

Quanta differenza c’è fra una casa infestata da spiriti e spettri, ombre che si celano negli angoli più bui per passare poi, con aria quasi di sfida, di fronte a porte e finestre senza più tentare di nascondersi, e un individuo oppresso e ammorbato dai traumi del passato e dagli sgambetti coi quali perde il baricentro quando si rapporta agli altri? C’è possibilità di disinfestare e decontaminare quelle stanze e quelle porzioni di anima?
Queste le domande centrali di tutte le duecentocinquanta intense pagine di Amarsi in una casa infestata (2025), fra gli ultimi romanzi (e il primo in italiano) nel catalogo dell’editore Mercurio scritto da Matteo Cardillo.
“Amarsi in una casa infestata”: trama del romanzo


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È l’estate del 2021 quando la voce narrante, studente con una tesi di dottorato da completare di ritorno a Bologna dopo un soggiorno all’estero, trova una stanza in un condominio di viale XXI Giugno, da condividere con altri coinquilini. Dal primo momento, però, le camere e le pareti di quell’appartamento gli lanciano segnali particolari; suoni sinistri dapprima deboli e poi sempre più frequenti e intensi, una luminosità particolare, ombre e macchie.
Mi ricordai del giorno in cui ero entrato, dell’odore di frutta marcia che Stefania aveva ricondotto ai mandarini malati. Era ritornato, ma diverso. Da acredine di frutta in decomposizione si era evoluto in fetore di pollo avariato. Sembrava che una carogna stesse verminando sotto le tavole del pavimento, o fosse inumata nella calce, e non ci fosse modo di stanarla. Tanto valeva chiamarlo per quello che era, l’aroma delle anime, che trasudavano dalla frontiera col mondo dei vivi. Le muffe nere avevano cominciato a ricoprire di macchie i muri bianchi, trasformandoli nella pelliccia di un felino velenoso.
Nella proprietà delle sorelle Morelli, le manifestazioni si fanno sempre più opprimenti; piatti e bicchieri caduti all’improvviso giù dalle mensole finiscono in frantumi, un graffiare potente, a scorticare le unghie contro i muri, stride dietro la parete del letto e soprattutto figure umane attraversano i corridoi come fossero ulteriori inquilini. Sonno e sogni sono turbati, il primo da capelli tirati e il secondo da immagini disturbanti, e non si sa più a chi appartengano i passi che si sentono in cucina. La casa certo è infestata, ma i miasmi entrano ed escono dalle finestre fino ad allargarsi alla città; su Bologna viene giù una pioggia inusuale, la luce del sole e quella elettrica della sera assumono nuove tonalità, sembra a volte che quei vicoletti e quei portici sempre stracarichi di gente, auto e biciclette si svuotino integralmente, mentre quando una folla si riunisce davanti il portone è perché sul marciapiede di fronte si è consumata una tragedia dove la morte mastica e morde la follia.
I ragazzi sbandano, devono reggersi alle pareti e, mentre la nausea della paura li afferra, traballano fra l’accettazione di ciò che sta accadendo e il silenzio, la comprensione e il non voler vedere la verità dei fatti. Tutto si complica, insieme alla vita al di là del palazzo. Vengono dai quattro angoli del mondo, si muovono fra studi e lavoro e tutti sono invischiati in relazioni che mutano inesorabili, con desideri da afferrare e altri da reprimere. Amarsi in una casa infestata è soprattutto un mosaico di ventenni in movimento senza libretto delle istruzioni, incapaci di capire quale piede mettere davanti e in quale direzione andare; come per il protagonista, diviso fra l’amore per Manuel e la fascinazione per Mattia che vede, nel frattempo, slabbrarsi i legami con gli amici e la solidità delle sue attività.
Sarà dunque disumano per tutti, quando verrà il tempo di compiere qualcosa e far fronte insieme, agire nell’unico modo possibile, pauroso più delle stesse manifestazioni giunte oramai al parossismo; il solo antidoto sembra infatti raccontarsi, l’atto catartico per eccellenza di liberazione e accettazione. Amarsi, così come liberare una casa infestata, necessitano infatti la profonda e consapevole miscela fra passato e presente.
I fantasmi che si trovano in casa vostra sono parvenze identitarie di qualcosa che è accaduto, prigionieri di manie. Voi con la vostra urgenza di vivere avete sollecitato uno stimolo, ricordato la loro esistenza. Quello che dovreste fare è innanzitutto cogliere l’opportunità di riflettere su questa vostra urgenza, e guardare i fantasmi come un vessillo, un monito ad appropriarvi del vostro presente.
