

“Sai da dove vieni?”, Pablo Neruda sembra interrogarci direttamente nel primo verso della poesia Il figlio. Si rivolge, forse, ai bambini curiosi che un tempo siamo stati, quelli che, insaziabili, interrogavano il mondo con una continua sfinente sequela di “perché?” e non erano mai soddisfatti; bambini ancora vicini al mistero della nascita che avevano il coraggio e l’ardire di porre una domanda che spesso gli adulti dimenticano: perché sono nato?. Esiste davvero una risposta? È un quesito così enorme, dal valore filosofico così fondativo che, col tempo, tendiamo a dimenticarlo, addirittura a ignorarlo, eppure dovremmo porcelo più spesso perché è una domanda che orienta il nostro rapporto con la vita, riesce a ricalibrarlo come una bussola che indica la direzione da intraprendere.
Neruda, come frequentemente accade nelle sue liriche, parte da un quesito dal peso esistenziale (sai da dove vieni?) e lo declina in un atto d’amore.
Non dobbiamo leggere Il figlio come una poesia dedicata dall’autore al figlio (come scopriremo, in realtà Pablo Neruda ebbe solo una figlia, Malva Marina, abbandonata poco dopo la nascita), ma come un tentativo di spiegare l’insondabile mistero della vita - impenetrabile alla ragione umana - e la sua eterna epifania, che non possiamo comprendere del tutto ma solo assorbire come luce, lasciandoci attraversare dall’incostante flusso vitale.
Vediamo testo e significato de Il figlio di Neruda.
“Il figlio” di Pablo Neruda: testo
Sai da dove vieni?
… vicino all’acqua d’inverno
io e lei sollevammo un rosso fuoco
consumandoci le labbra
baciandoci l’anima,
gettando al fuoco tutto,
bruciandoci la vita.Così venisti al mondo.
Ma lei per vedermi
e per vederti un giorno
attraversò i mari
ed io per abbracciare
il suo fianco sottile
tutta la terra percorsi,
con guerre e montagne,
con arene e spine.
Così venisti al mondo.Da tanti luoghi vieni,
dall’acqua e dalla terra,
dal fuoco e dalla neve,
da così lungi cammini
verso noi due,
dall’amore che ci ha incatenati,
che vogliamo sapere
come sei, che ci dici,
perché tu sai di più
del mondo che ti demmo.
Come una gran tempesta
noi scuotemmo
l’albero della vita
fino alle più occulte
fibre delle radici
ed ora appari
cantando nel fogliame,
sul più alto ramo
che con te raggiungemmo.
“Il figlio” di Pablo Neruda: analisi e significato
L’aspetto più interessante - e forse poco sottolineato nelle analisi di questa poesia - è che è dedicata a un figlio non nato. Il “figlio” che dà il titolo alla celebre lirica è soltanto immaginato da Neruda, desiderato forse come frutto del suo amore per Matilde Urrutia, la donna che fu fiamma e musa ispiratrice nella vita del poeta. Pablo e Matilde non ebbero figli, il loro amore diede origine, in compenso, a una cospicua produzione letteraria: un lungo carteggio epistolare e numerose poesie d’amore. Anche Il figlio deve essere letta in questo senso, come una poesia d’amore, e non come dedica a un figlio in carne e ossa, sebbene spesso ne venga privilegiata questa interpretazione. Attraverso questi versi Neruda intende celebrare il mistero della nascita come atto d’amore: un uomo e una donna si uniscono ed ecco che si ripete l’antico ed eterno episodio della Creazione, una nuova genesi umana e non biblica, come suggerisce il poeta nell’anafora volutamente ripetuta “così venisti al mondo”. L’unica risposta, secondo il poeta cileno, è l’amore: è il sentimento in grado di generare vita e futuro. Nella seconda parte della poesia infatti il figlio si traduce in un’immagine di futuro, in una possibile estensione della vita oltre la vita stessa. Il poeta immagina - e spera - che possa sopravvivere qualcosa del suo amore per la donna amata nel mondo e questa speranza si traduce nella figura del figlio: “Ed ora appari”.
