Moriva il 10 febbraio 1837, a San Pietroburgo, Aleksandr Puškin. Il grande poeta, considerato il padre della letteratura russa, aveva soltanto trentasette anni. La sua morte fu epica come un romanzo e, in un certo senso, lui stesso l’aveva anticipata nelle sue opere, soprattutto nel celebre racconto dal titolo Il colpo di pistola in cui due rivali si battono per amore di una donna, Mascia.
Lo stesso Puškin morì in un duello per difendere l’onore della moglie, Natal’ja Gončarova. L’incontro fu fissato l’8 febbraio 1837 alle quattro del pomeriggio, presso una zona di Pietroburgo denominata Čërnaja rečk, sulle rive del fiume Chernaya, dove ora si trova l’omonima stazione della metropolitana che custodisce all’interno la grande statua in memoria del poeta.
La morte in duello di Puškin
Link affiliato
Quel tragico giorno il suo rivale in amore, il barone francese Georges d’Anthès, lo colpì dritto all’addome; Puškin fu ferito gravemente, ma non morì subito, si spense dopo due giorni d’agonia, il 10 febbraio. Il barone, invece, si salvò dal colpo fatale: quando Puškin, accasciandosi al suolo, sparò a sua volta ferì il rivale blandamente alla mano.
Date le circostanze, i funerali del poeta furono celebrati in gran segreto. Tempo dopo la notizia fu comunicata sui giornali nazionali russi e si disse che la morte di Puškin risvegliò Pietroburgo dall’apatia. Per vendicare la misera fine del poeta, lo zar Nicola I espulse Georges d’Anthès dalla Russia e lo privò del rango di ufficiale. Nonostante la pena, d’Anthès, che era anche il cognato di Puškin, ebbe una brillante carriera politica e, si mormora, che andasse vantandosi di aver avuto rapporti intimi con la bella Natal’ja Gončarova, la moglie amatissima per la quale il poeta aveva sacrificato la vita. In seguito, la stessa Gončarova fu accusata, con la sua lussuria, di aver provocato la morte di Puškin: non tacevano infatti le voci che la volevano collegata a D’Anthès, prima tra tutte quella della poetessa russa Anna Achmatova.
Natal’ja Gončarova, che il poeta aveva sposato nel febbraio 1831, veniva descritta di una donna di una “bellezza pericolosa”, capace di ferire come una spada; e infatti ferì, mortalmente.
Fu uno scandalo, poi si tramutò in un pettegolezzo da salotto da discutere sottovoce e, infine, divenne leggenda quando Dostoevskij glorificò la fine del poeta nell’ Ode a Puškin (proposto da Castelvecchi in Italia con il titolo di Discorso su Puškin), il famoso discorso pronunciato l’8 giugno 1880.
Il grande scrittore russo, che all’epoca era impegnato nella stesura de I fratelli Karamazov, in quell’occasione definì Puškin come “guida e profeta” dell’anima russa.
La sua ode iniziava così:
Puskin è un fenomeno straordinario, e forse un fenomeno unico dell’anima russa, come ha detto. Gogol’. Aggiungerò da parte mia: un fenomeno anche profetico. (...) Il principio della nostra vera autocoscienza.
Dopo le parole pronunciate da Dostoevskij la folla esplose in un boato; le persone iniziarono a gridare “Profeta! Profeta!”. Ecco che Puškin, da poeta nazionale, era appena divenuto leggenda.
Aleksandr Puškin: la vita
La profezia del “destino triste” era già contenuta nelle opere dell’autore. Non a caso, nel suo poema più famoso, il romanzo in versi Onegin (1831), Puškin scriveva:
Vivo, scrivo, non per gloria, ma per glorificare il mio triste destino.
