

Nel 2024, per la casa editrice Solfanelli, chi scrive ha pubblicato il saggio Il Codino. Un giornale padovano filocarlista, nuovo volume della Collana di Studi Carlisti che ricostruisce le vicende di un giornale cattolico di taglio umoristico e polemico che fu stampato a Padova tra il 1872 e il 1873.
Storia del giornale padovano “Il Codino”


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Fondatore del giornale Il Codino fu il Conte padovano Alessio de’ Besi (1842-1893), costantemente affiancato da un suo concittadino e amico fraterno, Giuseppe Sacchetti (1845-1906), che fu tra i più importanti pubblicisti cattolici italiani della sua epoca.
Il de’ Besi fu uno scrittore prolifico, compose poesie e pubblicò saggi e romanzi che ebbero una certa visibilità tra i lettori cristiani. Già nel 1870 aveva pubblicato un irriverente volume intitolato Racconti di un codino ossia scene contemporanee, una raccolta di storielle antirisorgimentali, che La Civiltà Cattolica – rivista dei gesuiti – recensì con compiacimento:
Questi racconti son proprio un gran servigio per la gioventù. Essi sono scritti con uno stile pieno di brio e di vivacità: non hanno nulla che ingeneri stanchezza o fastidio, perché sono brevi, anzi rapidissimi: toccano i punti più importanti del presente stato civile d’Italia; narrano casi più veri che verosimili, nei quali l’invenzione serve a non iscoprire troppo la verità di certi nomi e di certi luoghi e danno consigli tali che beata la gioventù se vi si affida e li segue. L’editore promette di darne alle stampe altri del medesimo ch. Besi, che ha scritto i presenti.
Giudizio che fu poi ripreso pari pari da Giambattista Passano (1815-1891) nel suo libro I novellieri italiani in prosa (seconda edizione, parte II, 1878).
E nel 1874 Il genio cattolico (anno VII, serie III), un periodico di Reggio Emilia, commentò così il romanzo storico di de’ Besi Adalberto episodio della lega lombarda (1873):
Coloro che si compiacciono dell’idea d’un Italia veramente indipendente e libera, leggano quest’eccellente operetta, e si dovranno convincere che la vera indipendenza e libertà d’Italia non può esser che nel Papato, che solo nel Papato v’ha la salute d’Italia. Vedranno che i Papi furono sempre i veri amici d’Italia, ed il sostegno de’ popoli contro la tirannide.
Durante la sua breve e battagliera esistenza, conclusasi presto a causa della censura, anche sul giornale Il Codino apparvero articoli fortemente critici verso il processo risorgimentale, scritti sia in italiano che in lingua veneta. Il de’ Besi e il Sacchetti si presentarono apertamente come difensori del Papa e sostenitori dei tradizionalisti spagnoli, che in quegli anni stavano combattendo la terza guerra carlista (1872-1876), e non fecero mistero del fatto che l’ipotetica fine dell’unità d’Italia non gli sarebbe dispiaciuta affatto.
Al di là della loro fedeltà al Pontefice e dell’esaltazione del patriottismo municipale, tuttavia, non arrivarono mai a esporre un qualche progetto alternativo per il futuro del Veneto dopo l’eventuale fine del Regno d’Italia; tra le pagine de Il Codino non si riscontra ad esempio la glorificazione della Serenissima, poiché forse i due giornalisti ritenevano che del ricordo della Repubblica Veneta si fossero già appropriati i fautori del risorgimento. I codini, però, non erano nemmeno nostalgici del cessato governo austriaco, che consideravano ormai troppo compromesso con il liberalismo. In questa mancanza di prospettive risiedeva il limite principale del foglio, che in definitiva si limitava a compiere un tentativo di demolire lo stato senza progettare un edificio ideale che potesse sostituirlo.
