Pico della Mirandola, by Peter Paul Rubens. Museum Plantin-Moretus, Anversa
Il 17 novembre 1494 moriva a Firenze Giovanni Pico della Mirandola, filosofo e umanista italiano. Nel pensiero di Pico della Mirandola confluiscono i motivi principali dello spirito rinascimentale: anche se non fu un filosofo di particolare originalità, il suo tentativo di sintetizzare le differenti posizioni teoriche del Rinascimento rimane ancora oggi degno di nota.
Umanista dalla vasta erudizione e profondo conoscitore della Cabala e della tradizione ebraica, che gioca un ruolo di primo piano nel suo pensiero, Pico della Mirandola è uno dei filosofi rinascimentali ancora oggi più citati per la sua orazione Sulla dignità dell’uomo.
La breve vita di Giovanni Pico della Mirandola si intreccia con la grande storia del nostro Paese: assistette alla fine di Lorenzo il Magnifico e di quell’equilibrio che aveva assicurato all’Italia una pace duratura, fu un grande organizzatore culturale ma anche uno dei principali bersagli degli attacchi della Chiesa.
La vita e le opere di Giovanni Pico della Mirandola
Giovanni Pico dei conti della Mirandola e della Concordia, più semplicemente ricordato come Pico della Mirandola, nacque da famiglia nobile nell’omonima cittadina emiliana (Mirandola, 24 febbraio 1463 – Firenze, 17 novembre 1494). Grazie agli studi in diverse città italiane padroneggiò molte lingue antiche (dal greco all’ebraico, fino all’arabo e al caldaico, oltre che il latino e il francese, mostro spiccate doti anche in scienze quali la matematica e strinse rapporti con i principali umanisti italiani.
Celebrato in tutta Europa per la sua memoria prodigiosa, entrò a far parte dell’Accademia platonica di Marsilio Ficino a Firenze, e nel 1486 organizzò a Roma un congresso filosofico universale che non si tenne mai e per il quale scrisse l’orazione Sulla dignità dell’uomo.
Fuggito in Francia perché la chiesa non vedeva di buon occhio la sua commistione tra dottrine religiose e Cabala ebraica, fu anche arrestato e, poi, liberato grazie all’interessamento di Lorenzo il Magnifico. Pico della Mirandola muore avvelenato alla tenera età di trentun’anni mentre l’Italia è invasa dalle truppe di Carlo VIII.
Oltre al De dignitate hominis (Sulla dignità dell’uomo, 1486), il celeberrimo discorso che avrebbe dovuto presentare ai dotti di tutta Europa le sue 900 Tesi su tutte le cose conoscibili (1486) tra le sue opere ricordiamo anche l’Heptaplus (1489) e il De ente et uno (1491).
Pico della Mirandola e il Rinascimento
Adepto dell’Accademia Platonica fiorentina, dove Marsilio Ficino aveva accolto i dotti bizantini in fuga dall’invasione ottomana e aveva avviato la traduzione e il recupero delle opere di Platone, Pico della Mirandola non è, propriamente un neoplatonico, perché si caratterizza per un particolare eclettismo.
Egli, infatti, crede, come di lì a poco farà anche Giordano Bruno, che tutti i filosofi, non solo gli antichi che gli studiosi rinascimentali stavano riscoprendo e rivalutando, ma anche, ad esempio, i tanto bistrattati medievali, siano portatori di un messaggio di almeno parziale verità. Tale verità, poi, non si ritrova nella sola filosofia ma anche in quelle pratiche come la magia, l’alchimia e la Cabala che nel Quattrocento richiamavano ancora la curiosità e l’attenzione di tanti uomini di scienza.
Pico, dunque, non solo crede ogni filosofia sia depositaria di una verità ma ritiene che tutte le filosofie e tutti i saperi possano essere in qualche modo accordati e armonizzati. Questa vocazione al sincretismo si concretizza nell’elaborazione di novecento tesi che riguardano le principali questioni filosofiche e nell’organizzazione di un grande convegno in cui sarebbero dovute intervenire le personalità più eminenti del tempo e si sarebbero dovuti fissare i capisaldi di un sapere condiviso e universale.
Anche se questo ambizioso progetto non vedrà mai la luce rimane celebre quello che oggi chiameremmo il discorso inaugurale, quell’orazione Sulla dignità dell’uomo che è un vero e proprio manifesto culturale del Rinascimento.
L’orazione Sulla dignità dell’uomo
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La tesi di fondo del De hominis dignitate, ovvero che l’uomo sia titolare di una dignità più alta rispetto a tutte le altre creature, ha una derivazione orientale: nell’Asclepio, opera attribuita alla figura mitica di Ermete Trismegisto, che raccoglie tanta parte della sapienza orientale, si legge, infatti la massima
“Magnum miraculum est homo”.
Nell’opera Pico immagina un dialogo tra Dio e Adamo, il primo uomo, che per la sua bellezza e per il successo che riscosse tra i contemporanei vale la pena di citare, almeno in parte:
“Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli astri è contenuta entro le leggi da me prescritte. Tu te la determinerai da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà io ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché da te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine”
A differenza di tutte le altre creature, che hanno una natura determinata dall’essenza che Dio ha dato loro, l’uomo è titolare di una dignità superiore, è ontologicamente più elevato, perché la sia natura non è predeterminata. Egli può, in altri termini, dare a sé stesso la forma che preferisce e plasmarsi secondo tale forma. L’uomo, più semplicemente, è libero di essere quel che vuole, di abbassarsi al livello delle bestie ma anche di elevarsi alla pura intelligenza degli angeli. L’uomo è un miracolo perché è l’unica creatura che può costruire sé stessa, può essere artefice della propria natura e del proprio destino come già affermavano i latini (ma è una posizione di matrice platonica) quando predicavano: “Homo faber est suae quisque fortunae”, l’uomo è artefice del suo stesso destino.
L’uomo, quindi, per Pico della Mirandola ha anche una natura camaleontica: se può plasmarsi da solo e decidere cosa essere, il suo aspetto è variabile e la sua natura mutevole, come testimonia anche il mito di Proteo. E alla stessa conclusione, secondo Pico, arriva la sapienza occidentale e orientale, i Pitagorici e gli Ebrei: con la metempsicosi gli scellerati diventano bruti, e per Empedocle anche piante, mentre nella teologia ebraica Enoch diventa un angelo al servizio di Dio; anche il persiano Evante, poi, quando illustra la teologia caldea afferma che l’uomo non ha una propria immagine nativa ma può assumere molte immagini che trae dal mondo esterno e che gli sono inizialmente estranee perché la sua natura è varia, mutevole e multiforme.
Pico della Mirandola, dunque, con la sua orazione De hominis dignitate, diventa un simbolo del Rinascimento perché esalta l’uomo al di sopra di ogni altra creatura: egli, grazie al suo intelletto e alle sue facoltà spirituali, è titolare di una superiore dignità, e grazie allo studio può elevarsi all’eccellenza delle intelligenze angeliche. L’uomo, inoltre, è l’unico essere davvero libero perché capace di forgiare sé stesso e il proprio corso: su questa natura mutevole e proteica concordano i sapienti del mondo orientale e occidentale, dell’antichità e dell’Umanesimo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Pico della Mirandola: vita e pensiero del filosofo della dignità dell’uomo
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