La scrittrice Silvia Lorusso Del Linz, autrice di "Giulia una donna fra due papi", un romanzo storico che si occupa della figura di Giulia Farnese, ha accettato di rispondere ad alcune domande su di sé e sulla genesi del suo libro.
Chi è Silvia Lorusso Del Linz?
Da sempre amante della parola e della scrittura, Silvia Lorusso Del Linz ha lavorato come giornalista per diversi quotidiani tra cui “La Nazione” e “La Repubblica”, occupandosi anche di critica cinematografica. Successivamente è entrata nel mondo del teatro come regista e drammaturga allestendo i propri lavori su palcoscenici nazionali. Da diversi anni è attiva nel panorama culturale progettando e realizzando incontri letterari e poetici, con particolare attenzione al mondo femminile tra cui: “Le Filosofe della Memoria” - Etty Hillesum, Irène Némirovsky, Edith Stein; Le Signore dell’Incubo – viaggio fra le scrittrici gotiche etc. Molti di questi sono pubblicati nei Quaderni Letterari editi dalla Biblioteca Civica di Pordenone.
Dopo aver scritto numerosi testi per il teatro (Il moglio, Streghe si nasce, Le notti insonni di Edgar Allan Poe, etc.) dei quali ha curato anche la messa in scena, ispirata dalla figura e dalle vicende storiche di Giulia Farnese, si è dedicata al suo primo romanzo “Giulia, una donna fra due Papi” edito da Parallelo 45.
- Perché hai pensato di scrivere un romanzo storico, per di più ambientato nel Rinascimento?
Sono molto affascinata dalla storia, da ciò che è accaduto,dai personaggi che ne hanno influenzato il corso degli eventi, dalle correnti di pensiero, letterarie e artistiche. Il fascino si estende anche ai luoghi e agli edifici storici: dai monumenti più antichi come quelli egizi o ellenici; agli edifici gotici, le cattedrali e i Palazzi Rinascimentali. In particolare il Rinascimento italiano dalla metà del XIV secolo a tutto il XVI secolo, in cui si assiste al recupero e alla rivalutazione della classicità antica operando una frattura con la visione religiosa che aveva influenzato la cultura di tutto il periodo medievale. Il Rinascimento è ricco di fermenti artistici e culturali, le tecniche di pittura si rivoluzionano con l’uso della prospettiva e delle tecniche ad olio, i potenti commissionano opere d’arte ai più grandi artisti come Michelangelo Buonarroti, Masaccio, Brunelleschi etc.
In merito al romanzo storico di per sé, è il genere di lettura che preferisco, con particolare riguardo alle storie che parlano al femminile. Mi sono occupata spesso sia attraverso il teatro che con gli incontri dedicati alla letteratura, a figure femminili, vissute realmente oppure immaginate, in un periodo storico lontano. Per il teatro ho scritto e diretto “Streghe si nasce”, ambientato in un oscuro medioevo con protagonista una fanciulla condannata al rogo dalla Santa Inquisizione per eresia e stregoneria in relazione a delle pratiche collegate a riti pagani e uso di erbe considerate “magiche”.
Dopo aver apprezzato i romanzi di Alexandra Lapierre e Susan Vreeland su Artemisia Gentileschi, e aver visto a Roma la mostra dedicata ai dipinti di Artemisia e Orazio Gentileschi, ho portato in scena un mio testo: “Artemisia, il segno di una passione”, che si sviluppa attorno al conflittuale rapporto fra padre e figlia.
- Perché hai pensato a Giulia Farnese?
Per un periodo della mia vita ho vissuto per lavoro a Roma. La sera l’impegno in teatro, la mattina e il pomeriggio, lo dedicavo a visitare la parte culturale e storica di Roma. Gli edifici di San Pietro, Palazzo Farnese, la residenza dei Conti Orsini, mi hanno fatto viaggiare: mi sono immersa in un’epoca, scoprendo un volto di donna, quello di Giulia Farnese. Le pietre su cui ho poggiato le mani mi hanno comunicato parole, ho avvertito il suono di una storia che avrebbe voluto essere raccontata: quella di una donna che è nota solo attraverso ciò che le biografie intendono, nozionistiche e sterili, ma che al contrario, è densa di sentimenti, dignità e amore come per sua figlia Laura.
