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Recensioni di libri

’Sta mia difesa di Fulvio Segato

Samuele editore, 2016 - La poesia dialettale dell’autore triestino Fulvio Segato si situa nell’orbita di un’attenta osservazione del mondo e in un processo di autoanalisi, permettendoci di intuire una verità.

Graziella Atzori Pubblicato il 01-12-2022
'Sta mia difesa

’Sta mia difesa

  • Autore: Fulvio Segato
  • Categoria: Poesia
  • Anno di pubblicazione: 2016

Troppo spesso la poesia dialettale è stata considerata la “Cenerentola” della letteratura, fino a teorizzare la sua incapacità di esprimere i moti più alti dell’anima, questo secondo Benedetto Croce. Teoria smentita dal sommo Dante Alighieri, che con le sue terzine allora dialettali, in "volgare", va dagli inferi all’empireo, tracciando un cammino di redenzione e perfezionamento interiore.

La poesia dialettale di Fulvio Segato, triestino, specie in questo libro, ’Sta mia difesa (Samuele editore, pp. 132, 2016, prefazione di Fabio Franzin), si situa in quest’orbita di attenta osservazione e autoanalisi, in ritiro dal mondo per ritrovarsi e scoprire, intuire una verità, in ciò discostandosi da Dante che si tuffa in continuazione nell’agone politico.
Il ritiro di Segato, con le sue "pice parole", vuole essere un rifiuto, una resistenza passiva al male, con un ritorno alla natura che sempre insegna e oggi appare più che mai necessario:

bastarse come / fa le viole, che no le xe coscienti / del color, i ragni dela imbastidura / e l’aqua che la evapora, / la se ingruma, / piovi.

La viola è metafora della nostra ignoranza metafisica, ("ignoramus et ignorabimus", afferma il proverbio, ignoriamo e ignoreremo) con un candore originario da cui dovremmo saper ripartire, privi di orgoglio luciferino che ha portato alla creazione delle armi atomiche, alla morte, alla povertà di miliardi di persone, risultato della potenza finanziaria di una minoranza che schiaccia e distrugge i popoli e la natura.
Il candore del poeta rimanda e si apparenta a quello di Angelo Silesio (XVII secolo), al suo Pellegrino cherubico dove scrive:

La rosa non ha un perché. / Fiorisce perché fiorisce / non bada a sé, non chiede di essere guardata.

In ciò anche lo Zen è affine, nella spontaneità delle azioni guidate ed eseguite secondo un’armonia naturale e misteriosa prestabilita.
Altra difesa di Segato è la “casa”, che assurge a bene supremo come lo fu per Pascoli.

Vien. ‘Ndemo su e seremose in casa / la porta seremo e lassemo / che el mondo vadi, /se gavemo difeso un co’ l’altra / e forsi basterà solo questo / forsi basterà el stecà che gavemo / impiantà torno / con qualche ginestra, ogni tanto.

E poi la donna, eterna Beatrice e consolatrice.
Ma la casa esiste finché è abitata, dunque è un rifugio precario, può essere violata da un vetro rotto, constata l’autore rabbrividendo.
Nella notte di pioggia e bufera, l’artista si interroga su di sé; tornano le grandi domande leopardiane sul senso del nostro essere al mondo. Aggiunge una considerazione che rimanda alla fisica, divenuta la metafisica attuale:

xe cussì strano tuti respirar / la stessa aria / tuti quanti che semo /impicai nel svodo.

Già, il vuoto, ma cos’è? Attraversato da campi elettromagnetici e onde gravitazionali che ci congiungono tutti. Vuoto di materia ma saturo di energia, vuoto non è.
A cosa serve la poesia, si chiede Segato, specie la sua. È uno sfogo personale e finisce lì? Noi lettori possiamo rispondergli, se essa suscita un’eco e una risonanza in noi, e lo fa, creando il legame e rendendo reale la parola "humanitas", non astratta ma generatrice del bene.
Duratura è la memoria, patrimonio inalienabile. Fin dall’incipit il libro è permeato da una intuizione che non ha bisogno di spiegazione:

Ma no, no podemo morir! Se varda le vespe, i puntini de polvere in-t-el sol, i fiori che marzissi nei vaseti, ma no se pol morir. I veci i mori per lassarne memorie, i altri i cancela el propio nome, ma no i pol morir.

Bellissimo il colloquio con il padre morto, ferisce il dolore di non aver trascorso un’intera giornata con lui, ma lo splendore di un colloquio "per sempre" compensa la perdita materiale.
Allora ciò che è "picio" e sussurrato sa diventare immenso, penetra con una capacità delicata e forte, resistente, quanto tanti discorsi in apparenza eruditi non riescono a eguagliare.

Va ben anca / i sbreghi de beleza / che i vien fora dei tai del mondo / che ‘l me circonda /e me tien come fio suo.

Il contatto con il mondo non è stato mai interrotto. Ci salva sempre la bellezza, venuta a noi dai “tagli del mondo”, da aperture e disponibilità, benevolenza, da fuori. Fuori dalle abitudini, dai pregiudizi, dalle contrapposizioni violente e velenose. Segato lo sa, la sua poesia ritirata e nobile lo ripete.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: ’Sta mia difesa

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