Ancora Dante, in questo anno speciale in cui ricorrono settecento anni dalla sua morte. Non si finisce di esplorarlo, di venerarlo, di amarlo, per la sua qualità di assommare l’intero genere umano nella sua opera. Credo che tutti, dopo essersi accostati a lui anche per poco, lo vivano come parte di sé e si sentano confermati, riconosciuti. Il suo carisma è la relazione; egli non finisce di interrogare i suoi, anche nostri personaggi e la nostra anima nelle tre cantiche che lo accompagnarono nell’esilio di oltre sedici anni, dal 1304 al 1321.
Ho rispolverato un libro che catturò la mia attenzione: Il libro segreto di Dante di Francesco Fioretti (Newton Compton, 2012, pp. 277). Lo studioso nel romanzo riproduce la Firenze del XIII e XIV secolo con veridicità visionaria. Insieme a lui entriamo nelle botteghe dei lanaioli e nelle grandi banche che fecero di Firenze la capitale del mondo di allora; conosciamo gli intrighi del potere, l’ascesa del fiorino, le prime grandi crisi del capitale finanziario che vive di rischio e di sfruttamento dei meno abbienti. Scopriamo l’animo della figlia di Dante, Antonia, divenuta suor Beatrice. Soprattutto ci accostiamo alla Divina Commedia e alle sue allegorie, attraverso un professore dantista che scrive scendendo dalla cattedra e immergendosi nelle passioni, da cui è necessario uscire sapienti e purificati, proprio come accade al poeta che attraversa i tre mondi, ascendendo.
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Il libro vendette oltre trecentomila copie e venne tradotto in sette lingue. In apparenza è un thriller e pone una domanda bruciante sulla fine del grande artista: Dante morì veramente di febbri malariche, o fu invece assassinato? Assillata da questo dubbio, la figlia, insieme a un ex templare di nome Bernard e a Giovanni, medico e forse figlio illegittimo dell’Alighieri, inizia la ricerca dei presunti assassini. Troppi gruppi di potere e singole persone avevano motivo di sbarazzarsi di Dante. Uno dei mandanti sembra essere il marito di Beatrice Portinari, il banchiere ser Mone dei Bardi, per gelosia. Inoltre: perché Dante aveva deciso di nascondere gli ultimi tredici canti del Paradiso? Cosa si cela in essi? Forse la nuova mappa del Tempio, simbolo dell’opposizione alla situazione politica europea?
Il libro segreto di Dante: di cosa parla?
La trama propone enigmi, cattura il lettore tenendolo sospeso e avvinto. La Storia con la maiuscola scorre anche oltre la vita del poeta, con l’orrore della peste che Dante non vide, le lotte intestine all’interno del Comune in declino, le Signorie nascenti, la crisi del papato trasferitosi ad Avignone, le speranze dei ghibellini in un imperatore in grado di liberare l’Italia. Dante dopo morto è sentito come un profeta, soprattutto per la profezia del Veltro contenuta nell’Inferno:
"Molti son gli animali a cui s’ammoglia / e più saranno ancora, infin che’l veltro / verrà, che la farà morir con doglia. […] Questi la caccerà per ogne villa / fin che l’avrà rimessa ne lo ‘nferno / là ove ‘nvidia prima dipartilla.” (Inferno, 1, 100 e seg.)
Il veltro è il cane da caccia che dovrebbe apparire nel panorama politico per uccidere la lupa, l’avidità, riportandola nell’inferno dove deve stare.
Dante venne ingiustamente accusato dai Guelfi Neri di concussione, in pratica di furto, da chi praticava la corruzione come mestiere. Non poteva non immaginare un riscatto, non solo per sé, anche per quell’Italia definita “umile”, per chiunque subisce. E l’umiltà è la qualità della Vergine, da lui posta accanto alla Trinità. Non era tale, ancora, il dogma e la simbologia, Maria viene assunta in cielo molti secoli dopo… Soltanto i Catari, o Albigesi, sterminati nella terza crociata, onoravano la donna, e gli stilnovisti cantori della “donna mea”, madonna. Chi era anche solo in sospetto di eresia, rischiava il rogo. Da qui la necessità di nascondere i versi, scritti in pagine di pergamena, occultate. L’intolleranza è un male tipico dell’essere umano, pare; se poi viene sancita dalla legge, si può arrivare al delirio.
Un apparente thriller, dicevo... In realtà il romanzo racconta con stile piano ma ricco di riferimenti colti e una vena lirica elegante velata di malinconia il trapasso da un’epoca a un’altra, da un tempo ricco di "ethos" a un altro molto più cinico. È Antonia a formulare questi pensieri, mentre confronta la "Commedia" con i personaggi delle novelle del Decameron di Boccaccio, secondo le seguenti considerazioni:
"Le sembrava un’umanità senza morale, quella lì rappresentata, gente che ammirava il successo delle parole e delle azioni, più che la legge morale e il bene comune, un mondo in cui il fine pratico giustifica i mezzi impiegati a conseguirlo. […] Nessuno si sognava più di cercare nel mondo i segni del divino.”
I canti perduti verranno ritrovati, in essi Fioretti ipotizza che vi sia nascosto un messaggio numerico criptico.
L’altezza del pensiero di Dante, la sua dirittura morale, la libertà, l’afflato mistico del suo sacro cammino fino all’Empireo vengono preservati e consegnati ai posteri. Antonia lo sa, sa che suo padre è per i secoli futuri. Conclude, e l’autore con lei:
“Questo pensò alla fine di suo padre: che anche se i tempi e i guelfi neri sembravano averlo sconfitto, i suoi versi avrebbero continuato a parlare per sempre.”
Il testo commuove perché mostra il gigante costretto a vivere tra le miserie umane e ad assaporare il sale del pane ricevuto per carità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il libro segreto di Dante di Francesco Fioretti: un libro da leggere per i 700 anni dalla morte di Dante
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