

Quando gli ultimi esponenti della generazione che ha vissuto e partecipato alla Seconda Guerra Mondiale saranno tutti scomparsi, chi tramanderà tutte quelle storie belliche vissute in prima persona alle giovani generazioni, che stanno assistendo alle guerre in televisione, nei Tg?
A questa domanda risponde il libro di Viviana Filippini, Frammenti di memoria (Angolazioni Editore, 2025, pp. 298, 18,00 euro), che raccoglie le testimonianze di 16 reduci di Verolavecchia (BS), i quali, giovanissimi, videro infrangere la loro giovinezza, lontano da casa e dagli affetti più cari.
Viviana Filippini (Orzinuovi – BS, 1981) è giornalista pubblicista e collabora dal 2007 con il quotidiano “Giornale di Brescia” come corrispondente esterno e dal 2023 con “La Voce del popolo”. Presenta eventi culturali, musicali, sociali (incontri con autori, concerti). Laureata al Dams (Cinema e audiovisivi) alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Brescia con una tesi sul Bildungsroman (Romanzo di formazione), presenta eventi e segue il settore comunicazione per Fondazione Cesar (Fondazione Cesare Mazzolari di San Vigilio di Concesio) e ha insegnato scrittura creativa. Scrive di libri su blog letterari e culturali (Liberi di scrivere, Sololibri) e li racconta nei podcast di Note di Libri su erreradio.jimdofree.com. Ha fatto la speaker radiofonica e avuto una breve esperienza di vendita quadri in tv.
L’intervista a Viviana Filippini
- Viviana, qual è la finalità del libro? È una sorta di diario?


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Frammenti di memoria è nato come un diario, nel senso che la prima stesura è proprio scritta interamente a mano su un’agenda, dove ho raccolto le testimonianze di questi reduci di Verolavecchia, piccolo comune in provincia di Brescia magari poco noto, ma che diede i natali alla madre di Paolo VI, e lo stesso Papa vi soggiornò in gioventù per alcuni periodi. Ho deciso di raccogliere queste storie, perché mi sono resa conto che questi reduci, come i sopravvissuti alla Shoah, una volta scomparsi non avrebbero più potuto raccontare il loro vissuto al fronte.
In un primo momento, una volta finiti gli incontri, il diario è rimasto nel cassetto; poi, però, mi sono detta che sarebbe stato bello trasformarlo in un libro e ricordo di averlo raccontato a tutti i reduci, che accolsero con entusiasmo quello che intendevo fare. Lo scopo di Frammenti di memoria è proprio quello di Fare Memoria. Tanti sono i racconti dei sopravvissuti ebrei ai campi di concentramento, ed è giusto e importante che ci siano, ma ho pensato che sarebbe stato ideale avere anche le storie dei nostri soldati, di quelli che potrebbero essere i nostri nonni, che partirono per il fronte - in certi casi nemmeno ventenni - con tante incertezze sul loro futuro, visto che molti tornarono ma altri caddero sul campo. Quindi il libro intende Fare Memoria dei nostri soldati, in questo caso i reduci di Verolavecchia, gente comune che ha attraversato e vissuto sulla propria pelle i grandi e tragici eventi della Storia.
- Che cosa ha saputo di Suo nonno che ha trascorso sette anni in Africa?
Di mio nonno materno, Giuseppe Seller, che compare nella foto di copertina con indosso il cappello da Bersagliere dell’VIII Reggimento, sto ancora facendo ricerche. Sono partita da alcuni ricordi di mia madre e mia zia, visto che io non l’ho mai conosciuto perché è scomparso nel 1968. Oltre ai pochi ricordi loro, ho due fotografie, la croce di guerra che gli consegnarono e, nel 2020, ho recuperato il foglio matricolare. Lì ho trovato alcune informazioni sulla partenza nel 1940, alcuni trasferimenti, fino al 4 novembre del 1942, quando ci fu la battaglia di El Alamein e lui si trovava a Deir El Murra dove venne catturato. Sul documento trovato in Archivio di Stato ci sono poche informazioni dopo il 4 novembre: prima lo segnarono come disperso, qualche giorno dopo come prigioniero. Sì, ma di chi?
Per capirci qualcosa in più, fondamentale è stato il contatto con la figlia di un altro soldato prigioniero, che divenne amico di mio nonno e mi ha permesso di aggiungere un pezzettino alla storia. A quanto ho scoperto, per alcuni mesi i due furono prigionieri assieme in Egitto, poi l’amico di mio nonno tornò nel 1946, mentre mio nonno Giuseppe, che a casa chiamavano Pino, rientrò nel 1947. A dire la verità ci sono ancora alcuni buchi temporali da colmare e dati da cercare, anche se pensiamo che nel periodo durante il quale fu con l’amico, i due fossero prigionieri degli Alleati e presumiamo degli inglesi.
- Qual è stata la storia che più l’ha colpita?
Più di una storia ha lasciato la sua impronta. Nel senso che ogni testimonianza ha in sé qualcosa di potente che lascia il segno.
