Heike riprende a respirare
- Autore: Helga Schneider
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: TEA
- Anno di pubblicazione: 2011
Su licenza della Salani Editore (2008), TEA ripropone nel 2011 un intenso romanzo di Helga Schneider, "Heike riprende a respirare", dove la scrittrice, scampata alla furia della battaglia di Berlino e da molti anni in prima fila nel rappresentare il dramma del popolo tedesco annientato dal delirio nazista, torna a riflettere sulle distruzioni fisiche e morali della guerra.
L’inizio del 2011 ha visto dare alla luce diverse pubblicazioni su questo tema, pensiamo al bel volume di Abscondita che presenta in nuova veste editoriale il quaderno-poema di acqueforti, Estragos o Desastres de la guerra, realizzato da Francisco Goya tra il 1814 e il 1820; guardiamo agli appunti scritti durante la seconda guerra mondiale da John Steinbeck, mentre era al fronte come corrispondente per l’esercito americano, usciti a gennaio per Bompiani; e ancora il Cendrars di Via del Vento edizioni, reduce e invalido di guerra che cerca di far proseguire la propria vita.
Questi lavori arrivano in un momento cruciale per l’assetto geopolitico del Mediterraneo. Non è volersi affidare a tutti i costi ai ricorsi storici. Eppure, quella che va presa come un’innegabile coincidenza, senz’altro conferisce maggior vigore ai messaggi di autori che tornano ad affacciarsi nel panorama culturale dell’occidente proprio in una fase delicatissima, nella quale quotidianamente abbiamo sotto gli occhi esodi e violenze.
Di un simile aggirarsi per macerie umane e culturali la scrittura della Schneider si fa carico con straordinaria intensità, proiettando la narrazione pezzo per pezzo verso la fragile quinta di una realtà desolata.
Al pari di una macchina da presa, il racconto indugia ripetutamente sul paesaggio lunare di una città che non c’è più, non solo per il venir meno dei suoi spazi ma anche, e soprattutto, in seguito alla fine delle consuetudini e della quotidianità vissute dai suoi abitanti. C’è un respiro spezzato nelle architetture e uno, interrotto con strazio ancora più grande, nelle persone: lo spazio offeso scandisce il ritmo di una lacerazione corale.
Peraltro la memoria dolorosamente infranta dal dramma di un’epoca è al centro anche di altri resoconti. Uno su tutti, il romanzo di Anne-Marie Hirsch, esule in Francia dall’avvento del nazismo. Nel suo Ritorno a Weimar la Hirsch, compiendo un percorso in parte simile a quello della Schneider, che la porta tra le rovine delle città tedesche, da Berlino ad Halle, comincia un lento ritorno a quel mondo, violentemente strappato alla propria vita e perfino al ricordo, quindici anni prima.
Ogni giorno, i sopravvissuti, sotto l’assedio di una sorta di spasimo del nulla, cercano di rintracciare la strada che porti a una guarigione dal trauma, se non arrivando a superarlo, almeno aspettandosi di sanare la tensione che ancora, alla fine del disastro, tiene lontana l’anima dal sé, non a caso, per gli antichi, soffio vitale e centro sensibile. Un’esistenza più che stentata quella in cui si trascina il popolo delle Trümmerwohnungen, abitazioni di fortuna ricavate da case distrutte. E ciò a partire dalle due protagoniste, Heike, cugina berlinese della scrittrice, e la madre, vittima prima delle violenze dei Russi e poi della brutta depressione che le sarà fatale. Dopo il bombardamento della casa, convertita la cantina in alloggio, le due donne lottano per dare un senso alla loro vita familiare, in attesa dell’arrivo del padre e marito. Ma la volontà di andare avanti viene meno a Margie, lentamente consumata da un dolore insidioso, quasi l’ammorbante scenario di sconforto, che non lascia intravedere alcuna speranza, reclami da lei ogni intento di salvezza, finché un pomeriggio la fa finita, assumendo una massiccia dose di Veronal. Heike si trova disperata e sola, in un mondo di solitudine e devastazione col quale combatterà la sua personale e durissima battaglia, per poter ritrovare se stessa e lo spazio che le appartiene. Come per un’assurda fatalità, l’estremo gesto della madre le riporta il padre. E tuttavia, il genitore è a sua volta confuso e svuotato dall’atmosfera di un paese nel quale fa fatica a riconoscere e recuperare i cocci della propria vita, precedente lo strappo della guerra. La Schneider riflette molto bene in questo lavoro su un tema centrale nella società tedesca postbellica, affrontato ad esempio, con grande semplicità e immediatezza, anche dal diario di Marta Hillers: la frustrazione maschile per la sconfitta, la perdita dei punti di riferimento nel contesto privato e pubblico e il ruolo delle donne le quali, al prezzo di una sofferenza non minore ma che hanno saputo volgere in positivo, perlomeno in molti casi, si sono messe a scavare, letteralmente e moralmente, tra le rovine del proprio paese per ricostruirne le case e, soprattutto, le persone.
