

Tra i gruppi heavy metal nati in Italia negli ultimi anni, i Fate rappresentano un caso enigmatico. I componenti della formazione provengono da quattro punti diversi dello stivale: Padova, Lecco, Prato e Ferrara. La band propone il suo materiale solo su cassetta e accompagna le canzoni a copertine criptiche. All’uscita della loro prima tape, un profano poteva trovarsi spiazzato davanti all’alone semi-misterioso che circondava il sodalizio.
Per conoscerli è stato quindi necessario incontrare il cantante e chitarrista Giovanni Brogio, leader della formazione, che ha raccontato anche le vicende di varie sue collaborazioni musicali. L’intervista è stata inoltre un’occasione per parlare non solo di musica, ma anche di fumetti e libri. Buona lettura!
- Caro Giovanni, per chi non ti conosce, innanzitutto, è il caso che ci racconti qualcosa dei tuoi trascorsi di musicista. Il tuo percorso di studi è stato incentrato sulla musica, fa parte della tua formazione, e di fatto hai esordito con un gruppo HC patavino: i Mice Core. Partiamo da qui...
Prima di tutto grazie mille per l’intervista! Sì, è vero, ero molto giovane quando mi sono avvicinato all’heavy. Avrò avuto quindici anni quando ho potuto iniziare a frequentare i posti in cui a Padova si poteva sentire della musica dal vivo che mi interessasse: il Country Star, il Tacu Tacu, il Sette Note... Ai concerti ho conosciuto le persone dell’ambiente che ho continuato a frequentare negli anni e con cui ho suonato. È partito tutto così.
- Successivamente hai creato un tuo gruppo thrash metal, i Doom Patrol, attivi dal 2015 al 2017. Già dal nome della band il lettore smaliziato potrà intuire qualcosa delle influenze che i comics devono avere avuto sul gruppo... Cosa leggevi all’epoca?
Devo dire che per me, dal punto di vista delle letture, quella è stata un’epoca grandiosa. Avevo iniziato ad approfondire con curiosità tutto ciò che è stato il fumetto americano ed europeo dagli anni ’30 agli anni ’80: la Golden Age, la Silver Age e le diverse correnti susseguitesi sino alla Dark Age del fumetto. Autori come Alan Moore e Grant Morrison hanno portato un nuovo approccio e nuovi orizzonti a un media come il fumetto, tanto che sono nate case secondarie come la Vertigo, la “sezione adulti” della DC comics.
- Hai parlato del fumetto anche come “media”, non solo espressione artistica.


Assolutamente, in quegli anni le uscite erano davvero avanguardistiche. Watchmen di Alan Moore ha completamente destrutturato il mondo supereroistico, ma penso soprattutto ai fumetti di denuncia politica e sociale come V per Vendetta e altri lavori dello stesso artista. Grant Morrison ha quasi sfondato la quarta parete del fumetto. In Watchmen ci sono diversi riferimenti filosofici, come la concezione nietzschiana del superuomo nel personaggio del dottor Manhattan.
- La prima opera dei Doom Patrol è l’EP Tales from the crypt, un thrash alla Fabulous disaster degli Exodus, con qualche spolverata di Nuclear Assault (se ci passi i paragoni). Ma nelle lyrics è ribadito il riferimento ai fumetti.
L’idea era di mantenere quell’immaginario, anche per non ricalcare troppo gli stilemi del thrash in un revival machiettistico.
- La copertina ha dei colori molto accesi, trasmette entusiasmo, mi pare. Diciamo che è stato il tuo primo gruppo “serio”?
In effetti, sì.
- Nel frattempo hai anche organizzato concerti nel Veneto sotto la sigla GFVF (Good Friendly Violent Fun). Come fu quell’esperienza?
Incredibile! Posso dire che è stato molto divertente, sopratutto grazie alla spensieratezza che vivevo in quegli anni.
- Quali sono state le tue maggiori soddisfazioni?
Beh, mi sono tolto davvero delle belle soddisfazioni, su tutte quella di aver organizzato il Rise to power a Padova il 5 marzo 2016, un concerto che ha visto protagonisti noi, i Forces, gli Acidity, i Warhawk, i Ruler, i Leather Heart e i Sign of the Jackal. Credo sia stata un’occasione per poter portare a suonare da noi dei gruppi che magari in Veneto nessuno si sarebbe preso lo sbattimento di chiamare. Un’occasione per vedere questi complessi con comodità, in una situazione a misura d’uomo: senza i grandi palchi, senza le grosse logiche di mercato, ma restando entro un’ottica DIY, con gli amici di sempre. Ecco, volevo creare delle belle situazioni.
- Poi, però, questa attività si è interrotta. Hai qualche consiglio per un giovane che volesse emularti? Magari mettendo anche in luce gli aspetti negativi della faccenda.
No, non ce ne sono. Fatelo, se va male va male, ma almeno ci avrete provato! Sicuramente ho affrontato una spesa, ma non è stato nulla di realmente oneroso, siamo andati in pari.
GFVF era un collettivo, non c’ero solo io. L’attività si è conclusa perché quella esperienza era esaurita, non per altro.
- Hai dato il massimo per creare qualcosa nella tua zona e far divertire tutti.
Il ciclo vitale dei DP, comunque, si è concluso con il demo 2017: avete abbandonato i colori intensi da supereroi Marvel e siete passati a una copertina goticheggiante. Anche i suoni sono cambiati. Era il preludio di ciò che desideravi fare con i Fate?
Direi che è una buona analisi. Si scorgeva già un cambio di genere, stavamo avendo delle difficoltà, ma comunque non avremmo potuto portare avanti una mutazione mantenendo lo stesso nome. Il ciclo si è concluso così, per carità, nel migliore dei modi.
