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“È stata la mano di Dio”: il regista e scrittore Paolo Sorrentino trionfa ai David di Donatello

Dopo la delusione degli Oscar, Paolo Sorrentino ha trionfato con la pellicola autobiografica “È stata la mano di Dio” ai David di Donatello. La pellicola si è guadagnata, tra gli altri, i premi per il “Miglior film” e il “Miglior regista”.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 04-05-2022
“È stata la mano di Dio”: il regista e scrittore Paolo Sorrentino trionfa ai David di Donatello

Dopo la delusione degli Oscar, È stata la mano di Dio del regista e scrittore Paolo Sorrentino trionfa ai David di Donatello facendo incetta di premi con la doppietta “Miglior film” e “Miglior regista”.
Alla produzione italiana targata Netflix sono andati anche i premi per “Attrice non protagonista” a Teresa Saponangelo, “Miglior fotografia” a Daria D’Antonio e il David giovani.
Sorrentino ha dedicato il suo sesto David di Donatello “A tutti i napoletani”, sottolineando il legame con le proprie origini partenopee, e all’attrice Ludovica Bargellini, sua collaboratrice, scomparsa a Roma poche settimane fa.

Infine il regista, stringendo tra le mani la statuetta, ha aggiunto un messaggio toccante:

Ringrazio la mia famiglia che ho camuffato all’interno del film e senza la quale non sarei qui.

Il grande ritorno in presenza dei David di Donatello, dopo due anni di pandemia, ha inaugurato la bellezza di un ritrovo collettivo che ha ricordato soprattutto che il cinema è comunità. Il più importante riconoscimento cinematografico italiano è andato a una pellicola che, già di per sé, ha saputo celebrare l’italianità sul grande schermo. È stata la mano di Dio ha incassato un totale di 7 milioni di euro ed è stato il film italiano più visto sulla piattaforma internazionale Netflix nel 2021.

Il regista napoletano, che ha esordito come scrittore nel 2010 con il romanzo Hanno tutti ragione, ha trionfato con la sua pellicola più autobiografica. Al centro della narrazione cinematografica vi è infatti il “dolore insanabile” della sua adolescenza, spezzata da un terribile lutto. È stata la mano di Dio era stato etichettato, alla sua uscita nel mese di dicembre scorso, come un “film su Maradona”, ma si è ben presto rivelato tutt’altro. Il riferimento al goal di mano che il grande campione argentino fece ai danni dell’Inghilterra ai Mondiali del 1986 è solo incidentale. Si tratta di una storia d’amore e di perdita, di dolore e crescita; in breve, di una storia di vita. La celebrazione al “Dio del calcio” celata nel titolo è una metafora che sottintende un punto di svolta cruciale nella pellicola, e anche nella vita del regista.

Scopriamo più nel dettaglio tematiche e curiosità della pellicola che ha trionfato alla 69esima edizione dei David di Donatello.

È stata la mano di Dio: le tematiche del film

È stata la mano di Dio è il film di Sorrentino che non ti aspetti. Sino alla prima metà la pellicola sembra raccontare una storia, ma poi si rivela essere tutt’altro. Una Napoli da cartolina fa da sfondo a ogni scena, garantendo una continuità visiva eccezionale persino quando la trama si rompe mandando in frantumi aspettative e certezze dello spettatore.
È un film che necessita di essere pensato, assimilato, e forse viene pienamente compreso soltanto a una seconda visione: a un primo sguardo può essere disorientante, disturbante. La convivialità e il brio della prima parte si contrappongono infatti all’oscurità inattesa della seconda. Per i primi cinquanta minuti del film non abbiamo chiaro dove il regista voglia portarci: i personaggi sono strambi ed eccentrici, caricature di se stessi, e fa da sfondo una Napoli surreale.

Il protagonista è Fabietto Schisa (interpretato dal giovane Filippo Scotti, Ndr), un ragazzo come tanti, che vive a Napoli in una grande famiglia chiassosa e sogna di poter incontrare il suo idolo, Armando Maradona. Attorno a lui ruotano una serie di personaggi bizzarri, come la zia Patrizia (interpretata da Luisa Ranieri, Ndr), donna bellissima ma dalla mente fragile che subisce le violenze del marito; la sorella adolescente Daniela, che sembra vivere chiusa in bagno; il fratello Marchino che sogna di fare l’attore; e i genitori, coppia apparentemente solida e affiatata, che tuttavia deve fare i conti con gli spettri di un tradimento nascosto come uno scheletro nell’armadio.
Questa quotidianità, disarmonica ma rassicurante, viene tutto a un tratto infranta da un fatto tragico e inatteso. Un lutto realmente vissuto dal regista che, attraverso la messa in scena, tenta di esorcizzare i demoni che lo assediano da una vita.

Ecco che dunque la storia assume un totale ribaltamento di prospettiva: quello che ci sembrava un racconto di formazione diventa la strenua ricerca di un senso quando l’esistenza sembra aver perso ogni appiglio, smarrito il senso dell’orientamento come una bussola impazzita.

Paolo Sorrentino e l’elogio di Napoli

Sorrentino è in grado di narrarci una Napoli nascosta, magica, a tratti surreale. Come dimostra la figura del “O munaciello”, creatura del folklore popolare napoletano, che nel film prende vita passando dalla leggenda alla verità per identificare lo spirito stesso della città di Napoli.
Le inquadrature si soffermano a lungo sui dettagli: scale antiche, anditi sotterranei, un magnifico lampadario rovesciato per poi risalire ed esplodere verso la luce azzurra che irrompe dalle finestre nelle splendide giornate di sole. Il paesaggio sembra accompagnare l’evolversi della sceneggiatura in una simbiosi ben riuscita. Napoli diventa odori e rumori d’infanzia, bellezza e malinconia, dolore e stupore.
La telecamera del regista si sofferma sui dettagli dei palazzi degli anni ’80, piastrelle in ceramica e piccole cucine odorose, e poi annega nel blu marino che riflette il cielo come uno specchio lucido. L’omaggio a Napoli accompagna ogni scena del film sino a culminare nella conclusione, l’abbandono e la definitiva presa di distanza della città, che tuttavia resta scolpita nel cuore. Le note di Pino Daniele segnano un climax crescente ammantato di malinconia, ricordando che da Napoli certo si può partire ma chi ci è nato non se ne va mai veramente.

Non ti disunire: cosa significa il messaggio del film di Sorrentino

La bellezza del film forse non può essere compresa a una prima visione, ma è perfettamente racchiusa in una frase che difficilmente lo spettatore riuscirà a togliersi dalla testa.

Non ti disunire.

è questo il messaggio di È stata la mano di Dio. Si esplicita nella raccomandazione pronunciata nel finale dal regista Antonio Capuano - maestro e mentore di Paolo Sorrentino. Un’affermazione poetica ed enigmatica che ci insegna ad affrontare la vita. L’esito della ricerca del giovane protagonista non è vano, sebbene non abbia risultati immediatamente visibili. Il dolore non può essere sanato, ma soltanto assimilato.
L’ammonimento “Non ti disunire” può dunque essere letto come una metafora: rimani fedele al tuo obiettivo, al tuo sogno, non lasciare che i colpi e le avversità della vita frantumino la tua essenza.

Solo per questa frase, e per il contesto quasi onirico in bilico tra sogno e realtà in cui viene pronunciata, È stata la mano di Dio merita tutti i premi e anche una menzione speciale per “la miglior frase poetica” se solo esistesse. Forse questo premio bisognerebbe inventarlo.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “È stata la mano di Dio”: il regista e scrittore Paolo Sorrentino trionfa ai David di Donatello

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