Stampatore de Il Codino fu il padovano Melchiade Giammartini (1812-1891), famoso nell’Ottocento per la sua invenzione di un sistema tipografico atto a pubblicare partiture musicali, mentre la redazione non comprendeva altri che de’ Besi e Sacchetti. Qualche volta, tuttavia, Il Codino ospitò anche contributi di altri autori: dietro la firma di Zaneto, che scriveva da Venezia, potrebbe celarsi Giovanni Battista Paganuzzi (1841-1923), che fu un esponente di primo piano dell’Opera dei Congressi, e si ipotizza anche che alcuni testi siano stati scritti dai fratelli Scotton, tre sacerdoti intransigenti vicentini.
“Versione libera” di Pietro Merighi: testo del sonetto
Il presente articolo ha però l’obiettivo di mettere in luce una poesia pubblicata su Il Codino da un altro religioso: il canonico Pietro Merighi (1820-1906). Si tratta del sonetto Versione libera , apparso sul numero del 6 giugno 1872.
Merighi era ferrarese e lo studioso Romolo Comandini (1915-1971) lo ha definito
una figura di primo piano nel quadro del clero della città estense, cresciuto alla scuola di mons. Agostino Peruzzi [1764-1850], e sin dai giovanissimi anni polemista talvolta acre contro i fautori di novità, religiose o politiche che fossero. Collaborò alla terza serie delle Memorie di Religione etc. di Modena quand’esse erano dirette da B.[artolomeo] Veratti [1809-1889] ed alla rivista che ne ereditò, in diversa temperie storica, lo spirito: gli Opuscoli Religiosi etc.; si può considerare uno degli ultimi e più vigorosi esponenti dell’intransigentismo clericale ferrarese
(Profilo di monsignor Federico Foschi ultimo vescovo residenziale di Cervia (1838-1908), estratto da: Studi romagnoli, 22, 1971).
La poesia di Merighi che stiamo per riproporre è perfettamente in linea con tale ritratto, e attacca Garibaldi e l’opera di scristianizzazione messa in atto dal nuovo stato unitario. Eccone il testo:
Quando, per rïaprir qui chiesa e scuola,
Drappel di Gesuiti a noi veniva,
Plaudendo accolse i figli del Lojola
Questa città frenetico-giuliva
Nata la libertade in camiciuola
Rossa, un bel giorno Garibaldi arriva;
E: – Fuori i Gesuiti! – a squarciagola
La città grida: – Garibaldi evviva!...
Ehi, Maometto! fa che t’imbacucchi
Nel tuo turbante, lascia de’ scirocchi
L’adusto suolo, pianta i Mamelucchi,
E vien fra noi! Giuro per trenta Mecche
Che qui tutti usciranno in gala, in fiocchi
«A dirti: Alecsalàm! Salamelecche!»
“Versione libera” di Pietro Merighi: analisi della poesia
L’ultimo verso è una citazione del Morgante Maggiore del Pulci e il significato di Versione libera è – in buona sostanza – che, dopo aver tradito la Chiesa Cattolica benefattrice per applaudire a Garibaldi, è assai probabile che i liberali italiani, con l’imposizione dell’indifferentismo religioso, possano arrivare a lodare Maometto e a piegarsi all’islam.
La poesia allude chiaramente ai giorni in cui il governo instaurato da Garibaldi nel Meridione estromise i gesuiti dall’istruzione, ma pur essendo pubblicata nel 1872 risulta quasi profetica rispetto ad alcune parole del generale, che nel suo romanzo I Mille (uscito nel 1874), insultando i preti, arrivò a invocare un’invasione musulmana:
Ed il prete italiano? Sempre traditore al suo paese, fosse esso invaso dai Turcomanni!
Questa provocazione, tuttavia, non può riassumere l’intero pensiero di Garibaldi sull’islam; in diversi suoi scritti, infatti, egli affermò che fosse necessario ricacciare i turchi e i musulmani in Asia, poiché la loro presenza nei Balcani non solo opprimeva gli autoctoni, ma rappresentava, ai suoi occhi, una minaccia per tutta la civiltà europea.
Le critiche di Garibaldi all’islam sono un argomento che meriterebbe di essere affrontato altrove, ma si può ricordare ad esempio che in una lettera del 4 marzo 1876 a Ferdinando Dobelli il nizzardo scrisse:
concittadini di Botzaris, ricordatevi tutti gli oltraggi ricevuti dai feroci ed osceni discendenti di Maometto.
