

È già nelle librerie da diversi mesi il primo romanzo di Alvise Trisciuzzi, Il delitto della Madonna di Fossalto, edito da Newton Compton.
Si tratta di un giallo che tiene incollati alle pagine grazie al mondo ricchissimo di personaggi costruiti con abile maestria: ciascuno è un tipo umano, ben connotato e caratterizzato, nei pregi e nei difetti, un microcosmo che anima un piccolo paese di provincia sul finire degli anni Sessanta.
“Il delitto della Madonna di Fossalto”: un giallo con protagonista un intero paese


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Un’indagine del maresciallo Bonomi, recita il sottotitolo anche se il vero protagonista, si scoprirà pagina dopo pagina, è il suo amico Lambrusco se non addirittura l’intero paese.
Si tratta di un giallo ricco di temi, che apre a molte riflessioni anche sul nostro presente e che dà ampio spazio alla psicologia, alle relazioni, allo scavo interiore. RIS, DNA e prova regina ancora non entrano nelle indagini e tutto è affidato alla logica, all’osservazione e al confronto. Al centro ci sono, in breve, gli uomini e le donne, il loro fiuto e il loro spirito critico.
Alvise Trisciuzzi ci confida i segreti di questo suo successo, che a settembre vedrà in libreria la seconda indagine con nuovi personaggi.
L’intervista ad Alvise Trisciuzzi
- Come hai costruito il microcosmo dei numerosi personaggi?
Forse banalizzo un po’, ma per me i personaggi sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Quando ne costruisci uno, se vuoi farlo bene, non puoi limitarti al presente o alla scena in cui appare. Per me è necessario creare il suo passato, le sue abitudini principali, i suoi parenti e i suoi amici. Una volta che immagini un suo amico, anche lui avrà un passato, abitudini, amici e parenti e, quindi, descrivi anche loro e così via. In pratica quando invento un personaggio inizia già a crearsi un microcosmo. E, ti assicuro, adoro farlo. È la parte che preferisco della creazione del libro. Così a volte mi faccio persino prendere la mano a discapito dell’equilibrio complessivo della trama.
Confesso che la parte difficile per me non è mai il microcosmo dei personaggi, quanto il creare una struttura attorno. Farli interagire tra loro senza appesantire la storia o divagare troppo. Soprattutto, il divagare. Così, spesso sono costretto a tagliare molte cose che rimangono lì nel computer o nella mia testa in attesa di trovare il momento giusto per uscire.
- Chi è e cosa rappresenta come tipo umano Antonio Bellei, indiscusso protagonista della storia?
Per me è un personaggio romantico, portato all’estremo. È incapace di sentirsi a suo agio nella società civile, che spesso civile non è e da cui si sente respinto per la sua zoppia. Nel contempo, però, è consapevole di essere più intelligente e colto della maggior parte delle persone che incontra e questo lo isola ancora di più. In un certo senso, è un adolescente cresciuto solo di età ma non di carattere, e che si sente inadeguato e sicuro allo stesso tempo. Anche il suo amore per Beatrice è un amore puro, totale e adolescenziale. O lei o niente. È un personaggio coerente fino all’autolesionismo. Con questa mentalità è destinato alla sofferenza, ma proprio per questo ha una grandezza morale che gli altri non hanno.
- Arturo Bonomi passeggia fumando nella nebbia e procede da psicologo nelle indagini che conduce per “tentativi e cocciutaggine”: è così che si risolvono i casi?
Credo che ci siano vari metodi o sistemi in base alla personalità e alle capacità del personaggio. Per me e, quindi, per Bonomi funziona quello. Camminare nella nebbia lo aiuta a concentrarsi, a riordinare le idee. Fa domande e continua a farne finché non capisce. Per lui l’indagine, più che osservazione, è parola. Deve parlare, chiedere, ma soprattutto ascoltare per capire chi ha davanti. Così si chiarisce fatti e avvenimenti.
Peraltro, non volevo farlo troppo bravo. Mi piace che sbagli, anche se è abbastanza intelligente da ammetterlo e non rimanere incatenato a un’idea solo perché l’ha avuta lui o gli piaceva. Altri detective letterari hanno tecniche diverse. L’importante è la coerenza.
- Parliamo dei personaggi femminili: quale idea, quale messaggio hai voluto dare?
Devo riconoscere che inserire i personaggi femminili nel periodo storico e nell’ambiente di provincia in cui si svolge il libro è stato un problema. Negli anni sessanta, era difficile trovare ruoli di primo piano ricoperti da donne, rendendole così protagoniste come avrei voluto. Dopotutto è ambientato prima della riforma del codice civile del 1975; allora, per legge, era stabilita la superiorità esclusiva dell’uomo sulla donna anche nella gestione e nell’indirizzo della famiglia. Quindi,no medico del paese, no maresciallo, no sindaco.
D’altra parte non mi andava nemmeno di relegarle sullo sfondo o ancora peggio descriverle con la solita dicotomia santa/puttana che è una rappresentazione fuorviante e di cui francamente ci dovremmo liberare. Così ecco Vittoria, la moglie di Bonomi: insegnante, ha una sua personalità, tiene testa al marito e lo prende in giro e, se del caso, lo rimette anche a posto quando esagera. Anna, la moglie del medico del paese, è laureata anche lei in medicina e l’aiuta nel suo lavoro. Carlotta Paiola, la moglie dell’ost.e è lei in realtà a gestire il locale e, spero si intuisca, che è più intelligente del marito.