Del resto, già un paio di millenni e più orsono, Eschilo ci aveva mostrato quanto delicato fosse il dialogo e lo scambio, all’interno della pólis, tra le attività e i rapporti del nucleo familiare e le istituzioni. E aveva messo in guardia i propri concittadini dal fatto che un irragionevole sentimento di paura, generato dai cattivi governanti, e la stásis, ossia la guerra interna, sua inevitabile conseguenza, facessero correre pericoli esiziali alla società. Le macerie del Pireo e quelle di Berlino si osservano in controluce e mettono a fuoco la stessa tragedia.
Heike ha solo dieci anni, eppure trova il coraggio di gridare il suo disagio e di scuotere il padre dal torpore che sempre più lo sottrae a lei. È, certamente, una ribellione ingenua, che non manca di metterla in serio pericolo, ma nel tempo sortisce i suoi effetti.
In questo nulla umano i soli elementi di rifugio e consolazione, grazie ai quali Heike si sente ancora in contatto col mondo, sono gli alberi e la lingua che parla con loro. Proprio l’alternanza tra la polvere e l’aridità della terra, e l’improvviso aprirsi di rigogliosi squarci di verde, danno un respiro tutto particolare alla narrazione. Le piante, fiorite nel deserto, incarnano la resistenza della vita, che dentro se stessa trova la forza di uscire dalla catastrofe.
«Si svegliò sotto un piccolo albero di gelsomino, ma il tempo della fioritura era passato. Il cielo era coperto di una nuvolaglia cinerea, quindi doveva essere molto presto.
Si era messa una scarpa al contrario e, mentre la sistemava, dal suo piede si alzò in volo una piccola farfalla grigia. La notte era stata calda, un poco afosa.
Si trovava in un vasto cortile solitario con diversi cespugli e alberi dalle corone bruciate e dai tronchi neri e contorti. Tutto intorno un mare di rovine».
Si potrebbe guardare al ‘900 come a un periodo storico in cui gli uomini, più che in altri, hanno camminato in mezzo alle macerie. Su una simile amara consapevolezza molti poeti hanno costruito il loro verso di transfughi minacciati dal baratro. Già Mandel’štam esprimeva all’inizio del secolo una condizione di canna al vento esposta a una realtà soverchiante; ma la sua confessione lo convinceva anche della persistenza, di una durata estesa ben oltre ogni vorace dissennatezza:
«Sono un giardiniere e anche un fiore, / in questo mondo-prigione non son solo, […] / Trascorra il sedimento dell’istante – il caro segno non si cancellerà».
Né è da meno il colpo d’occhio di Eliot, che così fotografa il tormentato vagare dell’uomo, a poche battute dall’inizio del The Waste Land:
«Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono / Da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo, / Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci / soltanto / Un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole […]».
Gli esseri umani si incontrano sulla soglia della distruzione e sono costretti a guardare in faccia il vulnus procurato a se stessi. Il romanzo di Helga Schneider descrive questa catabasi con asciutta capacità narrativa, facendo intravedere al lettore che il riscatto, pur non trovandosi a portata di mano, è comunque possibile, se si ha il coraggio e l’animo disposto a discendere fino in fondo la china degli eventi e condividerne l’esperienza con chi ci è vicino.
- Helga Schneider, Heike riprende a respirare, TEA, 2011
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