La riflessione di Neruda sul mistero della nascita tuttavia non è stucchevole, ma acuta. A un certo punto il poeta osserva saggiamente:
perché tu sai di più
del mondo che ti demmo.
La nascita basta a sé stessa, è l’epifania della vita che si ripete in un ciclo eterno, in una metamorfosi costante. Pablo Neruda capisce che quel figlio - soltanto immaginato - conserva in sé tutte le risposte all’incomprensibile mistero della vita. Vi starete domandando in che senso, come sia possibile che una creatura appena venuta al mondo - addirittura non nata, ma solamente pensata, concepita - possa racchiudere in sé il segreto ignoto a tutti fuorché, forse, a Dio o a un qualche altro oscuro signore del Creato. Neruda attraverso questa poesia ci sta già dando la risposta: il futuro, un figlio contiene la promessa di futuro ed è proprio in questo, in una speranza inattingibile, che è riposto il senso al grande enigma della vita.
Paradossalmente è proprio il figlio venuto al mondo - come simbolo di futuro - a spiegare il senso dell’esistenza ai genitori. A questo proposito è interessante osservare come Neruda struttura la poesia, architettandola narrativamente come una genesi: all’inizio troviamo menzionati, non a caso, gli elementi naturali - acqua, fuoco, terra e aria - che suggeriscono un nuovo stato di aggregazione della materia, poi l’amore che causa l’unione e la fusione tra i vari elementi conducendo, di fatto, alla Creazione della nuova vita. La scintilla, la miccia incandescente all’origine di tutto è, tuttavia, il desiderio del poeta verso la donna amata, ciò che lo conduce a inseguirla in ogni luogo, soggiogato dalla sua presenza.
Pablo Neruda aveva figli?
Dunque dobbiamo leggere Il figlio di Neruda come una poesia d’amore verso Matilde Urrutia, e non come un messaggio d’amore paterno. Nella figura simbolica del “figlio” Pablo Neruda traduceva una promessa d’amore duratura, suggellava il fatidico “per sempre” auspicato da tutte le coppie innamorate.
Nella vita vera, Neruda non ebbe figli; in realtà ebbe una figlia, Malva Marina, nata a Madrid nell’agosto del 1934 e morta appena otto anni dopo, perché affetta di idrocefalia. Nelle oltre quattrocento pagine del suo corposo memoir, Confesso che ho vissuto (pubblicato postumo nel 1974), Pablo Neruda non menzionò neppure una volta la figlia, nata dalla sua prima moglie Marietje Hagenaar detta “Maruca”.
Non fu un destino felice quello di Malva; Neruda, all’epoca ventiseienne approfittò della difficile situazione politica in Spagna, in seguito al colpo di Stato di Franco, per abbandonare moglie e figlia e sfuggire così alle proprie responsabilità. Pochi mesi dopo la stessa Maruca abbandonò la figlia, lasciandola a una famiglia protestante, seguace della Scienza Cristiana, disposta a occuparsi della piccola nonostante la grave deformità.
La stessa sorte, purtroppo, capitò a molti altri “figli imperfetti” di grandi scrittori e poeti - tenacemente rimossi dalle loro biografie e consegnati a un eterno oblio. La recente scoperta dell’esistenza di Malva Marina Neruda getta una luce oscura sulla poesia Il figlio, una bellissima opera letteraria, un capolavoro poetico, che tuttavia non trovava effettiva corrispondenza nella vita vera. Pablo Neruda scrisse parole bellissime, ma non per sua figlia; le parole ispirate del poeta erano dedicate a un’altra donna, all’infatuazione dell’amore, forse alla vita stessa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il figlio”: la toccante poesia di Pablo Neruda sul mistero della nascita
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