In particolare, senza entrare troppo nella storia ed evitare spoiler, ho voluto evidenziare che all’epoca si era in una società ancora del tutto patriarcale, restia a comprendere l’evoluzione del ruolo della donna avvenuto negli anni, ma questo non significa certo che molte donne nella vita quotidiana non si dimostrassero migliori degli uomini. E considerando quanto ancora ci sia da fare per la parità oggi (pensiamo al lavoro, ai salari, parificati per legge nel ’77, ma in concreto ancora distanti, ai delitti di genere), è facile immaginare la loro forza e con quali pregiudizi abbiano dovuto combattere.
Nella seconda avventura di Bonomi, che uscirà a settembre, proprio per questo ho cercato di approfondire e aumentare i personaggi femminili pur rimanendo coerente con la società dell’epoca.
- Qual è la tua idea di giallo e in che direzione va oggi questo genere?
Il giallo, per me, è una favola più o meno a lieto fine. Sono un lettore avido di quasi ogni sottogenere del giallo, ma per quanto apprezzi thriller e noir, propendo per i gialli classici (e l’hard-boiled): un delitto senza troppi dettagli macabri o morbosi, vari indizi ben celati e un detective privato o della polizia che risolve l’enigma con la cattura del cattivo. A conti fatti è una storia confortevole, il cattivo viene punito per le sue malvagità. I buoni in un certo senso vincono. Di brutte notizie e criminali che se la cavano le cronache sono piene. Almeno nei libri mi piace che le cose vadano meglio, o almeno un po’ meglio.
Per il futuro del giallo, penso sarà radioso come il suo passato. Alcune volte l’hanno sminuito, altre hanno detto che era destinato a scomparire. In realtà, ha una sua enorme dignità. Fior di scrittori hanno prestato la loro penna al genere, che torna sempre più forte di prima alla faccia di chi non lo rispetta come sarebbe dovuto.
Inoltre, sono immensamente felice che in Italia si sia finalmente sdoganato per gli autori italiani. Fino a non molto tempo fa, a parte alcuni mostri sacri, i giallisti italiani erano costretti a usare pseudonimi perché il mercato chiedeva nomi anglosassoni o stranieri in genere. Poi è arrivato Camilleri e finalmente si è capito che gli italiani sono abilissimi giallisti. Anzi forse pure troppo, perché così per un esordiente diventa difficile emergere in un mare pieno di scrittori bravissimi; ma confesso che, da lettore, è molto meglio così.
- Sono molti i temi che il tuo romanzo sviluppa, ad esempio la riflessione politica, il rapporto paese/città, la guerra, l’arrivo dello straniero…
Per ricollegarmi alla domanda precedente, il giallo si è evoluto e anche i lettori. A mio personale modo di vedere, non ci si può più limitare solo al crimine e alla sua soluzione e chiudere i personaggi di una certa estrazione in una villa isolata fuori dal tempo alla Agatha Christie.
Cioè, lo si può fare se è funzionale alla storia, ma in quella, anzi, in quelle che voglio raccontare io i personaggi hanno una loro vita quotidiana che va raccontata, così come l’ambiente in cui si muovono, e questo porta necessariamente a soffermarsi e approfondire altre tematiche. Alcune volte mi scappa la mia opinione personale, ma nel complesso cerco di limitarmi a dare degli spunti, attraverso i personaggi, lasciando al lettore di approfondire e farsi le proprie idee.
- Attualissima nella parte finale, la riflessione sulla ricerca della verità e sul diritto di stampa.
Ammetto che lo sento come un problema. Oggigiorno siamo bombardati di notizie come non ne abbiamo mai avute. All’epoca, quando succedeva qualcosa in America lo scoprivi il giorno dopo; adesso lo sai dopo cinque minuti e subito dopo hai già una nuova notizia dall’Australia. Per incuriosire i lettori, si preme sempre sull’acceleratore con scoop che spesso non lo sono o si drammatizza ogni situazione come se fosse un evento incredibile e irripetibile, cosa che, nella stragrande maggioranza dei casi, non è.
Per rimanere alla cronaca nera, dove noi lettori spesso ci dimostriamo un po’ morbosi nella ricerca dei particolari, mi piacerebbe che le informazioni arrivassero con più calma tagliando le voci di corridoio e i “si dice che”. Non dico che non si debbano seguire e raccontare i delitti, dico che ci si dovrebbe limitare ai fatti per rispetto alle vittime e ai loro parenti.
- Nei Ringraziamenti finali affermi di averne combinate “ben di più di quante ne abbiamo raccontate (per adesso)”. Ci vuoi parlare appunto di quel “per adesso”?
Come detto, nel creare i personaggi spesso mi dilungo molto e non tutto ha trovato spazio nel primo libro. Grazie ai lettori e a Newton Compton, che continua ad avere fiducia in me, a settembre arriverà la seconda avventura di Bonomi e lì qualcosa sono riuscito a recuperare, come ad esempio la storia dei genitori della Carlotta che si interseca con quella dei Ciavattini e dei Santini. Purtroppo, ancora una volta non sono riuscito a raccontare tutto. Quindi, speriamo che il secondo libro vada bene. Così potrò continuare a svuotare la soffitta degli aneddoti della Bassa.

Recensione del libro
Il delitto della Madonna di Fossalto
di Alvise Trisciuzzi
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Alvise Trisciuzzi, in libreria con “Il delitto della Madonna di Fossalto”
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