E più avanti:
Il turco deve passare il Bosforo. Ecco una condizione interessante per tutti i paesi bagnati dalla Sawa, dal Danubio, dall’Eusino, dall’Egèo e dall’Adriatico. A cotesta confederazione di popoli liberi, devono far posto le orde asiatiche, per tornarsene verso le native loro contrade. E solo alcuni ottomani, senza preti, potranno convivere, se onesti, coi loro antichi schiavi.
Leggendo tali frasi è inevitabile chiedersi cosa penserebbe oggi Garibaldi venendo a conoscenza del fatto che a Napoli, in una piazza a lui intitolata, si sono riunite migliaia di musulmani per celebrare la fine del ramadan.
Tornando ai versi di Merighi, il suo non è un attacco a Garibaldi in quanto ‘islamofilo’. Il pensiero espresso dal poeta antirisorgimentale voleva invece essere una critica verso le trasformazioni politiche e culturali succedutesi in Italia con l’unificazione, l’avvento di un nazionalismo laico e rivoluzionario e di ideologie progressiste. La sua era chiaramente una battuta di spirito, una satira. Ciononostante, al monito del canonico contro l’indifferentismo religioso, che a suo giudizio avrebbe spianato la strada persino all’islamizzazione della Penisola, la storia ha dato ragione.
Si può ricordare che nel 1914 Chesterton pubblicò L’osteria volante (The Flying Inn), un romanzo ambientato in una distopica Inghilterra futura in cui un’alleanza tra l’islam e le grandi élite economiche conduce all’introduzione di leggi ispirate alla sharia, ma Merighi con i suoi semplici versi arrivò ben 42 anni prima di lui.
Pietro Merighi e il confronto con “Sottomissione” di Houellebecq


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Tuttavia la poesia Versione Libera è più facilmente accostabile a un’opera come Sottomissione di Houellebecq, un celebre romanzo del 2015 che descrive una Francia futura in cui gli atei, i materialisti, i progressisti e i “marxisti putrefatti”, che continuano a indirizzare tutti le energie possibili per offendere e perseguitare il Cattolicesimo, restano impotenti davanti all’instaurazione di un regime islamico: un mutamento che, ovviamente, in uno stato confessionale cattolico (quindi selettivo riguardo l’immigrazione) non avrebbe mai trovato neppure i presupposti per manifestarsi, ma che è reso possibile dalle leggi democratiche (per le quali conta solo la forza del numero). La naturale conseguenza, nello scenario immaginato da Houellebecq in Soumission, è che davanti alla nascita di un governo musulmano le prime vittime (dopo le stesse leggi laiche e democratiche che ne hanno permesso l’instaurazione) siano proprio i progressisti, tra cui si possono annoverare anche i discendenti ideologici di Garibaldi.
Nell’Ottocento il movimento ateistico veneziano guidato dal Barone inglese Ferdinando Godwin Swift (1831-1890) – il quale per altro nutriva forti simpatie per Garibaldi – organizzò delle conferenze di predicatori protestanti, ciò può sembrare strano per un’associazione di non credenti, ma dietro a questo aiuto agli scismatici c’era la semplice volontà di indebolire i cattolici. Allo stesso modo anche i progressisti nel romanzo di Houellebecq simpatizzano per l’islam, ma senza rendersi conto di star giocando col fuoco.
La riflessione ottocentesca di Merighi, per quanto concepita in chiave ironica, oggi non risulta più paradossale, né esagerata: la sua intuizione sul possibile destino dell’Italia è stata più profonda di quanto si potesse credere. Laddove la secolarizzazione dissolve i legami spirituali e culturali che tengono unita una comunità, altri sistemi di pensiero – più coercitivi, meno tolleranti e più violenti – sono pronti a prendere il suo posto. Le parole del religioso, originariamente scherzose, trovano oggi nuova risonanza nel dibattito contemporaneo, rivelandosi non un eco del passato, ma un inquietante avvertimento.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Versione libera”: la poesia satirica e profetica di Pietro Merighi che attacca Garibaldi
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