Il protagonista della sua grande opera, Eugenio Onegin, era un dandy disilluso che, annoiato dalla vita a San Pietroburgo, si ritira a vivere in campagna. Onegin è un eroe non riuscito, che fallisce nelle sue convinzioni e nei suoi ideali. Persino il suo amore non avrà lieto fine. Anche nella più celebre opera di Puškin, ora considerata il poema nazionale della Russia, era presenta il duello: in quel caso, però, era il protagonista, Onegin, a vincere, mentre il rivale, Lenskij, veniva sconfitto.
Come sappiamo la vita di Aleksandr Puškin fu breve, morì a soli trentasette anni, eppure la sua memoria è eterna. In Russia è considerato il padre fondatore della lingua letteraria. Nacque a Mosca nel 1799 in una famiglia aristocratica di antico lignaggio che tuttavia versava in cattive condizioni economiche. Per tutta la vita tuttavia il poeta sarebbe andato orgoglioso della sua nobile discendenza, antica di 600 anni. Puškin ebbe accesso alla migliore educazione: studiò al liceo imperiale e si formò sui libri della biblioteca paterna, studiando anche la letteratura francese.
Iniziò a scrivere giovanissimo e concluse il suo primo poema, il favolistico Ruslan e Ljudmila (che ora ogni bambino russo conosce a memoria), a soli ventun’anni.
Terminati gli studi iniziò a lavorare come funzionario del Ministro degli Esteri a San Pietroburgo, continuando parallelamente l’attività letteraria. Le cronache dell’epoca lo descrivono come un libertino dedito ai piaceri della vita; ma era anche un uomo dai grandi ideali, un autentico spirito romantico.
Le sue idee politiche progressiste, tuttavia, non andavano a genio al regime, tanto che Puškin fu condannato al confino nella Russia meridionale per le sue poesie dagli ideali troppo libertari. A causa dei suoi epigrammi, giudicati “rivoluzionari”, fu in seguito esiliato a Odessa, dove trovò l’ispirazione per il suo poema Gli zingari (1827). Sarebbe stato lo zar Nicola I a eliminare il provvedimento di confino emesso contro il poeta: lo ricevette in un’udienza privata e gli concesse di fare ritorno a San Pietroburgo sotto la sua protezione.
Il rientro in Russia e l’amore per Natal’ja Gončarova
Il rientro in Russia coincise con il momento più sfavillante della sua carriera letteraria. Puškin conobbe Gogol’, che sarebbe diventato un suo grande ammiratore. In questi anni compose alcuni dei suoi poemi più famosi, tra cui Il profeta, I demoni, Boris Godunov e il ciclo dei Racconti di Belkin (1830). Venne anche l’amore, sotto le sembianze della bella Natal’ja Gončarova che gli avrebbe dato quattro figli e sarebbe stata anche la causa della sua morte.
La sua ultima grande opera fu Il Cavaliere di Bronzo (1833), poi subentrarono difficoltà economiche e Puškin iniziò a dedicarsi al giornalismo per guadagnarsi da vivere. Gli ultimi anni della sua vita furono contraddistinti da varie preoccupazioni, anche il clima familiare non era dei più idilliaci: la moglie Natal’ja era una donna molto corteggiata, molto desiderata, e spesso gli dava da pensare.
Fu proprio lei, senza volerlo, a causare la sua morte. Una lettera anonima informò Puškin di un presunto tradimento: si definiva la donna come una “viziosa” e si faceva riferimento alla sua relazione con l’ufficiale D’Anthes. Per salvare l’onore della donna, Puškin decise di indossare l’uniforme e di sfidare il rivale a duello. C’era un cielo bianco quel 10 febbraio a San Pietroburgo, le condizioni non erano ottimali, si vedeva poco; ma lui non era certo intenzionato a tirarsi indietro. Impersonò il personaggio romantico sino all’ultimo respiro. I giornali russi in seguito l’avrebbero glorificato, scrivendo che Aleksandr Puškin era morto “sorridendo”.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Puškin: vita e opere del poeta della grande anima russa
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Aleksandr Sergeevič Puškin
Lascia il tuo commento