

Una delle liriche più famose di Pablo Neruda, tratta dalla raccolta “Cento sonetti d’amore” del 1959, è Quando morrò voglio le tue mani sui miei occhi. Non lasciatevi fuorviare dal titolo, che sembra alludere alla pratica funebre! La poesia è un inno alla vita - che offre doni come una cornucopia - e all’amore capace di vincere sulla morte. Infatti il poeta cileno desidera che la moglie gli abbassi le palpebre per poter godere ancora della gioia del suo contatto e l’atto di pìetas si trasforma in un gesto d’amore e vitalità.
Vediamo insieme testo e analisi della poesia.
Quando morrò voglio le tue mani sui miei occhi: testo della poesia
Quando morrò voglio le tue mani sui miei occhi:
voglio che la luce e il frumento delle tue mani amate
passino una volta ancora su di me la loro freschezza:
sentire la soavità che cambiò il mio destino.
Voglio che tu viva mentr’ io, addormentato, t’attendo,
voglio che le tue orecchie continuino a udire il vento,
che fiuti l’aroma del mare che amammo uniti
e che continui a calpestare l’arena che calpestammo.
Voglio che ciò che amo continui a esser vivo
e te amai e cantai sopra tutte le cose,
per questo continua a fiorire, fiorita,
perché raggiunga tutto ciò che il mio amore ti ordina,
perché la mia ombra passeggi per la tua chioma,
perché così conoscano la ragione del mio canto.
Metrica: sonetto LXXXIX formato da due quartine e due terzine, con versi di diversa lunghezza e privi di rima. Dal punto di vista strutturale ogni strofa presenta una sua unità di significato che vedremo in sede di parafrasi.
Chiudere gli occhi ai defunti
È un’usanza antica quanto l’umanità quella di chiudere gli occhi ai defunti. Ha motivazioni pratiche volte a contenere gli effetti della decomposizione. È un atto di pietà per chi non c’è più e per chi resta, che assume molteplici valenze in base a epoche e culture.
A titolo esemplificativo ecco un breve stralcio a tema tratto dalla “Storia della civiltà europea” a cura di Umberto Eco:
Nell’antica Roma il morente riceve un bacio da uno dei familiari, bacio con cui si pensa di raccogliere il suo spirito, prima che esca dalla bocca e si dissolva nell’aria (Virgilio, Eneide, 4, 684). In seguito si chiudono gli occhi del morto (Ovidio, Amores 3, 9, 49), che vengono riaperti solo in un secondo momento, dopo il funerale vero e proprio, quando il cadavere è sistemato sulla pira. Secondo la spiegazione antica, si evita in questo modo un pericoloso contatto visivo tra i vivi e il morto. L’esigenza di riaprire gli occhi al cadavere quando esso si trova sulla pira, è dovuto invece al desiderio di mettere il defunto in contatto con il cielo.
Quando morrò voglio le tue mani sui miei occhi: parafrasi e commento
Rivolgendosi all’amatissima moglie Matilde Urrutia, l’autore esprime un desiderio che lo riguarda in prima persona: che la donna ponga le mani sui suoi occhi al momento della morte. Desidera sentire la vicinanza della donna che non solo ha cambiato il suo destino, ma che è fonte di dolcezza, luce, nutrimento.
La metafora al v.2 “la luce e il frumento delle tue mani amate” depone in questa direzione. Il poeta lo desidera con tale forza da reiterare il verbo ‘voglio’ per cinque volte. Desidera che la moglie continui a godere di tutto quello che i due hanno amato insieme. Vivere, sentire il vento, apprezzare il profumo del mare, camminare sulla sabbia. La morte è vista come un lungo sonno in attesa di essere raggiunto da lei. Esige che ciò che lui ha amato di più (la moglie e la poesia) continuino a vivere.
È un sonetto anomalo, questo, dal verso incipitario funebre, perché le parole, di apparente semplicità, investendo vista, tatto, olfatto invitano a mangiarsela la vita.
Una proposta interpretativa della poesia
Mi piace pensare a questo sonetto come a un plazer rivisitato. Un precedente illustre è “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io" di Dante.
ll plazer non è forse un elenco di desideri piacevoli da mettere in atto in vita? Che poi l’autore lo proponga in chiave onirica, irrealizzabile, iperbolica è un altro discorso.
Neruda compie un doppio salto. I desideri riguardano se stesso e la moglie ma non derivano da lei: sono ciò che Neruda desidera che la moglie faccia alla sua morte. Così continueranno a stare insieme, in una condivisione virtuale post mortem.
Foscolo crede nella funzione eternatrice della poesia che vince il tempo. Per Neruda, invece, è l’amore a vincere sulla morte garantendo una sorta di immortalità a chi ci lascia per primo e, perché no?, dando un senso positivo alla vita di chi resta.
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