C’è la storia di Giuseppe (Pino) Gennari, anche lui nell’ VIII reggimento Bersaglieri, dove c’era mio nonno, che ebbe modo di vedere da vicino Rommel. C’è la storia di Faustino Barili, catturato dagli Alleati, che lo portarono in America dove rimase circa cinque anni e lì scoprì l’esistenza del frigorifero e dei cibi in scatola. Altra storia toccante è quella di Domenico Zanoni, del quale ho riportato il diario e che finì nella Zonderwater, o di Giuseppe Calzavacca catturato e deportato in Palestina, ma anche quella di Battista Gozzoli (Sano per gli abitanti del paese), finito in Germania su una tradotta di dodici o tredici vagoni e che riuscì a sopravvivere alla prigionia e alla fame lavorando come sarto, cucendo uniformi militari. Poi c’è anche la storia di Pietro Brunelli, che vide morire il fratello e tornò a casa con questo grande dolore; quella di Giulio Azzini finito in Albania, al quale gelarono le dita dei piedi, o chi, come Giuseppe Calzavacca, finì prigioniero in Palestina.
Ne ho citate alcune, ma delle sedici storie di vita al fronte che ho raccolto, ammetto che ognuna ha lasciato qualcosa nel mio animo e un ricordo.
- Che cosa accomuna questi 16 reduci?
Sono diverse le cose che legano questi reduci. La prima la fame costante che li ha attanagliati. Poi, l’amore per la propria famiglia e quel dover fare il proprio dovere, anche se in guerra non ci volevano andare, pensando però di restare tutti interi per tornare a casa sani e salvi dalle proprie famiglie. Non mancano la paura di quell’esperienza sconosciuta della guerra che stavano per affrontare e, allo stesso tempo, la speranza di farcela, di avere una vita nuova una volta tornati a casa.
Quello che traspare è anche l’amicizia che legava questi soldati agli altri che erano in guerra, una forza che spesso li ha aiutati a farsi coraggio e non arrendersi alle difficoltà. L’altra cosa che poi tutti hanno evidenziato è stato il non senso della guerra, la sua violenza, la morte e la distruzione, che lasciava non solo sul campo, ma negli animi delle persone, e quel dover andare a combattere per volontà di altri. Nei diversi incontri che ho avuto con i reduci, spesso mi hanno detto che non potevano fare diversamente, ma erano consapevoli che quella guerra e quello che ne stava conseguendo era qualcosa di sbagliato e tremendo, che avrebbe lasciato grandi dolori nell’umanità.
- Quali sono state le Sue emozioni ascoltando i ricordi di un periodo storico del quale conosceva date e fatti solo attraverso i testi scolastici, documentari e film?
Le emozioni sono state forti, perché questi anziani ex soldati della Seconda Guerra mondiale mi hanno donato parte del loro vissuto, loro e i parenti, che erano presenti al momento delle interviste e mi hanno accolto con grande disponibilità; questo libro vuole raccontare le loro storie per ricordare quello che passarono. L’intento è quindi fare memoria di persone comuni, quotidiane, umili, che non compaiono nei libri di storia, ma che c’erano durante la guerra del 1940/45.
In realtà, parlare con ognuno di loro mi ha fatto anche pensare che stavo facendo quello che avrei voluto fare con i miei nonni, quello materno Giuseppe se l’avessi conosciuto e se non fosse scomparso così presto, e con quello paterno, classe 1925, che si rifiutò di andare in guerra nelle file della Repubblica di Salò, ma anche in questo caso, purtroppo, ho solo dei pezzi, perché lui è morto qualche anno prima della mia nascita.
- Oggi si celebra la ricorrenza del 25 Aprile, Festa della Liberazione; per quale motivo, a Suo parere, a distanza di ottant’anni non si riesce ancora ad avere una memoria condivisa?
Negli ultimi anni ho visto un aumentare in modo sempre maggiore la velocità nella vita delle persone. Tutto è percepito in modo rapido. Si leggono i titoli delle notizie, ma quanti davvero leggono gli approfondimenti? Non so se sia questa velocità del vivere, la frenesia del percepire, che spesso ci porta a fermarci alla prima cosa che vediamo, alla superficie. Fare arrivare un messaggio può anche essere un’azione che riesca, ma quanto esso permanga davvero nella mente delle persone, non è dato saperlo. Quanto riesca a farle pensare, riflettere e a far scattare la scintilla per cambiare le cose?
Tanto è stato fatto, tanto si deve fare ancora per riuscire a lasciare delle tracce nelle persone. Giusti sono gli anniversari come il 25 aprile, 4 novembre, 27 gennaio o il 10 febbraio per citarne alcuni, ma il Fare Memoria dovrebbe diventare un fare quotidiano, un agire costante e continuo. Il tutto per non dimenticare da dove veniamo, per scoprire e mantenere vivo il legame con le nostre radici, ma anche per capire quello che è stato, se giusto o sbagliato, e magari non ripeterlo, nella speranza di un domani migliore, dove il Fare Memoria è anche far rivivere il ricordo di coloro che non ci sono più.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Viviana Filippini, autrice di “Frammenti di memoria”
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