Era il 1967 quando un’icona della musica italiana, Mina, accompagnata da un pianoforte, cantava La canzone di Marinella a Canzonissima portando alla ribalta un ancora semisconosciuto cantautore genovese di nome Fabrizio De André.
Era una ballata fiabesca ispirata a un vero caso di cronaca nera; la voce celestiale di Mina la trasformò in un ritornello memorabile. De André, che sino ad allora si era guadagnato una certa nomina di musicista colto dopo aver lasciato l’impiego in una scuola, cessò di essere un artista ribelle e iniziò ad affermarsi come personaggio.
In seguito, in un’intervista successiva, Faber avrebbe dichiarato che si trattava di una “canzone fortunata”, forse anche per la facilità delle sue rime: Marinella faceva infatti rima con le parole “bella” e “stella”. Non si trattava semplicemente di fortuna, in realtà, perché La canzone di Marinella, sul modello dei cantautori francesi, trasformava in metafora poetica delle istanze sociali urgenti: Fabrizio De André, sin dagli esordi, era coloro che dava voce agli emarginati, ai reietti, agli esclusi, a coloro che la società confinava ai margini in una “storia senza storia”. Con un linguaggio poetico e, al contempo, popolare, il cantautore genovese restituiva una trama a tutte le storie perse, dimenticate, le piccole storie condannate a restare anonime, a smarrire la loro dignità.
Dietro La canzone di Marinella infatti si celava una tragedia anonima, di quelle che scolorivano rapide all’epoca sulle pagine di giornale e il giorno dopo si ritrovavano già carta straccia, buona per incartare il pesce, come si diceva a Genova.
Scopriamo la vera storia che si nasconde dietro la canzone e il suo significato.
“La canzone di Marinella”: il fatto di cronaca che l’ha ispirata
Nella celebre Canzone di Marinella, come suggerisce l’incisivo primo verso “Questa di Marinella è la storia vera”, si nascondeva la storia di Maria Boccuzzi. Dunque la Marinella di De André, in realtà, si chiamava Maria: il nomignolo datole nella canzone era un diminutivo affettuoso, un ultimo gesto di tenerezza per ingentilire il suo triste destino, consegnarle la consolazione di una carezza pietosa. Maria Boccuzzi, la vera Marinella, era stata uccisa il 28 gennaio del 1953. Il suo corpo era stato gettato nel fiume Tanaro e riemerse giorni dopo, quando le acque lo riconsegnarono, ormai sfigurato e irriconoscibile, a riva. La ritrovò per caso un operaio che si stava recando al lavoro, come ogni giorno, in sella alla sua bicicletta.
Il colpevole della sua morte non fu mai trovato e, del resto, neppure si dannarono per cercarlo, dal momento che Maria era un prostituta e quindi giudicata una “donna di malaffare”, anche se aveva soltanto sedici anni e faceva quel mestiere perché vi era costretta dalla necessità. Fabrizio De André aveva letto la sua storia su un giornale di provincia; nel 1953 aveva quindici anni, quasi la stessa età di Maria, ed era rimasto tristemente colpito dalla tragica vicenda di quella sua quasi coetanea.
La storia di quella ragazza mi aveva talmente emozionato che ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirle la morte.
La ballata della Canzone di Marinella è dunque un tentativo, riuscito, di trasformare la tragedia in fiaba, il dramma in favola bella che fa rima con “stella”. Ma anche le cronache degli anni Cinquanta, come fu reso noto da un’analisi posteriore, colorirono la vicenda dandole le sfumature di un melodramma; ma, mentre i titoli di giornale tendevano a denigrare la vittima Carica di vistosi gioielli all’appuntamento con la morte, la ballata la risarciva dell’onore perduto e dell’infamia che le aveva scaricato addosso la buona società borghese. La cronaca nera coloriva la vicenda dando a Maria il nome d’arte di Mary Pirimpò, una donna di origini calabresi, aspirante ballerina, che aveva inseguito la falsa chimera dell’arte e si era ritrovata a fare ben altro mestiere: mentre un giovane cantautore ventiquattrenne la chiamava affettuosamente Marinella e salutava la sua salita in cielo “come stella”, risarcendola delle nefandezze della stampa che, infangando il suo nome, l’aveva uccisa due volte.
Nel testo di De André Maria/Marinella muore a primavera e non d’inverno, scivola nel fiume come nel sonno perduta nel ricordo di un amore. Infine De André sigilla la sua storia con la rima più commovente ed efficace: la paragona a una rosa, simbolo eterno di bellezza e fragilità.