L’intervista a Matteo Cardillo
- Iniziamo dall’inizio. Ci parleresti della genesi del tuo romanzo? Com’è nato e, soprattutto, come è arrivato nel catalogo Mercurio?
Mi sentivo mosso dall’urgenza di raccontare un’idea dell’amore come ritorno a un luogo perduto, e quindi come tentativo impossibile di riattualizzare il passato, perciò di fatto vedere la nostalgia dell’amore perduto come un atto di negromanzia. In questo discorso credo abbia avuto un ruolo importante la mia ossessione per il gioco di parole inglese homesick, che sottintende la nostalgia di casa, come anche letteralmente la nostalgia di un luogo come malattia. Così ho pensato di collocare all’interno di uno spazio domestico dei personaggi giovani, animati dalla fame di vivere, e dalla paura di soffrire, perdere, di amare e di rischiare, e di spingerli a confrontarsi con i residui di esistenze precedenti ancorate alle pareti di casa. Come se i vivi prendessero atto della loro deperibilità umana soltanto attraverso il confronto con i morti, e come se i morti bramassero una seconda possibilità dalla vita guardando alle azioni dei vivi con fame e bramosia.
Ho scritto la prima stesura del romanzo, che risulta sostanzialmente molto diversa dalla versione finale, all’inizio del 2024. Nell’arco dell’anno, anche complice il mio bisogno di riflettere su come limare l’opera e aggiustare alcuni aspetti narrativi, ho visto su Instagram l’annuncio della call di Mercurio, che apriva allo scouting di nuove voci per inaugurare la collana italiana. Conoscevo già Mercurio perché avevo letto diversi romanzi dal loro catalogo, essendo la narrativa speculativa un genere a me molto caro e nutrendo un grande fascino per l’estetica editoriale di Mercurio. Così ho inviato il mio manoscritto e in pochi giorni sono stato contattato dal direttore editoriale, Matteo Trevisani, che ha supervisionato l’editing del romanzo, e che mi comunicava l’interesse di Mercurio nel collaborare con me. Il lavoro di editing si è protratto fino ad aprile 2025, quando siamo andati in stampa.
- Quali sono gli autori, le autrici e le letture che ti hanno accompagnato nella stesura di Amarsi in una casa infestata?
Ho cercato di cogliere suggestioni dalla narrativa gotica contemporanea, e nel processo di stesura grande importanza ha avuto la lettura di un breve romanzo di grande potenza visiva, Il tarlo di Layla Martínez, che fonde il tema della violenza domestica con quello delle presenze. Si sono alternate le letture di alcuni racconti di Patricia Highsmith e di H.P. Lovecraft con i romanzi di Jeff VanDermeer, riservando uno sguardo all’immaginario di autrici latinoamericane come Mariana Enríquez e Monica Ojeda, e gli studi di Massimo Scotti e Francesco Orlando sul soprannaturale.
Oltretutto, sono un grande amante del cinema dell’orrore, soprattutto dei classici dimenticati, perciò ho trascorso gli ultimi mesi riguardando alcuni cult come Carnival of Souls, L’aldilà di Lucio Fulci, e il cinema asiatico con opere come Kairo di Kiyoshi Kurosawa e Ju-On di Takashi Shimizu, che con i loro tempi dilatati e le loro atmosfere claustrofobiche hanno contribuito a perfezionare il tono narrativo del romanzo.
- Torri e vicoli di Bologna sono lo sfondo onnipresente delle tue pagine. Quali sono gli aspetti più gotici della città dell’Alma Mater?
Bologna ha un enorme potenziale atmosferico. Può cambiare facilmente volto in base al clima e allo stato d’animo che hai quando passeggi tra le sue strade. Ti può rendere malinconico in estate e ti può infastidire insieme alle orde di turisti e alle macchine in fila ai semafori che sfrecciano disordinate. É una città antica che conserva traccia di tante esistenze passate e di vite illustri, ed è già come se fosse un grande museo a cielo aperto; questo è un tratto peculiare di tante città storiche europee, ma la differenza di Bologna la fanno le sue viuzze cupe, i giardini delle ville inespugnabili nelle aree residenziali, i santuari delle Madonne situati in posti ameni. Di notte specialmente si carica di un’energia che mi ha sempre suggerito un potenziale magico, come se percorrendo i portici senza una destinazione ci si possa imbattere prima o poi in un luogo parallelo e ignoto. È piena di leggende su fatti di sangue, intrighi politici risalenti all’età moderna, storie di un mondo scomparso, ma che in qualche modo coesiste ancora con quello di chi la vive oggi, e che credo costituisca l’attrattiva principale di chi viene a visitarla.
