

Incudini & farfalle
- Autore: Marco Petruzzella
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2024
Marco Petruzzella si definisce un “fabbricante di versi”. Ma questa è solo modestia. In realtà non è un verificatore come tanti altri, ma un poeta postmoderno, come dimostrato dalla sua raccolta Incudini & farfalle (Entropia, 2024). Perché postmoderno? Perché srilicizza i suoi versi, li riduce all’essenziale, trovando vertici ineguagliabili di autenticità e di realismo.
Di primo acchito i suoi versi potrebbero sembrare lineari, ma invece nascono da un lavoro attento e ponderato, dall’applicazione poetica del rasoio di Occam. Questa operazione poetica di rasentare il grado zero senza mai toccarlo veramente non tutti possano capirla e apprezzarla, ma è uno dei migliori modi per fare piazza pulita dalle posture autoriali troppo pretenziose e troppo intellettualistiche, che spesso sconfinano in un complesso di superiorità che poi porta alla sindrome del genio incompreso. Invece di essere un difetto, questa apparente semplicità diventa un grande pregio perché la raccolta è caratterizzata da una grande genuinità. Petruzzella con franchezza dice pane al pane e vino al vino, evitando formalismi e ipocrisie. In questo modo aderisce veramente alla realtà delle cose della vita e dell’animo umano. Il poeta, in questa raccolta, trasfigura questo continuo contrasto di pesantezza e leggerezza del mondo e della vita: un intreccio indissolubile da cui solo la speranza nell’eterno e nel trascendente può salvarci. In questo senso in questa poesia è sempre sottointesa la ricerca di Dio, di un Dio che non dà certezze ma solo dubbi e interrogativi.
Inoltre Petruzzella, molto saggiamente, sta lontano dal cosiddetto poetichese, da termini ricercati e desueti, da arcaismi e leziosismi, trovando una medietà linguistica che è al contempo comunicazione ed espressione artistica. In questa raccolta viene descritta la vita così com’è, con la sua durezza, la sua alienazione, i suoi colpi bassi. Dal punto di vista stilistico c’è una commistione di underground, punk, materiale e immaginario, ovvero come dal titolo incudini e farfalle, mentre dal punto di vista contenutistico c’è la sintesi dall’eterogeneità del mondo, ovvero questo strano, assurdo impasto di carnalità e spiritualità, di sacro e dissacrazione, di solitudine e amore, di povertà e ricchezza, di guerra e di pace, di salute e malattia, di lavoro e di mancanza di esso, di vita e di morte insomma, rivolgendosi poi alla fine tra tormenti e inquietudini ma con una chiave di volta sintropica, dopo l’entropia brulicante metropolitana, al dopo, a Dio.
A livello psicologico non ci sono ubbie psicosomatiche, pensieri troppo intrusivi, monologhi psicotici o nevrotici, manie metafisiche, rovelli incessanti esistenziali, ma questo è un dettato, frutto di equilibrio mentale: l’autore cerca di far chiarezza dentro di sé, cerca di mettere ordine nel suo mondo, ben consapevole che nessun uomo è mai pienamente risolto. Oserei dire che più che lo sfogo da effemeridi il poeta ricerca la pulizia mentale ed esistenziale con i suoi versi, facendo prevalere il disincanto. In queste poesie non c’è un ego riferito, ma un’apertura concreta verso l’altro, che diventa talvolta l’Altro. Nelle sue poesie ci sono l’angoscia e la solitudine metropolitane, ma tutto ciò è intriso di ironia e autoironia, che lo salvano dall’autocommiserazione, dal pessimismo, dalla retorica stucchevole del dolore, con cui molti credono di fare poesia. La tematica amorosa viene trattata con discrezione, senza cadere nello sdilinquimento né nella pornografia confessionale sempre più in voga. Ci sono anche umanità, empatia e pietà in questa raccolta, in cui si descrivono gli immigrati costretti a fare lavori duri e a subire vessazioni, così come c’è un ricordo struggente, anche se a ciglio asciutto, della grande Alda Merini.
Il poeta è prima di tutto un uomo che cerca di trovare umanità nel deserto sovraffollato di Milano, una città in cui ci si può imbattere in tutta la casistica socioeconomica, culturale, politica, antropologica, psicologica e in cui si possono avere incontri occasionali, ma in cui l’angoscia metropolitana può prendere il sopravvento, può attanagliare, stringere, soffocare. A Milano si è perso il senso della comunità. Ognuno è chiuso nella sua storia. Le solitudini si rompono per qualche ora e poi ci si trova di nuovo soli, dopo una serata in un locale, e il giorno dopo ci si ritrova persi nel solito stress e nella solita frenesia. Se l’esperienza di vita sporca l’anima, da questi versi si intuisce che il poeta ha saputo preservare un nucleo inalterabile di purezza interiore. Petruzzella descrive e simboleggia tutto ciò in molto molto efficace, così come ci indica la via maestra di fronte a tanta anomia, a tanto smarrimento e spaesamento, ovvero restare ancorati agli affetti familiari più veri perché altre vie d’uscita non ce ne sono. E possiamo crederci serenamente a questa sua indicazione della strada maestra, perché il poeta, lavorativamente e socialmente, si è imbattuto in ogni tipologia umana, ascoltando migliaia di casi, di storie, di destini. Dopo tanti artisti che cercano invano di trasformare la poesia in vita artificiosamente, Petruzzella cerca efficacemente di tradurre la vita di ogni giorno in poesia e spesso a mio modesto avviso ci riesce.

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