E come tutte le più belle cose/vivesti solo un giorno/come le rose.
In quest’ultimo verso Fabrizio De André riesce a sublimare, poeticamente, la morte in una promessa di eternità. Marinella ha avuto una vita breve (è vissuta solo un giorno come le rose), ma avuto l’opportunità di vivere fino in fondo, di sperimentare l’amore e il fuoco vitale, cogliendo l’essenza transitoria e fugace della vita sino a consumarla nel suo stesso respiro. Viene collocata in cielo a brillare, “come stella”, lontano dall’acqua stagnante, dalla riva abbandonata in cui il suo corpo fu ritrovato.
“La canzone di Marinella” di Fabrizio De André: testo
Questa di Marinella è la storia vera
Che scivolò nel fiume a primavera
Ma il vento che la vide così bella
Dal fiume la portò sopra una stellaSola senza il ricordo di un dolore
Vivevi senza il sogno d’un amore
Ma un re senza corona e senza scorta
Bussò tre volte un giorno alla tua porta
Bianco come la luna il suo cappello
Come l’amore rosso il suo mantello
Tu lo seguisti senza una ragione
Come un ragazzo segue l’aquilone
E c’era il sole e avevi gli occhi belli
Lui ti baciò le labbra ed i capelli
C’era la luna e avevi gli occhi stanchi
Lui pose le sue mani sui tuoi fianchi
Furono baci e furono sorrisi
Poi furono soltanto i fiordalisi
Che videro con gli occhi delle stelle
Fremere al vento e ai baci la tua pelleDicono poi che mentre ritornavi
Nel fiume, chissà come, scivolavi
E lui che non ti volle creder morta
Bussò cent’anni ancora alla tua porta
Questa è la tua canzone, Marinella
Che sei volata in cielo su una stella
E come tutte le più belle cose
Vivesti solo un giorno, come le rose
E come tutte le più belle cose
Vivesti solo un giorno, come le rose.
“La canzone di Marinella” di Fabrizio De André: la canzone
“La canzone di Marinella” di Fabrizio De André: analisi e significato
La canzone di De André ricalca tutti gli schemi della ballata: la rima baciata, la donna descritta con toni fiabeschi e paragonata alle stelle, alle rose, a tutte “le più belle cose”, e infine il prode cavaliere senza corona e senza scorta che bussa alla sua porta “per cent’anni ancora” in una promessa metaforica di amore infinito. Il testo abbonda di figure retoriche, proprio come una poesia: troviamo similitudini (bianco come la luna/ come l’amore rosso), personificazioni (il vento ti portò), iperboli (bussò cent’anni ancora), allitterazioni e sinalefe. I suoni sono ovattati e sognanti; a partire dalla prima strofa sembrano trasportarci un’altra dimensione, in una realtà altra che si distacca dalla realtà vera e tramuta una tragedia in sogno.
Anche l’aspetto cromatico assume un rilievo decisivo. I colori dominanti nella canzone sono il “rosso” della passione e il “bianco” del pudore virginale di Marinella che viene violato. Sebbene sulla vicenda domini un presagio cupo - la morte della giovane - De André vuole che resti intatto il sogno d’amore, per cui le immagini che presupponiamo essere di violenza diventano “baci e sorrisi” e mani frementi che abbracciano e la natura diventa paesaggio idilliaco di fiordalisi che solo nel finale rivela il proprio volto brutale con il fiume che inghiotte Marinella. Il cantautore però non rinuncia ai toni fiabeschi neppure nel descrivere la morte, per cui immagina la giovane “scivolare dolcemente nel fiume” e non accenna alla sua uccisione né al suo annegamento.
La cruda realtà viene così ingentilita dalla forza metaforica della poesia: Fabrizio De André riesce a narrarci una storia di morte senza mai nominare la morte, anzi, facendo risplendere la forza della vita. Nel finale, come nelle favole, è l’amore che sopravvive: il nome di Marinella sopravvive nel ricordo del giovane che l’ha amata, colui che “non la volle creder morta” e continuò a cercarla senza mai rassegnarsi.
Con il suo ritmo lento e incantatorio, rafforzato dal perfetto concatenamento delle rime, La canzone di Marinella sembra ripetersi in eterno e suggellare una promessa che ancora non è stata infranta e profuma di rose.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La canzone di Marinella”, la vera storia dietro la canzone di De André
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