La storia di Giulia Farnese mi ha colpita in profondità, nelle vicende che l’hanno caratterizzata ho colto una serie di elementi riconducibili a molte altre storie di donna vissute in quell’arco temporale: il totale dominio della famiglia, il potere decisionale degli uomini, l’uso della persona come moneta di scambio per l’acquisizione di potere e benefici. Con un valore aggiunto: la grande personalità di Giulia Farnese. Nel mio romanzo il suo personaggio è affrontato dal punto di vista prettamente femminile, interiore, cercando di immaginare e di vedere le cose dal suo punto di vista e non all’ombra dello sguardo dei "grandi" al potere che la circondano. Infatti il mio intento è quello di ritrarla oltre il mito della Sponsa Christi, dipingendo Un ritratto inedito e profondo di una figura femminile al centro di intrighi e trame di potere, che non si è sottratta al proprio destino, ma l’ha voluto vivere da protagonista e non da vittima. Bella, elegante, raffinata, questo ritratto le restituisce quella intensa umanità, che nessuno degli uomini che la possedevano, per folle desiderio, diritto familiare e legame coniugale (il cardinale e poi papa Rodrigo Borgia, l’ambizioso fratello Alessandro futuro papa Paolo III, il marito per procura conte Orso Orsini) le poteva togliere.
E ancora, un sogno: lei, Giulia Farnese, in un meraviglioso abito verde smeraldo che mi ha detto: racconta la mia storia, quella vera. E ha sorriso.
- Cosa significava "essere donna" all’epoca di Giulia?
Credo che le donne in quel periodo fossero ben consapevoli del destino che le attendeva e che molte di loro avrebbero preferito nascere uomini per non dover sottostare alle pressioni e ai “doveri” a cui erano sottoposte. Naturalmente occorre fare una distinzione fra le donne del popolo e le nobili, le prime avevano un fardello ancora più pesante da portare: il duro lavoro, la violenza intesa oltre che come sessuale anche in termini di percosse, i matrimoni infatti erano spesso contratti con uomini brutali e violenti e le numerose gravidanze, infine le devastavano. Le nobili fin dalla nascita erano designate dalle famiglie a matrimoni che servivano a cementare alleanze fra le casate o a stringerne altre. Venivano destinate nei conventi affinché ricevessero un’adeguata educazione e studi appropriati. La loro sorte era un percorso delineato, alcune meno belle o con doti carenti oppure con patti disattesi da una delle parti, proseguivano la loro permanenza in convento fino a prendere i voti.
Essere donna e sopravvivere a questo ruolo esigeva una grande forza d’animo e una grande destrezza. Era difficile non annientarsi nella condizione di sopraffazione della volontà della famiglia di appartenenza e dell’autorità maschile.
Una nota positiva: nel Rinascimento attraverso gli studi e l’istruzione impartita alle donne di ceto sociale superiore, spesso pari a quella degli uomini dello stesso rango, le donne colte fondavano delle Accademie dove si discutevano argomenti di cultura. Molte in Italia e nel resto d’Europa, divennero famose in vari campi, a cominciare da quello letterario.
- Qual è il tuo spassionato parere sul Rinascimento, epoca piena di luci ed ombre e fondamentalmente corrotta?
E’ un periodo storico che trovo molto interessante proprio in virtù di questo dualismo. Accanto a retaggi oscuri risalenti al Medioevo, si accendono speranze e si aprono scenari volti alla ricerca in vari settori. Giorgio Vasari conia il termine Rinascita che abbraccia tutti i campi dell’arte, dall’architettura alla pittura. Nel Rinascimento tutto è estremo: dalla bellezza degli edifici e dei fasti delle corti, alla miseria e alla sporcizia delle strade e delle baracche. In merito alla corruzione nel mio romanzo è ampiamente affrontata attraverso gli intrighi di potere delle varie fazioni politiche e delle casate. Si tratta comunque di una corruzione palesata, in cui emergono anche menti eccellenti e ottimi strateghi. A livello odierno la corruzione dilaga in varie forme e su diversi livelli, e se posso permettermi, con un grado di volgarità inaudita e scevra di personaggi di rilievo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Silvia Lorusso Del Linz
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