- ’Gatta forastica’ è l’espressione che la voce narrante utilizza per indicare la sensazione provata durante, ma anche prima, le manifestazioni. È una condizione non difficile da condividere e comprendere - o almeno così è stato per me, leggendoti. Ce la spiegheresti?
La gatta forastica è la capacità che il protagonista ha di avvertire energie anomale parallele al mondo dei vivi, in qualche modo possiamo definirla una capacità medianica. Quando si manifesta, è come se il tempo si distorcesse, come qualcosa che cerca di bisbigliarti attraverso una crepa.
Il protagonista la eredita per via matrilineare ed è un’eredità di cui farebbe a meno perché lo costringe a dover fare i conti con le direzioni in cui la gatta forastica vuole condurlo per scandagliare a fondo nella torbidità di quello che lui preferirebbe ignorare, perché forse sarebbe costretto poi a doverci scendere a patti. Con il tempo imparerà che è più facile accettare la propria natura che volerla modificare o reprimere.
- Come descriveresti la generazione che popola le tue pagine? Chi sono i coinquilini dell’appartamento?
Sono studenti universitari, ricercatori precari e giovani che cercano una dimensione a cui sentire di appartenere. Lo spazio della casa si trasforma in una famiglia provvisoria all’interno della quale imparare a convivere e a cooperare. Attraverso i loro dubbi e le loro ansie volevo manifestare quelli della mia generazione, le persone che amo e con cui mi confronto quotidianamente sull’incertezza delle nostre vite relazionali, professionali, sentimentali, del senso di allontanamento dall’idea che avevamo di futuro e di come questa si debba confrontare con il presente e i suoi imprevisti e ostacoli.
In qualche modo, se vogliamo, questa è anche la storia di come un gruppo di ragazzi qualunque cerchi di trovare delle risposte alle proprie ansie, e si renda conto che l’unica risposta che davvero può avere senso è accettare il rischio di vivere e perdere, e non preservarsi dalle passioni per timore di come possano sopraffare la razionalità con la quale cerchiamo costantemente di tenere sotto controllo il presente.
- In cosa trovi ci sia un legame fra una casa infestata e la complessa rete di relazioni che siamo tutti chiamati a gestire?
Una casa infestata è, da sempre, una perfetta metafora archetipica delle relazioni umane e dei loro rischi: è uno spazio apparentemente statico, che però conserva ogni traccia delle presenze che lo hanno attraversato, e che inaspettatamente si riattiva, si risveglia, si manifesta e pungola i vivi che lo occupano, li istiga ad aprire gli occhi, ad avere paura, e dunque a restare vigili nel rischio di essere travolti dall’infestazione. Come nelle relazioni, anche lì nulla scompare davvero, e la morte come decadimento cellulare non è l’unica maniera di porre fine a un’esistenza.
Esistono, secondo me, momenti cruciali in cui moriamo di continuo. Moriamo con i non detti, con i dolori, con le aspettative disattese che restano ossessioni, si sedimentano, e a volte tornano sotto forma di fantasmi a reclamare la loro parte dal nostro quotidiano. Anche la pretesa di ritornare alla felicità iniziale di un legame deterioratosi nel tempo, il logoratosi dalla distanza emotiva e dall’incomunicabilità, che cos’è se non un atto di negromanzia, un voler rievocare i morti, quelli che eravamo in una vita trascorsa quando ci siamo innamorati ma adesso siamo estranei? Ecco quindi che bisogna vedere una casa infestata non solo come uno spazio domestico invaso da spiriti, ma come un monito che si è fatto luogo fisico, tempio della perdita e della sospensione dell’esistenza. Non ci sono solo i morti ad aggirarsi tra le stanze, ma anche le tensioni di legami irrisolti, amori passati, dinamiche familiari o affettive che continuano ad agire anche quando pensavamo di averle superate, e che influenzano chi colonizza quegli ambienti. Perché di fatto vivere in una casa infestata significa abitare lo spazio di qualcun altro che ci ha preceduti, e come quando si cammina su una scena del crimine, rispettare la tragedia di quello che si è verificato in quel posto.
Scrivere una storia di fantasmi, per me, significa sempre anche raccontare ciò che ci perseguita dentro le relazioni. La morte della carne è un punto di approdo di tante morti invisibili che ci invadono, ma che ignoriamo ogni giorno.
- Infine, quale pensi possa essere un antidoto ai fantasmi, quelli che grattano dietro una porta così come quelli che stanziano nelle zone più in ombra dentro di noi?
Prestare ascolto a quei richiami potrebbe essere un buon inizio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Matteo Cardillo, autore di “Amarsi in una casa infestata”
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