- Prima di passare all’argomento Fate, un’ultima curiosità preliminare. Hai collaborato (o collabori) anche con altri due complessi: i bellunesi Joke (ex Joke It!) e i padovani Silver. Che ruolo hai nei due progetti?
Allora, Silver è un progetto nato dopo la fine dei Doom Patrol. Il genere è totalmente diverso: con i DP cercavamo di fare un crossover thrash, nell’ultimo periodo eravamo quasi sfociati nell’heavy, mentre i Silver sono partiti con l’idea di fare un hardcore di ispirazione newyorkese. La linea è quella di gruppi classici come Cro-Mags, Warzone e Outburst.
Coi Joke siamo amici da una vita, gli ho anche organizzato delle date in passato. Hanno avuto dei problemi di formazione e quando sono rimasti solo Deba e Tommy hanno chiamato me e Sanso (con cui suono tuttora anche nei Silver). Inizialmente per i Joke suonavo solo dal vivo, avevo molti impegni e riuscivo solo a dargli una mano per i live, poi la cosa si è evoluta e ora sono usciti dei nuovi pezzi.
- I Joke sono un gruppo molto originale: hanno esordito come band crossover thrash nel senso più inclusivo, con occasionali giri funky accostati ad atmosfere punk e metal (un po’ tipo i Napalm di Zero to Black). Quale traiettoria vorrebbero seguire per il futuro?
Credo che Deba sia una persona eclettica, attualmente penso stia virando su sonorità anni Novanta. Presumo voglia rispolverare il puro crossover di quell’epoca, permeato di mille contaminazioni con altri generi, compresa una parte del grunge, che comunque, forse non come suoni ma come impatto, aveva investito tutti (volenti o nolenti). Anche Carnival of Souls dei Kiss, uscito nel 1997, risente di un certo clima. Penso che i Joke si muoveranno su quel terreno, guardando forse a realtà come gli Alice in Chains, ma mantenendo il loro baricentro nel campo dell’hardcore/thrash anni Ottanta (tipo i Leeway, per tornare sempre alla scena di NY).
- Nel 2018 prende vita (o è meglio dire si compie?) “il Fato”...
Il primo demo dei Fate è del 2019 e si chiama semplicemente I, è accompagnato anche da una cover di Power of the sword del gruppo culto Heathen’s Rage. Il thrash stereotipico, qui, è abbandonato definitivamente. Cosa desideravi suonare quando sei entrato in studio?
Da quando i Doom Patrol hanno smesso di esistere, i miei ascolti si sono orientati principalmente sull’HC americano (in particolare quello newyorkese) ed europeo. Per quanto concerne l’Europa, da almeno sei o sette anni a questa parte, la scena più florida è quella inglese, tuttora interessante e vitale. Tra i mille gruppi che circolavano nel Regno Unito c’era anche una band heavy metal che mi ha attratto, i Blood Eagle, nome ripreso (presumo) da una canzone dei Battle Ruins, altro gruppo per me incredibile. La loro proposta consisteva in un metal estremamente catacombale e mi ha influenzato molto: la mia idea era quella di unire l’heavy a una produzione molto oscura.
Non desideravo dare vita a un’altra band revival con suoni puliti e copertina disegnata dai soliti artisti...cof cof...[simula due colpi di tosse, ndr] Mario López...
Cercavo un fascino diverso, più underground e grezzo, come dovrebbe essere. Volevo sonorità tetre e i riff più granitici dell’HC.
- L’estetica si fa più dark, medievaleggiante. Ma questa tua seconda creatura è avvolta da un’aria ermetica, è più difficile da decifrare. Nei Fate è sopravvissuta l’influenza dei fumetti e si è aggiunta la letteratura?
Indubbiamente, parlando delle influenze esterne alla musica, ci sono ancora i fumetti, ma semplicemente l’attenzione si è spostata su roba diversa. È subentrato un occhio di riguardo per il mondo orientale, che sino ad ora avevo sempre trascurato, se non allontanato da me. E sì... In parte ci è piaciuto pescare qualcosa dalla letteratura. Per i testi ci ha gasato il Giulio Cesare di Shakespeare, ma gli altri riferimenti li deve cercare l’ascoltatore. Anche in futuro potremmo riversare nelle lyrics degli stralci di opere letterarie, dipende da quello che ci coinvolge. Forse Mishima, vedremo...
- Il 30 settembre 2020 arriva il demo II, non più autoprodotto e aperto a sonorità ancora diverse. Cosa è cambiato?
Per prima cosa la formazione. Volevamo produrre un nuovo demo di tre pezzi, ma cambiare atmosfera pur mantenendo il nostro marchio di fabbrica. La produzione a livello tecnico è cambiata, c’è molto più chorus e questo crea un sound differente. Rispetto alla prima cassetta, qui come influenze ci siamo spostati su gruppi come Cirith Ungol, Celtic Frost e GISM, nonché un complesso heavy giapponese: i Seikima-II, il loro album The end of the century del 1986 mi ha colpito. E per il futuro, chissà...
- Quali prospettive hai per la band?
Registrare finalmente il terzo demo e chiudere.
- Il progetto terminerà, dunque, con il terzo capitolo?
Sì, sarà una trilogia. Questo era il piano che avevamo concordato sin dall’inizio. Addirittura il progetto avrebbe dovuto limitarsi solo alla dimensione studio, per via dei limiti che c’erano in passato, poi abbiamo avuto l’opportunità di esibirci e non ce la siamo fatta scappare. I live sono stati praticamente un fuoriprogramma, degli imprevisti divertenti.
Grazie del tuo tempo Giovanni, associare la musica ad altre arti è sempre stimolante.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Metallo, fumetti e letteratura: intervista a Giovanni Brogio dei Fate
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