspettatamente, ci commuove più del Levi più scolastico.
Nei suoi versi troviamo tutta la pietas che aveva reso memorabili le pagine di Se questo è un uomo, ma qui va oltre la Storia per proiettarsi in una dimensione più intima e umana nella quale ci sentiamo inclusi.

Chi era Lucia Morpugno, la moglie di Primo Levi

La capacità di ridere di Primo Levi ci lacera dentro perché ci rivela tutta la sua umanità, la sua dolcezza, che non era stata uccisa né spenta da Auschwitz. Dietro il sorriso di Levi c’è Lucia Morpugno, la donna che era stata la cura dall’inferno del lager e la salvezza da un’inevitabile deriva psichica.
In un’altra poesia intitolata, Sono tornato perché c’eri tu, lo scrittore afferma che è stato il pensiero di lei, Lucia, a farlo sopravvivere. La sposò nel 1947, dopo la Liberazione, ed ebbero due figli: Lisa Lorenza, nata nel 1948, e Renzo, nato nel 1957.

Una vecchia fotografia in bianco e nero ci mostra un giovane Primo Levi mentre sorride, seduto accanto a Lucia, che ha un’acconciatura d’epoca e un volto diafano. Nient’altro che due ragazzi, come tanti, seduti su una panchina. Lui ha il mento sollevato e un guizzo irriverente negli occhi; lei indossa un abito leggero e la sua espressione racconta una felicità perfetta. Sorrisi come questi attraversano il tempo e ci ricordano che no, Primo Levi, non è stato solo l’uomo del lager.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Abbi pazienza, mia donna affaticata”: la poesia d’amore di Primo Levi

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Commenti: 1

  • Daniele
    30 settembre, 03:17

    Grazie per aver scritto questa articolo.
    Primo Levi non è solo noto per aver scritto dell’esperienza dei lager in Se questo è un uomo. O del ritorno nella Tregua. Scriveva tantissimi racconti che ho letto in raccolte pubblicate con titoli significativi come la chiave a stella o il sistema periodico.
    Amavo tantissimo leggerlo, era come una guida.
    Quando è morto, non potevo crederci. Ho sentito un dolore immenso. Anche rabbia, come se fosse un tradimento da parte sua.
    Mi piacerebbe ricominciare a leggere.
    Probabilmente ripartirei anche dai suoi racconti.
    Dan

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